cyberpunk copertina

IL RITORNO DEL CYBERPUNK - WILLIAM GIBSON, BRUCE STERLING, NEAL STEPHENSON: PER L’USCITA DELL'ANTOLOGIA ASSOLUTA CON GLI SCRITTORI PIÙ IMPORTANTI DELLA SCENA CYBERPUNK, TORNA NEL DIBATTITO CULTURALE IL MOVIMENTO CHE HA VISTO L'ITALIA PROTAGONISTA GRAZIE ALLA RIVISTA "DECODER" - “ERAVAMO TROPPO AVANTI”, SPIEGA RAF "VALVOLA" SCELSI, UNO DEI FONDATORI DELLA CORRENTE CHE UNÌ CONTROCULTURA PUNK E TECNOLOGIA PIÙ AVANZATA...

Luca Valtorta per www.repubblica.it

 

cyberpunk 1

“Il cielo sopra il porto era del colore di uno schermo televisivo sintonizzato su un canale morto”: l’attacco di Neuromante di William Gibson è ormai un classico. Non solo della letteratura 'cyberpunk' o fantascientifica ma della letteratura contemporanea tot court. Del resto il cyberpunk nasce proprio come movimento letterario nella prima metà degli anni Ottanta mettendo insieme due elementi apparentemente opposti: la controcultura punk e l’attenzione al mondo del computer che iniziava a permeare la società in quegli anni.

 

Il precursore che ne fornisce l’estetica (ma anche l'etica, almeno nella parte più, chiamamola 'esistenzialista') è sicuramente Blade Runner di Ridley Scott che esce nel 1982 e che, a sua volta, è basato su un racconto di Philip K. Dick del 1968, Il cacciatore di androidi (titolo originale: Do Androids Dream of Electric Sheep?). Non c’è dubbio che Dick insieme a James Ballard e William Burroughs siano i tre precursori fondamentali del cyberpunk a cui il nuovo movimento letterario aggiunge una peculiare attenzione di tipo sociale e politico. Il punk è infatti la “controcultura” che ha lasciato e continua a farlo, il segno maggiore nella società contemporanea, se non a livello musicale, sicuramente per quanto riguarda la costruzione di una dimensione etica 'alternativa' che esprime una forte criticità nei confronti di un mondo in cui le strutture statuali non esistono se in una vaga forma di burocrazia, mentre il vero potere è in mano a multinazionali diventate vere e proprie dinastie come la Tessier-Ashpool.

 

cyberpunk 2

In queste società, tecnologie avanzate convivono con l’evidente decadenza di città-mostro in cui è venuto a mancare qualsiasi aspetto legato alla natura, vere jungle urbane in cui la lotta per la sopravvivenza è durissima. L’Italia è da sempre precorritrice di questo tipo di ambientazione perché già nel 1977 Stefano Tamburini crea Ranxerox sulla rivista underground Cannibale che verrà poi ripreso nella successiva Frigidaire e disegnato meravigliosamente da Tanino Liberatore: Ranxerox è un 'coatto sintetico' ovvero un robot creato da uno 'studelinquente' del Dams che si muove in una Roma postmoderna completamente degradata e ultracinica con una colonna sonora fatta delle musiche di Ramones, Devo e Pere Ubu ma anche degli italiani Gaznevada. Droga, sesso, spacciatori, artisti viziati, volubili e stratossici, gang, echi delle proteste politiche del tempo trasformate in nichilismo senza speranza ma anche già l’idea di zone 'fuori controllo', nel bene e nel male, un po’ come quelle T.A.Z. teorizzate da Hakim Bey (le famose 'Zone Temporaneamente Autonome', che vengono raccontate in un libro pubblicato da Edizioni Shake nel 1993).

