liliana segre

“SCEGLIEVAMO LA VITA ANCHE AD AUSCHWITZ” – L’ULTIMA STRAZIANTE LEZIONE DI STORIA E DI RESISTENZA DI LILIANA SEGRE: “PROVO PIETÀ PER QUELLO CHE ERO IO, QUELLA RAGAZZINA STRAPPATA ALLA SUA VITA E PORTATA AD AUSCHWITZ. CON LE LEGGI RAZZIALI SONO DIVENTATA INVISIBILE - DI FRONTE ALLA MORTE NON SERVONO TANTE PAROLE, PERCHÉ SONO INUTILI. QUANDO SI SENTE VICINA LA MORTE, C'È SOLO IL SILENZIO, IL SILENZIO SOLENNE, IL SILENZIO INDIMENTICABILE. IN QUEL MOMENTO VALEVA SOLO LA PROPRIA INTERIORITÀ"

Liliana Segre

 

liliana segre 7

Nel mio racconto c'è la pena, la pietà per quella ragazzina che ero io e che adesso sono, la nonna di quella ragazzina. So che è difficile vedendo una donna di 90 anni pensare che quella era una ragazzina. Un giorno del settembre del 1938 sono diventata "l'altra" e da allora c'è tutto un mondo intorno che ti considera diversa. E questa cosa è durata sempre, io sono sempre "l'altra". So che le mie amiche, quando parlano di me, dicono sempre "la mia amica ebrea" .

liliana segre tiene in braccio la figlia federica

 

Quando sono diventata l'altra a 8 anni, ero a tavola con i miei familiari, e mi dissero che non potevo più andare a scuola. Chiesi perché e ricordo gli sguardi di quelli che mi amavano e mi dovevano dire che ero stata espulsa perché ero ebrea. Una delle cose più crudeli delle leggi razziali fu far sentire dei bambini invisibili. Molti miei compagni non si accorsero che il mio banco era vuoto... e per anni non mi chiesero niente. Sono stata clandestina e so cosa vuol dire essere respinti. Si può essere respinti in tanti modi. . Di fronte alla morte non servono tante parole, perché sono inutili. Quando si sente vicina la morte, c'è solo il silenzio, il silenzio solenne, il silenzio indimenticabile. In quel momento valeva solo la propria interiorità.

liliana segre 8

 

Quello era il momento della vita e della morte . Auschwitz? Quando poi studiai Dante, anni dopo, mi resi conto che eravamo delle dannate condannate a delle pene. Entrando lì pensai di essere impazzita. Era un luogo pensato a tavolino da persone stimate nel loro mondo, un luogo che avevano organizzato per "l'altro", una realtà che funzionava da anni perfettamente. Noi dovevamo dimenticare il nostro nome, che non interessava a nessuno.

liliana segre 3

 

Da quel momento eravamo un numero che mi venne tatuato sul braccio: il mio era 75.190. Un numero che dovevamo imparare in tedesco . I bulli presi da soli hanno paura. Quelli che ho incontrato io si sentivano forti e invincibili, giovani nazisti ariani. Non erano della razza umana. Mi chiedono se ho perdonato e rispondo di no. Non ho mai perdonato, non ci riesco .

 

liliana segre con il padre alberto

Quando si toglie l'umanità alle persone bisogna astrarsi e togliersi da lì col pensiero se si vuole vivere. Scegliere sempre la vita. Io sono viva per caso. Perché tutte noi sceglievamo la vita anche a Auschwitz. Furono pochissime quelle che tra di noi in quell'inferno si suicidarono attaccandosi al filo spinato. Tutte noi sognavamo la vita, la vita fuori dal lager. Sognavamo i bambini che giocavano, i prati verdi, un gattino da accarezzare... Per scegliere la vita dovevamo diventare delle nomadi vaganti.

