LA SACRA SINDONA - DALL’ARCHIVIO AMMINISTRATIVO DELLA DEMOCRAZIA CRISTIANA SPUNTANO LE CARTE DI UN PRESTITO DI 2 MILIARDI - MICHELE SINDONA E LA BANCA PRIVATA ITALIANA DIEDERO I SOLDI PER LA CAMPAGNA PER IL REFERENDUM SUL DIVORZIO - E SULLA RESTITUZIONE DEL CONTRIBUTO IL PARTITO SI SPACCÒ
Daniele Di Mario per Il Tempo
Non solo conti correnti, cifre, finanziamenti. Nell’archivio della Democrazia Cristiana, custodito nella sede della Fondazione Sullo ad Avellino, dove lo portarono Gianfranco Rotondi e Rocco Buttilione oltre vent’anni fa e visionato in esclusiva da Il Tempo, spuntano anche riferimenti ai misteri d’Italia. Tra questi il caso Sindona, il banchiere coinvolto nel crac della Banca Privata Italiana e assassinato in carcere con un caffè al cianuro. Niente dietrologie, nessun mistero: Michele Sindona spunta negli archivi della Dc solo per un prestito che fece molto discutere il partito. Nell’archivio se ne trova traccia dal ’74 alla metà degli anni ’80.
Il prestito da due miliardi
Quando scoppia lo scandalo della Banca Privata Italiana, magistrati e commissari liquidatori cominciano a fare luce sui movimenti di denaro avallati da Sindona. E su un prestito di due miliardi ricevuto dalla Dc per la campagna elettorale per il referendum sul divorzio del 1974.
Il primo giugno 1981 la Banca Privata Italiana in liquidazione scrive alla Dc e al segretario amministrativo Filippo Micheli «per il recupero di tutte le somme versate alla Dc e che no risultano mai restituite». È il secondo sollecito dopo il primo datato 21 aprile 1981 in cui i liquidatori chiedevano indietro due miliardi di lire versato «sine titulo» al partito. In caso di mancata restituzione si minaccia l’azione legale.
Micheli risponde di non aver mai ricevuto una lira dalla banca, respingendo come «del tutto infondata» la richiesta dei commissari. La lettera del primo giugno assume così contorni grotteschi, giacché i liquidatori contestano a Micheli «un macroscopico quanto incredibile equivoco», in quanto l’onorevole ha «scambiato la richiesta di restituzione delle somme chiaramente avanzata alla Dc rappresentata dal suo segretario amministrativo come richiesta a lui rivolta a titolo personale».
Chiarito ciò, «non possiamo che ribadire la richiesta di restituzione» di due miliardi erogati «come risulta inequivocabilmente da troppi elementi nonché da troppe e anche autorevoli dichiarazioni per poter essere seriamente contestato». Il 23 giugno 1981 rispondono gli avvocati di Micheli, chiarendo che non c’è stato alcun equivoco, perché «la richiesta restitutoria non doveva né poteva essere intesa a titolo personale, essendo ovvio che la richiesta dei liquidatori era diretta alla Dc» e a nome del partito, Micheli ha chiesto l’intervento dei legali.
Intervengono tutti, politici di livello e legali. Ciò posto, la richiesta di restituzione dei due miliardi viene respinta dal segretario amministrativo «perché del tutto destituita di giuridico fondamento come dimostra il fatto che essa risulta ancorata soltanto a un generico riferimento a cosiddette univoche e autorevoli dichiarazioni». Di qui l’invito ai commissari liquidatori di «accompagnare la richiesta con la mezione dei documenti bancari da cui a loro avviso essa scaturisce».
Caso chiuso? Macché. La Repubblica del 13 dicembre 1983 titola: «Forse la Dc dovrà restituire i due miliardi avuti da Sindona». Il partito si divide, omette, balbetta. L’archivio della Balena Bianca su questo è impietoso.
In tribunale
Ma agli atti c’è anche il carteggio interno tra gi avvocati e Micheli per la bozza di deposizione dinanzi al Tribunale di Milano. L’onorevole spiega di aver conosciuto Sindona «poiché, data la mia attività di amministratore del partito, ho rapporti con tutti gli esponenti della vita economica italiana» e che, per fare fronte alle spese elettorali del referendum, «non avendo in quel momento disponibilità adeguata nelle casse del partito», «ho preferito rivolgere la richiesta del prestito al banchiere Sindona anziché rivolgermi ad altri istituti, sia per la riservatezza dell’operazione, sia in quanto Sindona era in grado di provvedere in via del tutto personale».
L’operazione fu suggerita da un consulente e Sindona provvide. Tempo dopo Micheli restituì la somma «ugualmente in contanti» in due valigette e Sindona «mi riconsegnò la ricevuta che io avevo sentito il dovere di rimettergli al momento del grazioso prestito». Ricevuta strappata al momento della riconsegna dei due miliardi. Circostanza smentita da Sindona.
La risoluzione Minervini
A occuparsi della questione è direttamente il segretario politico Flaminio Piccoli che visiona le memorie e i commenti alla risoluzione del’on. Gustavo Minervini del 21 luglio 1981 e alla proposta di legge di Pennacchini per istituire una commissione bicamerale per vigilare sul finanziamento pubbico ai partiti e garantire trasparenza. Nella risoluzione si fa riferimento ai due miliardi ricevuti da Sindona nel 1974 a titolo di mutuo gratuito, quale provento di operazioni su «commodities». Minervini non nega che sia «controverso» chi abbia corrisposto i soldi - se Sindona o le banche - e propone, visto che nel bilancio del partito quei soldi non figurano, di «notificare ai commissari liquidatori gli atti a titolo gratuito compiuti dalle banche danti causa della Bpi in favore della Dc affinché provvedano al recupero delle somme erogate». Vista l’irregolarita del bilancio, la Dc propone la sospensione del finanziamento pubblico per l’anno 1974.