 

Il 'cyberpunk' come genere letterario ha avuto un momento di grande risonanza mondiale a partire appunto dagli anni Ottanta influenzando l’immaginario culturale degli anni a venire attraverso un’incredibile quantità di realizzazioni, letterarie, cinematografiche, musicali, artistiche. I risultati più importanti e di maggior richiamo sono stati quelli raggiunti in campo cinematografico: basti pensare a Tron (1982) di Lisberger, Videodrome (1983) ed eXistenZ (1999) di Cronenberg, Brainstorm (1983) di Trumbull, Wargames (1983) di Badham, Terminator (1984) di Cameron, RoboCop (1987) e Atto di forza (1990) di Verhoeven,Tetsuo di Tsukamoto (1988),  Il tagliaerbe (1992) di Leonard, Strange Days (1995) della Bigelow fino a Nirvana (1997) del nostro Salvatores e, soprattutto, alla trilogia di Matrix (1999-2003) dei fratelli (oggi sorelle) Wachowski che riprende moltissimi dei temi presenti in Neuromante.

 

il nuovo volume di mondadori cyberpunk antologia assoluta (1355 pagine 35 euro)

Per non parlare delle serie televisive  e soprattutto dei manga e degli anime giapponesi che sono innumerevoli a partire da pietre miliari come Akira (1988) di Otomo, Appleseed di Shirow (1988) e Ghost in the Shell di Oshii. E poi ovviamente i giochi di ruolo e, soprattutto, i videogames di cui è appena uscito (2020) l’attesissimo Cyberpunk 2077. Per cui, anche se a un certo punto l’attenzione sul cyberpunk è parsa calante nel corso del tempo, in realtà non se n’è mai davvero andata. La realtà è che parte di quel mondo, anche se in maniera diversa, è diventata parte della realtà quotidiana perché, che cos’è l’invenzione più famosa di William Gibson, il 'cyberspazio', se non Internet? La Realtà Virtuale non si sarà (ancora?) realizzata come pronosticato ma di fatto Internet è una forma di realtà virtuale con cui facciamo i conti tutti i giorni, soprattutto oggi, durante una pandemia che ci vede incollati agli schermi per la maggior parte del nostro tempo.

 

il numero speciale di xl dedicato al cyberpunk

Il fatto che l’Italia sia da tempo un’avanguardia per il cyberpunk è testimoniato anche dall’uscita solo nel nostro paese di Cyberpunk - Antologia assoluta, oltre 1350 pagine in grande formato, per Mondadori e dal dibattito che si sta creando a riguardo. L’antologia ripubblica infatti in un unico volume Neuromante di William Gibson, Snow Crash di Neal Stephenson, La matrice spezzata di Bruce Sterling e anche la fondamentale antologia Mirrorshades, sempre di Sterling, che del cyberpunk letterario fu una sorta di manifesto ai tempi della sua prima pubblicazione nel 1986.

 

E, sempre non a caso, Bruce Sterling ha mantenuto un particolare legame con l’Italia a partire dalla rubrica Futurama apparsa sul mensile di Repubblica dedicata al pubblico più giovane, Repubblica XL, per quasi dieci anni, durante i quali Sterling si è anche trasferito in Italia (a Torino per la precisione) rimanendoci per lungo tempo.

 

Sua di diritto, dunque, la prefazione che accompagna questa antologia e che inizia così: “Il cyberpunk nasce come movimento letterario, ed è questo il motivo per cui questa raccolta esiste. Nel giro di breve tempo, però, la sensibilità cyberpunk si è diffusa anche ai film, ai videogiochi, ai fumetti, alla musica pop e alle serie televisive. Oggi il cyberpunk ha quarant’anni, quindi ormai tutti credono di sapere cosa sia. Grandi città distopiche immerse nella notte. Impianti neurali con porte d’accesso e lunghi cavi. Cyborg con videocamere al posto delle pupille. Giovani donne alienate con strane acconciature e grosse armi futuristiche. Tutti abbiamo visto queste immagini, ma come mai esistono? Be’, io ero il teorico del cyberpunk e a volte mi chiamavano 'il guru del cyberpunk'. Non tengo traccia di tutte le cianfrusaglie cyberpunk che mi capita di trovare (perché ci annegherei), ma capisco come funziona. Gli italiani dovrebbero saperne qualcosa, perché l’Italia è, tradizionalmente, la nazione non anglofona che più apprezza il cyberpunk in tutto il mondo. Per esempio, questo libro è un’antologia di importanti opere cyberpunk che non esiste in nessun altro paese a eccezione dell’Italia. Gli italiani, bisogna riconoscerlo, amano comprendere a fondo le espressioni culturali”.

