sesso in carcere

SCOPARE NON È REATO – IL RICORSO DI UN DETENUTO SUL DIVIETO DI FARE SESSO DURANTE LE VISITE CONIUGALI FINIRA' DAVANTI ALLA CORTE COSTITUZIONALE – AVERE RAPPORTI IN CARCERE È PERMESSO IN 31 PAESI EUROPEI E C’È LA RACCOMANDAZIONE DELL’UE DI PROMUOVERE I COLLOQUI INTIMI DI TIPO SESSUALE: “UN'AMPUTAZIONE RADICALE DELL'AFFETTIVITÀ FINISCE PER CONFIGURARE UNA FORMA DI VIOLENZA SUL DETENUTO"

Estratto dell'articolo Francesco Grignetti per “la Stampa”

 

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Vietare ai detenuti di fare sesso con i loro partner potrebbe colpire i diritti costituzionali. E siamo sicuri che costringerli a una vita asessuata favorisca la loro crescita personale, la maturità della persona, la rete di relazioni familiari che dovrebbe accoglierli all'uscita dal carcere? Il giudice di sorveglianza di Spoleto si è posto alcuni problemi non banali, che dovrebbero interrogare l'intera società, e intanto ha posto il quesito alla Corte costituzionale.

 

[...] il problema è che la legge non lo consente. […] Il carcere non è mai considerato un luogo privato, ma pubblico per definizione. E va da sé che il sesso in un luogo pubblico non si può fare perché, a rigore, è un reato in sé.

 

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Sullo scoglio della legge si è bloccata ogni fuga in avanti. […] Ci riprova adesso il giudice Fabio Gianfilippi, chiamato in causa da un reclamo di un detenuto. [...] Quel che è permesso ai detenuti di Francia, Svizzera, Austria, Slovenia o Spagna, infatti, e complessivamente in 31 Paesi europei (ma anche in India, Messico, Israele, Canada) agli italiani è negato. 

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E ci sarebbero pure in questo senso le Raccomandazioni del Consiglio d'Europa o del Parlamento europeo che auspicano le «visite coniugali» ai detenuti. E c'è anche la Corte europea dei diritti dell'Uomo, il tribunale internazionale di Strasburgo, a manifestare apprezzamento per gli Stati che prevedono i colloqui intimi e l'esercizio dell'affettività anche di tipo sessuale. […]

 

SESSO CARCERE

In Italia, non si può. «Una amputazione così radicale di un elemento costitutivo della personalità quale la dimensione sessuale dell'affettività - scrive allora il giudice Gianfilippi - finisce per configurare una forma di violenza fisica e morale sulla persona detenuta». 

 

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Siccome non ci sarebbero motivi di sicurezza ad impedirlo […] la negazione della sessualità a chi sta dietro le sbarre «si volge in mera vessazione, umiliante e degradante, peraltro non soltanto per il condannato, ma per la persona con lui convivente, […]». [...] a vietare i rapporti sessuali, poi, non si contravviene allo spirito della Costituzione sulla protezione della famiglia, anche quella di un condannato? [...]

 

 

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