 

liliana segre 4

Paolo Colonnello per "La Stampa"

 

«Non voglio più testimoniare, non voglio più soffrire». L'ultimo racconto di Liliana Segre è il più difficile, il più sofferto. Anche se avviene davanti a una platea di giovani seduti a terra con le gambe incrociate e di uomini di potere che l'ascoltano commossi. Anche se fuori c'è un sole autunnale bellissimo e sotto il tendone bianco, quando lei finisce di parlare, l'applauso diventa interminabile e si capisce che tutti vorrebbero abbracciarla. Perché il ricordo non è facile anche se nelle parole di Liliana si trasforma in una straordinaria testimonianza di vita che quasi stordisce per la sua intensità.

liliana segre e lucia azzolina

 

Nella Cittadella della Pace di Rondine, un borgo medievale a quindici chilometri da Arezzo, la senatrice a vita decide di affidare il suo testamento ideale ai giovani di questa comunità internazionale che raduna ragazzi e ragazze nemici in patria, divisi da guerre cruente ma uniti in un progetto di pace unico al mondo. Liliana Segre ripercorre per l'ennesima volta la sua vita nel segno del dolore e di un fardello pesante di cui, ora che ha novant' anni, vuole liberarsi per sempre.

 

liliana segre e giuseppe conte

Tocca a noi, adesso, la responsabilità morale del ricordo. Ad ascoltarla le più alte cariche dello Stato, i presidenti delle Camere, il presidente del Consiglio, il presidente della Conferenza episcopale Italiana, la presidente della comunità israelitica, i ministri degli Esteri, degli Interni, dell'Istruzione. «Una persona di novant' anni come me - esordisce lasciando di stucco la platea - arriva a un punto in cui dice basta, ora voglio riposare, non voglio più soffrire.

 

giuseppe conte e luigi di maio

Da nonna, sono i ragazzi che io ringrazio, sono loro i miei nipoti ideali». Ma soprattutto, spiega Liliana, con un trasporto e una sincerità straordinari, ha fatto pace con i tumulti del cuore. «Nel mio racconto c'è l'amore, la pietà, il ricordo struggente di quello che ero io, quella ragazzina strappata alla sua vita e portata ad Auschwitz e di cui ora sono la nonna.

 

Una ragazzina cui adesso sono capace di stare vicina senza lacrime... Lo so che è difficile immaginarmi giovane. Ma anch' io sono stata ragazzina, avevo la mia piccola vita, quella che in un giorno di settembre del 1938 venne interrotta, facendomi diventare "l'altra". E quando si diventa "l'altra", c'è tutto un mondo intorno che ti considera diversa».

 

liliana segre 2

La sua è un'ineguagliabile lezione di storia e di resistenza che non a caso viene condivisa da centinaia di scuole in tutta Italia. E che insegna, più di ogni altro libro («i dettagli della prigionia andateveli a leggere...»), il valore della pace. Ma non del perdono. «Ogni tanto mi chiedono: signora, ma lei ha perdonato? No, mai, certe cose non si possono perdonare». Non si possono perdonare le leggi razziali fasciste che da un giorno all'altro la fecero diventare "l'altra".

 

LILIANA SEGRE

«Avevo otto anni, eravamo a tavola e mio padre mi disse: da domani non andrai più a scuola.... Perché, perché, perché? Continuavo a chiedere nella mia innocenza di bambina». Non si possono perdonare i nazisti che cercarono di creare il concetto di "razza superiore". «Ma superiori a chi? Alla razza umana? ». Non c'è perdono. Nemmeno per chi fece dei respingimenti la propria politica ipocrita. «Anch' io - dice - sono stata clandestina, respinta.

 

Fu quando arrivammo alla frontiera Svizzera dopo aver attraversato la montagna di Como nella neve. Un funzionario ci guardò con disprezzo, facendoci sentire quel nulla che eravamo. Ci rimandò nelle braccia delle guardie...». E però Liliana, che si commuove ricordando la sua amica francese Janine di cui in tutti questi anni ha sentito il peso di non essersi voltata a salutarla prima che venisse portata in camera a gas («quel giorno persi ogni dignità...») e a cui ha voluto venisse intitolata la nuova arena naturale di Rondine, conclude con un messaggio di enorme speranza.

liliana segre in senato

 

«Dopo la lunga marcia della morte, era ormai arrivato il giorno della liberazione: una guardia davanti a noi, gettò la divisa e la pistola, vestiva abiti borghesi, aveva paura. La sua pistola era lì, a portata di mano. Avrei potuto prenderla e sparargli. Mi sembrava un giusto finale. Ma non lo feci. Io non sarei stata come il mio assassino. E da quel momento, scegliendo la vita, diventai quella donna libera con cui ho convissuto finora».

liliana segre a che tempo che fa 1liliana e alberto segreliliana segre riceve la laurea honoris causa alla sapienza 2

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