 

festival ars elettronica di linz

Il motivo per cui probabilmente l’Italia è la nazione che più apprezza il cyberpunk, al di là dell’iniziale intuizione del Ranxerox di Tamburini e Liberatore è legata al fatto che, proprio, l’Italia è stata uno dei centri più importanti di elaborazione critica del fenomeno grazie a un gruppo di persone in primis Raffaele 'Raf Valvola' Scelsi ed Ermanno 'Gomma' Guarneri, creatori prima della 'rivista internazionale underground' Decoder e poi della casa editrice Shake che in trent’anni ha pubblicato centinaia di titoli dedicati al cyberpunk ma anche in generale alle varie culture 'alternative' che si sono evolute nel tempo da quella 'industrial' a quella 'techno-rave' o, ancora, ripescando i testi fondamentali di quella hippie come New York Hipsters di Ed Sanders o delle Black Panthers.

 

Mai chiusa ufficialmente Shake Edizioni ha avuto nel corso del tempo momenti di difficoltà, legati anche al sovraccarico di lavoro che i fondatori si sono trovati a gestire con altre attività ma di recente è ritornata in gran forma pubblicando in breve tempo tre nuovi volumi: Ascolta con dolore di Klaus Maeck in primis, che traccia una sorta di ritorno alle origini visto che lo stesso Maeck è l’autrore del film Decoder che ha dato poi il nome alla rivista. Il libro è la storia della band sperimentale tedesca Einstuerzende Neubauten, un membro dei quali è stato il protagonista di Decoder. La seconda uscita va alle origini della 'black culture' con la fantasmagorica storia di Leadbelly - Il grande romanzo di un re del blues di Addeo e Garvin che scrivono con uno stile davvero scoppiettante; fino al ritorno all’analisi della cultura underground italiana con il recentessimo Buio dentro. L’età leggendaria del writing underground a Milano 1987-1998 che racconta gli albori della cultura hip hop nel nostro paese, diventata nel frattempo dominante nel mondo della musica dei giovanissimi con il rap e la sua evoluzione trap.

 

tre numeri della rivista decoder

A spiegare l'importanza del gruppo cyberpunk milanese ci pensa sempre Sterling nell’introduzione all’antologia: “Vorrei chiudere con qualche parola dedicata al cyberpunk in Italia, che è da sempre una roccaforte del nostro Movimento. Nel periodo di massimo splendore del cyberpunk, mi contattò il Dipartimento di Stato americano: volevano che girassi l’Italia in quanto terra di esportazione culturale degli Stati Uniti. Sapevo che là le nostre opere erano state accolte bene: sapevo, per esempio, che Mirrorshades. L’antologia della fantascienza Cyberpunk era stata piratata da un gruppo di punk a Milano. Il gesto non ci aveva infastidito minimamente - anzi, noi cyberpunk ne eravamo perfino onorati. (…) Milano, fu un’esperienza unica. Qui c’erano cyberpunk che non erano mai stati appassionati di fantascienza. I cyberpunk di Milano non apprezzavano granché neppure la fantascienza italiana.

