MORIRE SUL LAVORO NON CONVIENE – MASSIMO BERTASA NEL 2010 FU SCHIACCIATO DA UN MONTACARICHI MA IL TRIBUNALE DI MILANO ARCHIVIÒ IL CASO: FU COLPA DI UNA SUA “CONDOTTA ABNORME” – LA MOGLIE HA DECISO DI FARE CAUSA CIVILE E ORA DOVRÀ PAGARE 200MILA EURO DI...
Luigi Ferrarella per il “Corriere della Sera”
Ha perso il marito, e padre delle sue due bimbe di 8 e 11 anni, schiacciato da un montacarichi in un infortunio sul lavoro del 2010 archiviato in sede penale nel 2012 dalla Procura come «colpa» di una «condotta abnorme» proprio del lavoratore. E per contestare questa ricostruzione ha allora avviato nel 2014 una causa civile contro committenti e manutentori.
Perderla stava nel novero delle possibilità: ma a raggelare ora la donna, impiegata in un ente pubblico, è il vedersi accollare dalla sentenza del Tribunale civile di Milano il pagamento alle 10 controparti di tutte le spese di lite per complessivi quasi 200.000 euro.
Massimo Bertasa, «padroncino» di una ditta di autotrasporti di cui era uno dei due soci, con due dipendenti si era trovato il 9 novembre 2010, benché i tre fossero autisti e non facchini, a caricare su un montacarichi, dietro commessa di una ditta di Assago (Milano) e per conto di un' altra azienda, l' armadio di un server da un quintale: il montacarichi precipitò, uccise il 41enne Bertasa e ferì gli altri due, di cui uno trovato sul tetto della cabina insieme al server.
A detta del consulente del pm (un professore del Politecnico di Torino) le dimensioni in gioco e la geometria delle posizioni facevano ritenere che due dei tre lavoratori avessero forzato la cabina per consentire al terzo di sistemare l' armadio sul tetto. Il contrario di quanto detto dai sopravvissuti, che ricordavano di aver introdotto il mobile nel montacarichi e di essere entrati in tre, prima che la paurosa caduta proiettasse di rimbalzo l' armadio e uno di loro sul tetto.
Nell' archiviazione il pm Nicola Balice concluse che «sull' effettiva dinamica non si potrà, a parere di chi scrive, mai dare una parola definitiva», ma che comunque la vittima «eseguì e fece eseguire una operazione gravemente rischiosa» che fu «causa determinante».
La moglie del morto, Lucia Madini, con l' avvocato Renato Lanfranconi nel 2014 avviò allora una causa civile contro la committenza del lavoro, la proprietà e il gestore dell' edificio, l' appaltatrice e la subappaltatrice della manutenzione, i quali a propria garanzia (in caso di condanna) citarono le rispettive assicurazioni. Ma la X sezione civile ha rigettato la causa, ritenendo insuperabile in termini di «probabilità» e «verosimiglianza» la perizia dell' inchiesta penale.
Ora la moglie propone appello affinché sia rivalutato un video dal quale trae l' implausibilità della ricostruzione del perito, riconsiderato il peso dei due testi oculari, e valorizzato che il montacarichi avrebbe comunque dovuto non esserci perché privo della verifica biennale obbligatoria. Ma al di là del merito la sentenza civile pesa laddove, pur escludendo si tratti di lite temeraria, alla soccombenza della vedova fa seguire la sua condanna a pagare le spese di lite, in tutto per quasi 200.000 euro, sia alle 5 controparti sia ai 5 terzi (le assicurazioni) chiamati in manleva dalle controparti. In parte la decisione è dettata dalla sentenza 2012 della Cassazione, che addebita a chi avvia la causa (l' attore) le spese dei terzi citati dalle controparti a causa delle tesi dell' attore, anche se l' attore non ha fatto causa ai terzi. In parte deriva invece da una valutazione: la sentenza avrebbe potuto compensare le spese tra perdente e vincenti solo in caso di questioni «gravi o eccezionali», che la giudice Annamaria Salerno non ha ravvisato ritenendo invece che già l' archiviazione penale avesse cristallizzato la ricostruzione più probabile.