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SE MI CERCHI TI CANCELLO – UN PADRE BIOLOGICO SI METTE A CACCIA DELLE FIGLIE ADOTTIVE CON UNA SERIE DI POST PUBBLICI IN CUI SBATTE SU FACEBOOK, NOMI E DATE DI NASCITA DELLE RAGAZZINE: LE ADOLESCENTI SE NE ACCORGONO, ACCUSANO IL COLPO E CHIEDONO INVANO PRIMA AL SOCIAL E POI AL GARANTE DELLA PRIVACY CHE I MESSAGGI VENGANO CANCELLATI – COSTRETTE A RIVOLGERSI AL TRIBUNALE DI MILANO, UN GIUDICE STABILISCE CHE…

Luigi Ferrarella per il Corriere della Sera”

 

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Facebook rispondeva di non ritenere di dover intervenire, e il Garante della Privacy rispondeva di non ritenere di poter intervenire: ma adesso il Tribunale civile di Milano accoglie il ricorso di due ragazze adottate, che lamentavano il destabilizzante «trattamento illecito dei loro dati personali» operato dal padre biologico sulla propria bacheca pubblica di Facebook, dove chiedeva agli utenti di aiutarlo a rintracciarle nelle loro nuove vite e famiglia adottiva.

 

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E in riforma del diniego del Garante della Privacy, per la prima volta il Tribunale ordina alla casa madre europea Facebook Ireland Ltd di rimuovere e bloccare tutti quei messaggi contenenti appunto i dati personali delle due figlie naturali, facilmente reperibili anche con il semplice utilizzo di qualunque motore di ricerca.

 

Un giorno che, come tante minorenni, curiosava su Facebook cosa uscisse abbinato al proprio nome e alla data di nascita, la ragazza - tolta tanti anni fa al padre biologico per gravi problemi familiari e data in adozione a un' altra famiglia insieme alla sorella maggiore - viene reindirizzata sul profilo pubblico Facebook (quindi da chiunque consultabile) di un uomo che, definendosi come il loro padre biologico, va cercandole chiedendo aiuto agli internauti: «Mi rivolgo a voi utenti di Facebook... Mi chiamo... e vivo nel paese di... vicino a...

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Tanto tempo fa mi sono state adottate due figlie», e giù nomi e date e luoghi di nascita di entrambe: «Sono state adottate per diversi problemi familiari, ma ora mi mancano, vorrei che sapessero che hanno un padre e una madre diversi da quelli che hanno...

Quindi se poteste condividere questo messaggio mi dareste una mano...».

 

Le due sorelle, «già affette da specifiche fragilità», stando anche alle relazioni psicologiche accusano il colpo, e specie la minorenne appare «destabilizzata» e «confusa» e «disturbata».

 

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Non vuole assolutamente attivare la speciale procedura che consente a chi è stato adottato di chiedere ai giudici di sapere chi fossero i propri genitori biologici (procedura che al contrario non è possibile al genitore biologico): anzi «ha paura di andare a scuola per timore di essere intercettata lungo il tragitto dall' uomo», e pure i genitori adottivi temono lo sconvolgimento del proprio equilibrio dovuto alla ora facile identificabilità e raggiungibilità del nuovo nucleo familiare.

 

Il primo passo legale è chiedere allora a Facebook la rimozione dei post con i dati personali delle ragazze divulgati dall' uomo senza il loro consenso, ma l' algoritmo del social network risponde asetticamente che «abbiamo esaminato il post che hai segnalato e non viola i nostri standard della community».

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Ovvio, non contiene parole di violenza o sesso o discriminazione razziale, eppure è paradossalmente più violento di esse per una ragazza che da un post su Facebook apprende in teoria chi sia suo padre biologico, non vuole rischiare di incontrarlo, ed è sconvolta dall' idea che nel proprio territorio e a scuola e tra gli amici possa essere disvelata una parte così sofferta e intima della propria esistenza.

 

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Il secondo passo legale è allora chiedere di intervenire all' Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali, il cui collegio respinge però il ricorso con la motivazione che «la fattispecie descritta non appare riconducibile nell' ambito delle finalità della legge 71 del 29 maggio 2017» sul cyberbullismo, giacché i post del padre biologico non avrebbero (come invece pretende l' articolo 1 della legge) «lo scopo intenzionale e predominante di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo».

 

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La ragazzina, al pari dei genitori adottivi parimenti in ambasce, con gli avvocati Grazia Ofelia Cesaro e Annamaria Pedroni impugnano allora il diniego del Garante della Privacy davanti al Tribunale civile di Milano.

 

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E qui la giudice della I sezione Martina Flamini, all' esito di udienze nelle quali chiama in causa come terzi (rimasti però contumaci) sia Facebook Italia sia la casa madre europea che sta in Irlanda, emette una sentenza che «accerta che i messaggi sulla bacheca pubblica» del padre biologico «costituiscono trattamento illecito dei dati personali delle figlie naturali», idonei a identificarle; e, in riforma del provvedimento del Garante, «ordina a Facebook Ireland Ltd la rimozione e il blocco di tutti i messaggi».

 

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In attesa delle motivazioni tra 60 giorni, dal dispositivo si intuisce che anche il Tribunale abbia ritenuto inservibile l' apparato sanzionatorio della legge di due anni fa sul cyberbullismo a causa del tenore letterale del suo articolo 1 (quello che appunto seleziona le condotte punibili solo attraverso gli «occhiali» della loro finalità o meno di «voler isolare» le vittime minorenni), ma nel contempo abbia ravvisato quantomeno lo sfondamento della trincea minima del trattamento illecito dei dati personali della minorenne.

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