 

 

Erano piuttosto autentici punk ma con i computer, anarchici cibernetici provenienti dalla scena dei centri sociali della città. Erano legati a una delle vecchie librerie beat di Milano, la Calusca, e avevano fondato una casa editrice propria, la Shake Underground. Ma non erano neppure scrittori e basta: erano un gruppo underground europeo e urbano che si occupava di controcultura. Eppure erano cyberpunk, e più di noi americani, a dirla tutta. Perfino dopo tutto questo tempo è difficile descrivere quanto quell’esperienza sia stata bizzarra e gratificante. Al posto dei fan che leggevano i miei romanzi, avevo incontrato questi cyberpunk milanesi che si comportavano direttamente come i personaggi di quei romanzi. Era come se io ne avessi predetto l’esistenza. Una volta Brian Eno ha detto che ogni progresso nella musica pop nasce da malintesi fra piccoli gruppi di persone lontane. A Milano si era verificato qualcosa di simile: una risposta italiana diretta ai nostri sforzi creativi, che ci faceva sentire davvero legittimati e incoraggiati. Non diedi nessun buon consiglio ai coraggiosi milanesi su come essere cyberpunk. Al contrario, dal momento che ero un agente ufficiale e autorizzato dell’imperialismo culturale americano, mi limitai perlopiù ad ascoltare cosa avevano loro da dirmi".

 

cyberpunk 3

Così, proprio come suggerisce Sterling, abbiamo contattato uno dei protagonisti di questa incredibile storia, Raffaele Scelsi, il cui pseudonimo era (e rimane) Raf Valvola per farcela raccontare. Raffaele Scelsi è laureato in filosofia con una tesi sullo strutturalismo della scuola di Praga, ha insegnato diversi anni per poi passare alla Feltrinelli dove ha diretto, prima la collana InterZone, dedicata alle nuove tecnologie e poi la famosa 'serie bianca' di Feltrinelli dedicata alla politica italiana e internazionale.

 

Come si è creato il nucleo della rivista Decoder?

“Ci siamo conosciuti con Gomma intorno al '79-'80. Con Philopat (scrittore che ha narrato la storia del punk con Costretti a sanguinare e Lumi di punk e in seguito fondatore di un'altra casa editrice, Agenzia X) e gli altri che avrebbero fatto parte della cooperativa Shake, che erano più giovani, un po' più tardi. Con Gomma abitavamo a cento metri di distanza e, visto che in quel periodo non c’erano in giro tante persone con la cresta o addobbati strani, dopo un po' è stato naturale riconoscersi e salutarsi".

 

Ma tu nel primo periodo del Virus (una casa occupata dai punk in via Correggio a Milano) c'eri già?

"Lo frequentavo dagli inizi, a partire dai primi concerti, anche se io politicamente non ero di stretta osservanza anarco-punk ma sostanzialmente un libertario. Anche musicalmente gli ascolti erano un po' diversi, più orientati verso la sperimentazione, dalla new wave di Xtc e Tuxedomoon alla No Wave dei Contorsions, il jazz dei Lounge Lizards all'elettronica dei Kraftwerk. E così il background culturale, era più variegato: i punk erano quasi tutti di estrazione proletaria, spesso facevano i meccanici o lavoravano in piccole fabbriche mentre il gruppo che si definiva 'creature simili' era composto perlopiù da studenti universitari. Dei punk condividevamo la ribellione, la cultura del 'do it yourself' ('fai da te' e quindi autoproduzioni di dischi, concerti, fanzine, ndr) però avevamo anche un diverso tipo di strumenti culturali. L’incontro definitivo tra i due gruppi avvenne nell'84 con l’occupazione del Teatro di Porta Romana, in quella che venne chiamata La notte dell'anarchia. Lì si teneva un incontro sulle 'Bande spettacolari giovanili' in cui alcuni punk si tagliarono con delle lamette sporcando di sangue dei volantini poi distribuiti al pubblico che dicevano: 'Questo è il mio sangue: analizzatelo! Forse scoprirete quali sono i miei veri bisogni'”.

 

Cosa si contestava ai sociologi?

“Il fatto che invece di classificare i fenomeni per quello che erano come insegnava la scuola di Edinburgo, quella di Dick Hebdige per esempio, con il suo Sottocultura. Il fascino di uno stile innaturale, in cui applicava le categorie gramsciane di egemonia e di rappresentanza di classe attraverso degli stili, questi sociologi tendevano a classificarli sotto i parametri della 'devianza'. Hebdige tra l’altro invece leggeva anche la grande differenza tra 'cultura underground' e 'sottocultura'".

