MA DAVVERO LA FLUIDITÀ È LA PRIORITÀ? ORMAI PARE CHE L’UNICA PRIORITÀ DELLE NUOVE GENERAZIONI SIA SOLO L’IDENTITÀ DI GENERE E NON COME PORTARE IL PANE A TAVOLA. UN TRANELLO IN CUI CADE ANCHE LA SCRITTRICE CATERINA SOFFICI CHE CI INFLIGGE UN PURGONE CON TANTO DI QUESITI IRRISOLTI SUL LINGUAGGIO INCLUSIVO: “I PRONOMI SONO SOLO UN INCUBO ESTETICO (COME LE SCHWA E TUTTI GLI ASTERISCHI DEL CASO) O SONO SOSTANZA? SONO FLESSIBILITÀ INNOVATIVE OPPURE SOLO STORPIATURE FINTO-INCLUSIVE? PORSI QUESTE DOMANDE È GIÀ QUALCOSA E…”
Caterina Soffici per La Stampa
jennifer lopez emme maribel muniz 5
Jennifer Lopez sul palco del Los Angeles Blue Diamond Gala ha presentato sua figlia Emme Maribel Muniz, 14 anni, usando i pronomi neutri «them/they», né maschio né femmina. Munita di microfono color arcobaleno ha detto: «L'ultima volta che ci siamo esibiti insieme è stato in un grande stadio come questo. Da allora, chiedo loro (I asked "them") di cantare con me ma non l'ha fatto. Però questa è un'occasione molto speciale».
elon musk con la seconda moglie talulah riley e i figli xavier e griffin
Uno dei sette figli di Elon Musk ha avviato le pratiche per cambiare genere e nome. Xavier Musk, 18 anni, vuole diventare Vivian Jenna Wilson. Nei documenti pubblicati dal sito americano Tmz che dà la notizia si legge che la richiesta è motivata da «ragioni di identità di genere e dal fatto che non desidero essere imparentata con mio padre biologico in alcun modo o forma».
Sono due notizie, le ultime di una lunga serie destinata ad accrescersi. Perché l'identità di genere è un tema attuale e non più ignorabile e perché le nuove generazioni sono fluide. Si adeguano gli abiti (viste le ultime sfilate di Prada e Gucci?) e la società richiede che si adeguino anche le parole. Se le parole servono a definire e a indicare, la dicotomia cisgender maschile/femminile non basta più.
Il linguaggio non è mai neutro, e se non riteniamo più accettabile usare parole come «negro» o «invertito» è perché la nostra sensibilità è cambiata. Quello che prima era neutro, oggi è considerato razzista o sessista. Quindi They/Them, un generico pronome plurale per definire persone che in un dato momento della propria esistenza non vuole identificarsi in un genere.
In Italia il maschile generico sta imboccando il viale del tramonto ed è aperto il dibattito sugli asterischi («care tutte o tutti» oppure car* tutt*?) e sulla schwa, la «e» rovesciata che non riesco a scrivere perché sulla mia tastiera non c'è, ma che probabilmente nelle future tastiere fluide e inclusive ci sarà. (Al proposito consiglio l'interessante saggio pubblicato da Einaudi Così non schwa, dove Andrea De Benedetti analizza quelli che lui ritiene «i limiti ed eccessi del linguaggio inclusivo»). La questione non è semplice.
C'è sempre da capire se nasce prima l'uovo o la gallina, cioè se si parla in una certa maniera perché la società si è evoluta in una certa direzione (vedi il caso di «negro») o se è invece l'uso di certe parole che incentiva la società a evolvere in quella direzione. Mi spiego meglio con un aneddoto. Collaboro da anni al Ministry of Stories di Londra, il laboratorio di scrittura per bambini provenienti da realtà disagiate. Siamo un gruppo di scrittori, pubblicitari, creativi, disegnatori, registi, insegnanti eccetera e lavoriamo con l'immaginazione dei ragazzini per tirare fuori il loro potenziale e aumentare la loro fiducia grazie al potere delle parole e della scrittura.
Prima di ogni sessione ci sediamo in circolo e ognuno si presenta. Nome, cosa fai nella vita, cosa ti aspetti oggi da questo laboratorio. Sembra una pratica da alcolisti anonimi, ma in Inghilterra si usa così. Da quando siamo tornati in presenza, dopo il nome è stato inserito il pronome. Anche ai bambini delle elementari viene chiesto quindi di definirsi: he/him, she/her oppure they/them. La cosa mi ha inizialmente spiazzato, per la questione dell'uovo e della gallina. Chiedere a dei bambini di sei o sette anni di definire il proprio genere mi è parso eccessivo.
Ho pensato che induca un pensiero che non avrebbero e che a quell'età è giusto non abbiano. Ma poi ho anche pensato che in quelle stanze, su quei piccoli tavoli, le parole sono importanti. Uno dei motti del Ministry è che con le parole si può cambiare il mondo. E quindi forse anche con un pronome. E quindi forse è giusto che se lo chiedano già a quell'età.
Insomma, la questione non è facile, e da parte mia ho sospeso ogni giudizio. Però è chiaro che se anche al Ministry è arrivato il pronome, la questione non è più ignorabile. Se ce lo ponessimo anche qui, casi come quello del suicidio della professoressa trans Cloe Bianco non sarebbero neppure casi (ma questo è un discorso ancora più complicato e ci porterebbe troppo lontano).
Per rimanere ai due casi del giorno, molti teenager alle prese con la propria identità vorrebbero avere una madre come Jennifer Lopez, anche se 14 anni sono decisamente pochi per sapere se stai seguendo una moda o se è una presa di coscienza veramente consapevole. Mentre più chiara pare la scelta di Xavier/Vivian rispetto all'ingombrante padre Elon, che dopo aver votato Joe Biden ha cambiato di recente casacca e si è dichiarato repubblicano, allineandosi con un partito che sta cercando di limitare i diritti dei trans in molti stati d'America.
Uno per tutti il governatore della Florida Ron De Santis, promotore della legge «Don't Say Gay» che impedisce di parlare di questioni legate all'identità di genere nelle scuole e ha suscitato la reazione indignata della Disney. Lo stesso Elon Musk che sulla questione dell'identità di genere aveva scritto un messaggio su Twitter - poi cancellato- dove diceva: «Sostengo assolutamente i trans, ma tutti questi pronomi sono un incubo estetico». E quindi eccoci tornati alla lingua, come laboratorio sociale e di vita.
I pronomi sono solo un incubo estetico (come le schwa e tutti gli asterischi del caso) o sono sostanza? Sono flessibilità innovative oppure, come sostiene invece Andrea De Benedetti, solo storpiature finto-inclusive, perché «il linguaggio inclusivo è un'idea seducente, ma il cuore del problema sta quasi sempre altrove»? Porsi queste domande è già qualcosa.
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