QUANDO TOTÒ U’ CURTU VOLEVA FARE STRAGI NEGLI USA – SECONDO IL PENTITO ROSARIO NAIMO, NEGLI ANNI ’80 RIINA VOLEVA ELIMINARE L’ALLORA PROCURATORE FEDERALE RUDOLPH GIULIANI PER ISOLARE GIOVANNI FALCONE

Giovanni Bianconi per il "Corriere della Sera"

Arrivano nuovi pentiti al processo sulla presunta trattativa fra lo Stato e la mafia al tempo delle stragi. O meglio, vecchi collaboratori di giustizia decidono di riferire particolari mai svelati prima. Come Rosario Naimo, un «uomo d'onore» che faceva la spola tra la Sicilia e gli Stati Uniti, il quale racconta che a metà degli anni Ottanta Totò Riina voleva ammazzare il procuratore federale di New York (e futuro sindaco) Rudolph Giuliani, per «isolare» il giudice Falcone che collaborava con lui nelle indagini su Cosa nostra.

O come Francesco Di Carlo, boss di Altofonte emigrato e arrestato in Gran Bretagna, che improvvisamente parla delle visite ricevute venticinque anni fa nel carcere inglese dal poliziotto Arnaldo La Barbera e da un misterioso personaggio dei servizi segreti che si gli presentò come «Giovanni», chiedendogli aiuto per allontanare Falcone da Palermo: «Bisognava annullarlo e delegittimarlo, mi disse, perché i politici e qualche pezzo grosso dei carabinieri erano preoccupati di quello che stava facendo con i suoi progetti di Fbi italiana e di Superprocura».

Dopo il «signor Franco» sempre evocato ma mai identificato da Massimo Ciancimino, ecco dunque entrare in scena il «signor Giovanni»; e chissà se si riuscirà mai a scoprire chi è, prima ancora di valutare la fondatezza dell'episodio narrato. Il questore La Barbera (già tirato in ballo dal falso pentito Scarantino per il depistaggio sulla strage di via D'Amelio), è morto nel 2002 e Nino Salvo - al quale Di Carlo dice di aver indirizzato il «signor Giovanni» - addirittura nel 1986, quando i discorsi di Falcone sulla Superprocura erano di là da venire.

Di Carlo depone al processo in video-conferenza, e al pubblico ministero Di Matteo che gli chiede come mai fa queste rivelazioni solo ora, diciassette anni dopo l'inizio della sua collaborazione, il pentito risponde: «Io non sono uno stupido, mi so guardare le spalle, e ho visto accadere tante cose in Italia, compreso il credito dato al dottor La Barbera. Perciò su certe cose ci sono andato coi piedi di piombo. Ora vedo che cominciate a mettere le cose a posto, e ho deciso di dire tutto».

Prima di interrogare La Barbera i pubblici ministeri annunciano il deposito di nuovi verbali di altri due pentiti, che chiedono di far testimoniare in aula. Il primo è Rosario Naimo, uomo della vecchia mafia palermitana passato coi Corleonesi di Riina, andato in America dove entrò in contatto con la famiglia Gambino. Oggi racconta che mentre era dall'altra parte dell'Oceano, negli anni Ottanta, Riina gli mandò a dire, di chiedere ai Gambino di uccidere l'allora procuratore Rudolph Giuliani.

Naimo non portò l'ambasciata perché sapeva che i mafiosi americani erano contrari agli «omicidi eccellenti», e quando tornò in Sicilia lo disse a Riina. Il quale gli rispose che non era una volontà solo sua, e aggiunse: «Loro vogliono così». Senza specificare chi. «Il fine era quello di isolare ulteriormente Falcone che in Giuliani aveva trovato un ottimo contatto investigativo con gli Usa».

Naimo riferisce anche che nel 1992 il medico Nino Cinà (imputato nel processo trattativa in quanto latore del «papello» con le richieste di Riina recapitato a Vito Ciancimino), tra le stragi di Capaci e via D'Amelio, gli chiese di poter andare con lui negli Usa perché «era preoccupato delle eccessive responsabilità nei contatti con esponenti politici per conto di Cosa nostra». Ma Riina, in autunno, convocò Naimo per dirgli di non dare ascolto a Cinà: «I contatti con i politici dipendono da lui, e se si brucia siamo rovinati».

Anche un altro pentito, Fabio Tranchina, già autista del boss stragista Giuseppe Graviano, riferisce di contatti tra il suo capomafia e i politici. Due settimane fa ha detto che all'indomani dell'arresto di Riina (15 gennaio 1993), Graviano gli confidò: «Ci sono degli impegni presi e li dobbiamo portare avanti. Le leggi ce le facciamo noi, abbiamo le nostre garanzie e assicurazioni; o fanno quello che vogliamo noi o gli rompiamo le corna».

 

 

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