 

Qual è?

“La sottocultura, come dice il termine, sta all'interno dei codici dominanti della società. Per esempio, la cultura 'skinhead' è una sottocultura perché ha un approccio rispetto alla  famiglia di tipo tradizionale dove l’uomo sta sopra e la donna sotto, sono nazionalisti e pur nella loro diversità anche paramilitaristi e sono quindi organicamente inglobati all’interno del sistema dominate. La controcultura invece crea valori totalmente differenti rispetto a quelli dominanti. Ad esempio la cultura hippie contrappone alla famiglia mononucleare quella allargata, al sesso ripetitivo mononucleare un sesso gioioso, alla vita in città quella in comune in campagna. Ha insomma una specularità di approccio rispetto alla società”.

 

cyberpunk 4

Quali sono le altre controculture?

“L’ultima è stata il punk anche se alla fine, a distanza di molti anni, devo dire che era molto più di derivazione da quella hippie di quanto noi credessimo: l’importanza di temi come il ruolo delle donne, del vegetarianesimo, la vita in comune erano simili. Come sintetizzato in particolare dalla parte del punk rappresentata dal gruppo inglese dei Crass e della galassia che gli girava intorno. Quell'impostazione politica è quella che più ha caratterizzato l’esperienza italiana, quella milanese in particolare, dentro anche un percorso che aveva come background i mille movimenti politici di protesta con cui non sempre era facile dialogare”.

 

Eravate considerati da tutti degli alieni…

“Il luogo dove ci siamo confrontati agli inizi è stata una libreria: la Calusca di Primo Moroni che ci aveva aperto le porte. Per i frequentatori abituali era uno shock al sabato pomeriggio veder arrivare tutti questi ragazzi vestiti di giubbotti di cuoio, creste colorate e così via. Oltre ai movimenti politici a frequentare la Calusca c’erano anche l’antipsichiatria, cose così. A un certo punto Primo ci diede un suggerimento: perché non provare a fare un giornale che mettesse insieme tutte queste varie anime? Quest’idea col tempo fu abbandonata però dopo un paio d’anni di discussione durante i quali ci riunivamo ogni settimana arrivammo a fare finalmente il primo numero della rivista grazie ai soldi raccolti con un concerto dei Casino Royale, che erano appena nati, tenuto all’Helter Skelter, uno spazio che avevamo iniziato a gestire all’interno del Centro Sociale Leoncavallo. Da lì sarebbero passati negli anni molti artisti importanti della scena punk e sperimentale come Henry Rollins, i D.O.A. e persino gli allora sconosciuti Sonic Youth (il loro punto massimo di espressione, Daydream Nation è fortemente ispirato dalle opere di Gibson, basti pensare a brani Sprawl, gli immensi agglomerati urbani di cui parla a partire da Neuromante, ndr). Tanto che la rivista inglese I-D in un numero in cui segnalava i posti da andare a vedere in Europa segnalava proprio l’Helter Skelter, come unico in Italia!”.

 

 

E a quel punto nasce Decoder, la prima rivista cyberpunk italiana.

“Sì, a quel punto era il 1987 e, come dicevo, fummo attaccati da tutti perché i nostri codici non dialogavano con la sinistra dell’epoca, eravamo un corpo estraneo”.

 

Anche perché al tempo le posizioni della sinistra riguardo ai computer erano molto critiche per usare un eufemismo…

“Noi invece nel computer vedevamo uno strumento che permetteva di allargare la sfera della comunicazione il che ci ha portato ad essere attaccati sia dagli autonomi sia di Padova e di Roma fino agli anarchici torinesi, per non parlare del PCI che semplicemente non si è neanche mai accorto della nostra esistenza. Molti anche dei nostri vecchi amici non ci volevano addirittura parlare! Le uniche eccezioni furono alcuni intellettuali tra cui Sergio Bologna che avevano capito subito il tipo di novità che rappresentavamo”.

 

Il nome Decoder da dove veniva?

