LO “SCHETTINO” DI SPAGNA GUIDAVA IL TRENO A 192 KM ORARI MENTRE PARLAVA AL TELEFONINO (MA NON C’ERA ALCUN CARTELLO CON IL LIMITE DI VELOCITÀ)

Leonard Berberi per il "Corriere della Sera"

Era al telefono «con quello che sembra un controllore». Stava anche consultando delle mappe «o un documento simile di carta». Per questo non si sarebbe accorto di quello che stava succedendo. E quando ha azionato il freno non solo era troppo vicino alla curva, ma il bolide sfrecciava ormai a 192 chilometri orari. Per poi schiantarsi a 153.

A una settimana dal disastro dell'«Alvia 141» deragliato vicino a Santiago de Compostela (79 morti, 179 feriti di cui una quindicina ancora in gravi condizioni), è l'analisi delle scatole nere del treno delle ferrovie spagnole a raccontare un pezzo di verità. E a chiarire il ruolo di Francisco Josè Garzon Amo, il macchinista di 52 anni accusato di omicidio plurimo per «imprudenza» e ora a piede libero. Un professionista con trent'anni di attività che - al contrario di alcune indiscrezioni - «non era impegnato in una chiamata sul suo cellulare personale al momento dell'impatto», come ha chiarito ieri il tribunale della città della Galizia.

Quello che è certo è che nella curva «A Gradeira», il luogo dello schianto, il limite è di 80 chilometri orari. Secondo alcuni tecnici l'impianto può reggere fino a 120 km/h. Non i 192 dell'«Alvia». Il treno, scrive un rapporto della polizia, «ha viaggiato "fuori controllo" per almeno tre chilometri e fino a un massimo di sette».

Il resto è ormai cronaca. Il bolide che esce dai binari alle 20 e 44. Il penultimo vagone che si accartoccia. Un altro che fa un volo di 5-6 metri e atterra vicino a un gruppo di case. La seconda locomotiva che prende fuoco. Il bilancio dei morti che sale di minuto in minuto. E l'immagine di un signore con il volto ferito e la camicia insanguinata che fa il giro del mondo. Salvo poi scoprire che si trattava proprio del macchinista.

Anche quegli istanti sono finiti tra i documenti dell'inchiesta. Così come le prime parole di Garzon Amo. «Non preoccupatevi per me, sono ferito leggermente. L'importante sono i passeggeri», dice il macchinista ai soccorritori. E al commissario di polizia che gli chiede cosa sia successo, l'uomo risponde netto: «Ho fatto una cavolata, viaggiavo a 190 chilometri orari. È morto qualcuno?». Il 52enne viene rassicurato. «Ma come faccio a calmarmi? Con tutto quello che ho combinato preferirei morire».

Mentre le indagini vanno avanti, il quotidiano locale La Voz de Galicia scrive che ci sono almeno due punti da chiarire. Il primo: «Anche se il treno viaggiava a quasi 200 km/h la segnaletica elettronica prima della curva dell'incidente ha dato comunque il via libera». Il secondo: «A ottanta metri dal luogo dell'impatto non c'è nessun cartello che indica il limite di velocità di 80 km/h». Forse è anche per questo che il macchinista stava consultando un collega al telefono?

Dettagli, forse, per chi ha perso un parente. Perché nella memoria restano le immagini del disastro e quei post su Facebook in cui Garzon Amo si esalta mentre sfreccia a 200 chilometri orari. «Se è vero che questo macchinista si vantava di affrontare le curve con velocità spropositata è anche vero che non dobbiamo giocare con la vita degli altri», ha detto ieri pomeriggio l'arcivescovo di Messina, Calogero La Piana, nell'omelia della messa per i funerali di Dario Lombardo, il venticinquenne studente di Forza D'Agrò, l'unico italiano morto nel disastro. Gli amici del ragazzo si sono presentati con una maglietta bianca con la foto di Dario dentro un cuore e, alle spalle, la frase che proprio lui aveva scritto sul suo profilo Facebook: «Non ascolto il passato e non guardo il futuro. Mi sento vivo».

 

 

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