MENTRE SALVINI PENSA AI ROM, LE TRIADI CINESI IN ITALIA RICICLANO MILIARDI DI EURO, FRUTTO DI EVASIONE FISCALE E ALTRI REATI, SPOSTANDO ILLEGALMENTE I SOLDI IN PATRIA - 297 PERSONE RISCHIANO IL RINVIO A GIUDIZIO - INDAGATO ECCELLENTE, LA FILIALE DI MILANO DI “BANK OF CHINA”

Marco Gasperetti per il “Corriere della Sera”

TRIADI CINESITRIADI CINESI

 

La sensazione è quella di avere scoperto uno dei tentacoli, il più pericoloso e mastodontico, della piovra mondiale del riciclaggio. Che soltanto dall’Italia ogni anno riusciva a far sparire un miliardo di euro per trasferirlo in Cina. Soldi sporchi, frutto di evasione fiscale, contraffazione, immigrazione clandestina, reati doganali. Forse prostituzione. La Guardia di Finanza di Firenze ne ha contati per ora quattro, di miliardi illeciti riciclati all’estero, ma l’inchiesta già colossale potrebbe allargarsi.

 

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Con nuovi indagati e arresti. Oggi sono 297 le persone, per lo più orientali, che il pm Giulio Monferini vuole rinviare a giudizio per quello che potrebbe diventare un maxiprocesso. Venti di loro hanno anche l’aggravante di mafia, perché si muovevano come Triade comanda: minacce, intimidazioni, ricatti, violenze. Associazione per delinquere, trasferimento illecito di denaro all’estero, evasione fiscale, sono alcuni dei reati contestati dalla Procura.

 

Ma l’inquisito eccellente di questa inchiesta, iniziata almeno cinque anni fa, non è una persona fisica, ma un istituto di credito: la filiale di Milano di Bank of China, la banca di Stato della Repubblica popolare cinese. Secondo il pm almeno quattro suoi dirigenti (direttore e vicedirettore compresi) non avrebbero segnalato una sequela interminabile di operazioni sospette, omettendo i controlli imposti dalla legge.

TRIADI CINESITRIADI CINESI

 

Si parla di migliaia e migliaia di money trasfer che quotidianamente, soprattutto dalla Toscana, piccoli imprenditori e aziende cinesi inviavano via computer. Il «grande forziere», gestito da alcune famiglie cinesi in odore di mafia, aveva la complicità di una finanziaria con propaggini a San Marino ed era gestita per l’accusa, dalla Money2Money, società di «money trasfer» con sede a Bologna e ramificazioni in tutta Italia.

 

Per aggirare la legge, che prevede limiti di 2 mila euro portati poi a mille per ogni singolo trasferimento, l’organizzazione adottava la tecnica dei mini versamenti da 1999,99 prima e da 999,99 euro poi con falsi intestatari. I soldi più o meno sporchi, raggiungevano infine la Cina e tornavano candidi, pronti ad essere investiti in nuovi progetti, spesso illegali.

 

RICICLAGGIO DI DENARO jpegRICICLAGGIO DI DENARO jpeg

Secondo una delle ipotesi investigative, i soldi spediti via terminale in Cina servivano per acquistare altra merce a basso costo da importare e rivendere in Italia. Altri venivano trasferiti su conti correnti di personaggi ambigui o in uffici oscuri del Paese orientale. «Non erano rimesse di semplici immigrati — dicono gli investigatori — ma soldi di un’organizzazione criminale in cui la capacità economica dei gruppi mafiosi cinesi in Toscana, dediti ad attività economiche parallele e in nero e all’immigrazione clandestina, si rafforzava».

 

A scoprire la presunta organizzazione, ma meglio sarebbe chiamarla ramificazione, sono state indagini durate anni e sfociate in più inchieste parallele. Come quella che quattro anni fa assestò un colpo durissimo alla mafia cinese in Italia.

RICICLAGGIO DENARO SPORCORICICLAGGIO DENARO SPORCO

 

Furono coinvolte un centinaio di aziende cinesi, soprattutto a Prato e a Firenze, arrestate 24 persone, indagate altre 134. La Finanza sequestrò 181 ville e abitazioni, 73 aziende, 166 auto di lusso, 300 conti correnti. «È solo l’inizio di una lunga guerra ma siamo sicuri che riusciremo a recidere tutti i tentacoli di questa piovra», disse Pietro Grasso, allora procuratore Antimafia. Parole che oggi suonano profetiche.

 

 

 

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