“Da un film dell’84 del regista tedesco Klaus Maeck in cui gli attori erano personaggi molto particolari: William Burroughs, Christiane F. che era stata la protagonista di un famosissimo libro da cui era stato tratto un film, I ragazzi dello zoo di Berlino, F. M. Einheit della band Einstürzende Neubauten e Genesis P. Orridge (due dei maggiori interpreti della scena musical-culturale cosiddetta “industrial”, ndr). Raccontava di un ragazzo che scopriva che la catena di fast-food inventata H-Burger utilizzava una musica con particolari frequenze, la cosiddetta 'muzak' di cui parla Burroughs nel suo libro La rivoluzione elettronica, che induce a comprare le merci che si trovano nei supermercati, fast food e così via anche se non se ne ha bisogno e allora sperimenta dei suoni capaci di invertire la dinamica della muzak creando una rivolta dei consumatori. Organizzammo una proiezione all’Helter Skelter con Klaus che avevamo contattato attraverso la rivista inglese Vague (una rivista di ascendenza situazionista che aveva pubblicato un articolo su quel film sperimentale, ndr) e con nostra grande sorpresa arrivarono centinaia di persone: evidentemente il fatto che ci fosse questo gruppo che si riuniva ormai da anni per parlare di questo tipo di tematiche aveva creato una sorta di mitologia nella scena underground e a quel punto il titolo della rivista non poteva essere che quello: Decoder”.

 

 

Quali erano le tematiche che affrontava il gruppo di Decoder?

“Il leitmotiv fondamentale è stato il rapporto con la cibernetica, con il computer. Dentro la redazione avevamo un mago dell’informatica la cui influenza è stata decisiva: il vaneggiamento filosofico-romantico mio e di Gomma si raffrontava a quel punto con qualcosa di estremamente reale e concreto. C’erano le reti, i collegamenti, le prime BBS (sta per 'Bulletin Board System' ed è un sistema telematico che consente a computer remoti di accedere ad un elaboratore centrale per condividere o prelevare risorse: fu il fulcro delle prime comunicazioni telematiche amatoriali, ndr). Così abbiamo iniziato a costruire un network che a un certo punto è stato il secondo nodo in Italia delle BBS dopo FidoNet: collegava decine e decine di città e ciascuno di questi nodi aveva degli addentellati nei vari Centri Sociali, tanto che per diversi anni i Servizi segreti italiani fecero una relazione in Parlamento sulla pericolosità che la nostra rete poteva rappresentare. Siamo stati monitorati per diverso tempo tempo: lo siamo venuti a sapere alla fine di un convegno che si tenne nel ’93 al Museo Pecci di Firenze quando era già stata approvata la legge Conso, una legge anti-hacker. In realtà, questo movimento di cui siamo stati uno dei motori fondamentali, ha costruito un vero e proprio sapere sulla privacy, sul no-copyright, sul digital-divide e l’access for all, l’accesso per tutti. Non eravamo semplicemente quattro pirla che stavano sulla Rete a cazzeggiare ma un vero e proprio fenomeno culturale, tanto che lo stesso Rodotà, ai tempi garante della privacy, si è relazionato con noi per molti anni e abbiamo anche realizzato delle iniziative insieme. Il ragionamento sulla Rete col tempo è cresciuto d’importanza e ha fatto sì che tutti ci comportassimo in maniera diversa: è diventato il prisma attraverso cui vedere il mondo con tutte le luci presenti nella realtà. E siccome eravamo persone che amavano studiare, siamo andati avanti ad approfondire questi temi e a elaborare anche un sapere unico”.

 

valvola con le apparecchiature per entrare nella realta virtuale

E così avete aperto la casa editrice: la Shake.

“Esattamente. Formalmente l’abbiamo aperta nel 1988 e nel 1990 abbiamo pubblicato l’Antologia Cyberpunk che da subito è stata un successo straordinario: ricordo che in Feltrinelli ce n’erano pile e pile. Ne abbiamo vendute qualcosa come 30mila copie. Evidentemente aveva colto una sensibilità che ancora non si percepiva: c’era un mondo che stava costruendo la propria professionalità sull’informatica. Al tempo stesso la politica, la sinistra in primis, di tutto ciò non sapeva nulla”.

