SI FA PRESTO A DIRSI GAY – CARLO TRAGLIO, MANAGER DELLA VHERNIER (GIOIELLI): “IL COMING OUT È FACILE SE SEI IL CAPO DI UN’AZIENDA DOMINANTE COME APPLE” – “SE TIM COOK FOSSE STATO ALLA GUIDA DI UN GRUPPO FARMACEUTICO NON SAREBBE STATA LA STESSA COSA”
Matteo Persivale per “Il Corriere della Sera”
«Se Marchionne o Del Vecchio dichiarassero, faccio per dire ovviamente, che sono gay, non fregherebbe niente a nessuno. Esattamente come è successo per Tim Cook: perché, sinceramente, un’azienda che ha una posizione dominante sul mercato e un management di provata bravura non può avere ripercussioni se il ceo ammette di essere gay. Per un’azienda meno dominante? Non è così semplice. Il coming out di Cook non provocherà, credo, reazioni a catena nel mondo degli affari».
Carlo Traglio, presidente di Vhernier dal 2001, maison di gioielli «made in Valenza» di successo globale che ha appena festeggiato il trentennale, non si è sorpreso della «assoluta normalità, da non-notizia» seguita al coming out di Tim Cook, successore di Steve Jobs alla guida di Apple. Ma Traglio non è sorpreso neanche dal fatto che Cook sia stato il primo, e finora unico, amministratore delegato di un’azienda della classifica Fortune 500 a ammettere di essere gay.
ginni rometty capo di ibm e tim cook capo di apple
Allora vuol dire che gli altri 499 capi delle prime 500 aziende del mondo sono tutti etero? «No, certo — sorride Traglio —. Vuol dire che le altre aziende non sono la Apple. Non tutte hanno la sua posizione dominante e la sua cultura aziendale. Perché Apple è nata come azienda produttrice di innovazione, creatrice del nuovo, con un ceo in jeans, altro che il classico amministratore delegato americano tutto paludato in vestito grigio scuro e cravatta blu e scarpe nere lucide. L’America ha i manager più inamidati, più bravi a procedere a senso unico: è un ambiente conformista, Cook può fare quello che vuole perché la sua azienda ha dentro di sé valori dissacranti, controcorrente, innovativi. La grande maggioranza delle aziende, al di là del fatturato, non ha quell’identità».
Nel caso di Cook, secondo l’analisi di Traglio, ci sono addirittura dei vantaggi evidenti: «Apple da ieri è ancora più friendly, più aperta, come immagine davanti al mondo: crea innovazione e lo fa soprattutto per i giovani, che sono i primi a impazzire per l’ultima generazione di iPhone, basta vedere le code davanti agli Apple store».
La cultura imprenditoriale italiana, dice Traglio, non è apertissima al nuovo e neanche all’idea di un grande manager gay. Ma non lo è neppure l’America, che lui conosce bene (i suoi monomarca sono a Beverly Hills, New York, Miami, Palm Beach, Houston): «Se Cook fosse stato a capo di un colosso farmaceutico o dell’energia, avrebbe dovuto stare più attento: l’avrei vista male, un’uscita come la sua. Cook viene dall’Alabama: è uno che conosce, e capisce, gli umori dell’America profonda».
E la situazione europea, per un ceo gay che scegliesse di mantenere privata la sua vita privata? «I Paesi nordici sono davvero più avanti in tutto: ma solo quelli. Vogliamo andare a vedere quanti gay francesi nati in provincia restano in provincia, magari nelle zone agricole, e quanti vanno a Parigi? E in Italia? Vogliamo parlare della concentrazione di gay in città come Milano, Roma, Firenze? Non è questione di nord e sud, è questione di città e provincia, città e campagna».
La differenza tra grande business — anche dello spettacolo — e resto del mondo, secondo Traglio, sta tutta nell’esempio di Tiziano Ferro: «Quanti dicevano che dopo il coming out avrebbe perso pubblico si sbagliavano. Alle ragazze continua a piacere, ai ragazzi piace ancora di più. È bravo, serio, con un’immagine pulita. Lui ammette di essere gay e così facendo aiuta i ragazzi vittime di bullismo. Ma, sinceramente, chiediamoci se Tiziano Ferro fosse stato un operaio. In provincia. E si fosse alzato in piedi, un giorno, all’oratorio, e avesse detto di essere gay? Il tormento interiore nel fare coming out è uguale per tutti, le conseguenze non lo sono».
Matteo Persivale