 

Poi hanno capito?

“No. C’è voluto molto tempo. La cosa incredibile che molte delle questioni che ponevamo sono attualissime anche oggi. E quelle riflessioni che facevamo sono state importantissime: non solo il tema della privacy di cui si parla quotidianamente ma per esempio la questione del copyright: basti pensare ai vaccini! Se si ragiona sul fatto che la produzione centralizzata delle case farmaceutiche non è in grado di coprire il fabbisogno è evidente che l’unica possibilità è dare a tutto il mondo la ricetta in modo che ognuno possa colmare il suo fabbisogno. Anche perché altrimenti sarà un guaio che riguarda tutti: la vaccinazione deve essere contemporanea altrimenti continueranno a svilupparsi delle varianti del virus e noi continueremo a rincorrerle. Tra l’altro i paesi hanno dato dei contributi finanziari alle aziende che producono i vaccini e quindi potrebbero tornare in possesso della ricetta, corrispondendogli anche un fee ma evitando così ogni forma di speculazione. E poi, un altro tema su cui abbiamo combattuto, la differenza digitale, è oggi cruciale per la didattica ed è un segnale della differenza sociale. E ancora: la privacy. Oggi la nostra identità digitale fatta di conti correnti, luoghi che visitiamo, cose che ci piacciono o meno, costumi sessuali e così via, sono tutti assolutamente pubblici!”.

 

L’Antologia anticipava tutto questo?

“Il titolo esatto era: Cyberpunk. Antologia di testi politici. Non ci interessava l’approccio puramente telematico o da nerd ma porre l’attenzione sul fatto che ragionare sul cyberpunk era una questione che riguardava il nostro stare in società e quindi era un ragionamento di tipo politico sul sociale”.

 

Qualche tempo dopo tu stesso hai scritto un libro sul copyright...

“Sì, tre anni dopo, raccogliendo un po’ tutte le riflessioni ho voluto fare un testo su questa questione partendo dalla storia delle pratiche 'no copyright' nell’editoria ma non solo, per esempio, anche rispetto alle sementi, una questione su cui poi ha scritto Vandana Shiva. Argomentando sul fatto che la nostra era una società liquida prima di Bauman. Ma non me ne prendo il merito: a mia volta citavo una studiosa americana che si chiamava Pamela Samuelson che lavorava per l’Electronic Frontier Foundation, un'organizzazione internazionale no-profit di avvocati e legali rivolta alla tutela dei diritti digitali e della libertà di parola. E dunque se è tutto liquido diventa impossibile stabilire la proprietà privata di certe cose. Del resto 'privato' significa negare qualcosa agli altri, 'privare' appunto”.

 

il fondamentale libro di steven levy sugli hackers pubblicato da shake

Gli hacker quindi che cosa erano per voi?

“Certamente c’è stata una mitologia degli hacker, anche perché c’è stato questo libro di Steven Levy che abbiamo pubblicato per Shake che si intitolava Hackers - Gli eroi della rivoluzione informatica, che risaliva agli anni Cinquanta partiva raccontando le storie tecnologiche pionieristiche del MIT (il Massachusetts Institute of Technology è una delle più importanti università di ricerca del mondo, ndr). Per arrivare poi agli anni Settanta in cui questo il movimento hacker ebbe un’articolazione ancora più interessante perché in California, a Berkeley, uno strano personaggio che si chiamava Lee Felsenstein, realizzò il primo centro dove potersi scambiare una messaggistica elettronica, la prima BBS chiamata Community Memory. Lo fece in alcuni bar della città e da lì costruirà il nucleo di quello che si chiamerà 'Homebrew Computer Club', il gruppo di hacker che costruirà il primo personal computer”.

 

Chi erano?

“Erano i primi hacker sociali: Felsenstein, che inventerà il primo pc portatile, e gente come Steve Wozniak, Steve Jobs e Bill Gates, che invece ha l’idea di rendere proprietario il software. Perché invece, fino ad allora tu compravi il computer e dentro c’era il software: chi lo separa dalla macchina è proprio Bill Gates e scrive anche una lettera ai suoi colleghi il perché della sua decisione. L’industria informatica nasce così negli anni Ottanta con i primi pc della Ibm e quando Bill Gates inventa il Dos. Ma in realtà non lo inventa nemmeno: lo compra da una piccola società, la Seattle Computer Products dove era stato progettato dal 22enne Tim Paterson: si chiamava QDos e diventerà poi il famoso Ms-Dos, il Dos di Microsoft!”.

 

 

Il povero Paterson si sarà morso le dita.

“L’informatica è piena di storie simili".

 

Poi però la figura dell’hacker cambia…

la prima edizione della mitica antologia cyberpunk pubblicata da shake edizioni nel 1992 e ancora disponibile

“Con il film War Games si incomincia a creare l’etichetta dell’hacker come ‘cattivo’ mentre fino a quel momento indicava una persona con una grande conoscenza informatica e una ferrea etica che lavorava per il bene della società costruendo sistemi sempre migliori, una sorta di tecnico sociale”.

 

Ma il movimento americano del cyberpunk letterario l’avete incontrato?

“Con Bruce Sterling e William Gibson ci siamo conosciuti per la prima volta ad Ars Electronica a Linz, uno degli eventi fondamentali per chi si occupa di queste tematiche, nel 1990, Richard Kadrey (autore del romanzo Metrophage e di Cyberpunk, una guida schematica, ndr) l’ho conosciuto in California nel 1992, Pat Cadigan invece siamo andati a intervistarla a Londra per Decoder nel 1993, Neal Stephenson non l’abbiamo incontrato di persona ma abbiamo acquisito i diritti dei suoi libri tanto che infatti Snowcrash lo pubblicammo per Shake, così come Giro di vite contro gli hacker di Sterling”.

 

hakim bey in un reading nel centro sociale conchetta di milano organizzato da decoder

Perché non siete riusciti a diventare una realtà più grande?

“Molto semplice: eravamo troppo avanti. E, soprattutto, non avevamo i soldi. La Shake l’abbiamo fondata con 900mila lire mettendo 100mila lire a testa. Non riuscivamo a vivere con i suoi proventi così abbiamo dovuto cercare altri lavori. Sarebbe bastato trovare qualcuno che ci credeva e che ci avesse messo dentro 20-30 milioni e le cose probabilmente sarebbero andate diversamente”.

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DAGOREPORT - UN FACCIA A FACCIA INFORMALE TRA URSULA VON DER LEYEN E DONALD TRUMP, AI FUNERALI DI PAPA FRANCESCO, AFFONDEREBBE IL SUPER SUMMIT SOGNATO DA GIORGIA MELONI - LA PREMIER IMMAGINAVA DI TRONEGGIARE COME MATRONA ROMANA, TRA MAGGIO E GIUGNO, AL TAVOLO DEI NEGOZIATI USA-UE CELEBRATA DAI MEDIA DI TUTTO IL MONDO. SE COSÌ NON FOSSE, IL SUO RUOLO INTERNAZIONALE DI “GRANDE TESSITRICE” FINIREBBE NEL CASSETTO, SVELANDO IL NULLA COSMICO DIETRO AL VIAGGIO ALLA CASA BIANCA DELLA SCORSA SETTIMANA (L'UNICO "RISULTATO" È STATA LA PROMESSA DI TRUMP DI UN VERTICE CON URSULA, SENZA DATA) - MACRON-MERZ-TUSK-SANCHEZ NON VOGLIONO ASSOLUTAMENTE LA MELONI NEL RUOLO DI MEDIATRICE, PERCHÉ NON CONSIDERANO ASSOLUTAMENTE EQUIDISTANTE "LA FANTASTICA LEADER CHE HA ASSALTATO L'EUROPA" (COPY TRUMP)...