CON LA TELECAMERA, FINO ALLA FINE - SIMONE CAMILLI E’ STATO UCCISO DA UNA SERIE DI COLPI INNESCATI FORSE DA UNA BOMBA ISRAELIANA INESPLOSA - CONOSCEVA LA GUERRA MA LA VIVEVA SENZA ESTREMISMI DI PARTE - LASCIA UNA MOGLIE E UNA FIGLIA

1. "UNA SERIE DI SCOPPI, COSÌ SIMONE È STATO SPAZZATO VIA"

Maurizio Molinari per "La Stampa"

 

simone camilli 1simone camilli 1

È italiano il primo reporter che muore a Gaza dall’inizio dell’attuale conflitto fra Hamas e Israele. Simone Camilli, 35 anni, è un videoreporter e lavora per l’Associated Press. Alle 9,30 del mattino incontra il proprio traduttore palestinese Ali Shehda Abu Afash, 36 anni, per andare a realizzare un video sul campo di calcio abbandonato di Beit Lahiya, nel Nord della Striscia, dove la polizia di Gaza raccoglie gli ordigni inesplosi segnalati degli abitanti.

 

Stretto fra un complesso di edifici religiosi e un centro di distribuzione alimentare, il campo già somma almeno mille ordigni. Si tratta in gran parte di obici, bombe e missili israeliani ma vi sono anche dozzine di razzi inesplosi lanciati da Hamas dall’inizio dell’attuale conflitto, lo scorso 8 luglio. Il Nord di Gaza è stata teatro di alcuni degli scontri più cruenti.

pierluigi camilli, padre di simonepierluigi camilli, padre di simone

 

L’appuntamento di Camilli e Abu Afash con gli artificieri è per le 10. Con loro c’è Hatem Moussa, 38 anni, fotografo di Ap. La polizia accatasta qui gli ordigni perché è un luogo poco distante dal suo quartier generale. Gli artificieri sono militari scelti, appartenenti ad un’unità guidata da Hamas e il problema che li impegna al mattino è, secondo Eyad Bouzom portavoce del ministero dell’Interno, «la bomba inesplosa di un F-16».

 

simone camillisimone camilli

È un ordigno da mezza tonnellata e a coordinare il tentativo di neutralizzazione è Taysir al-Houm, capo dell’unità di Nord Gaza, che ammette la difficoltà e chiede l’aiuto di Hazem Abu Murad, leader dell’intera squadra.

 

A raccontare la dinamica di quanto avviene negli attimi seguenti è Hatem Moussa, dal letto dell’ospedale Shifa, dove è ricoverato: «Vi è stata una piccola esplosione che mi ha scaraventato a terra e poi un secondo botto, molto più forte, che mi ha fatto perdere conoscenza».

 

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Moussa ritiene che sia stata «una bomba israeliana inesplosa» a detonare «causando ripercussioni a catena in ordigni più grandi, forse missili». Camilli muore sul colpo, assieme al traduttore palestinese, ai due capi degli artificieri e ad altri due poliziotti. Il fotografo subisce lesioni gravi e viene trasportato d’urgenza in ospedale, assieme ad altri tre feriti.

 

Nel piazzale antistante all’entrata di Shifa reporter locali palestinesi discutono l’ipotesi che a detonare sia stato in realtà un «bidone di esplosivo» ovvero una trappola per tank israeliani creata da Hamas ma risultata difettosa.

simone camilli 11simone camilli 11

 

«Simone aveva scelto di lavorare nella Striscia, rinunciando ad un servizio a Irbil, assieme ad Abu Afash sapeva dei rischi di questo servizio, ne avevano discusso ed avevano deciso di andarci comunque» dice Adel Hana, capo del servizio fotografico di Ap a Gaza. Per Najib Jobain, producer Ap nella Striscia, Camilli era «un fratello, ed era felice di lavorare qui».

 

Prima del tramonto si svolgono a centro città i funerali di Abu Murad, leader degli artificieri, sono in centinaia a prendervi parte sventolando i drappi verdi di Hamas e sparando in aria come non si era visto nelle settimane di combattimenti. Alla testa del corteo un imam grida «Il vostro esercito!» e la folla risponde «Al Qassam» riferendosi alle Brigate armate.

 

2. CON LA TELECAMERA A TRACOLLA IN VIAGGIO TRA UNA GUERRA E L’ALTRA

Francesca Paci per "La Stampa"

 

simone camilli 4simone camilli 4

Sembrava più piccolo dei suoi 35 anni Simone Camilli. Ma era solo l’aspetto. A Gerusalemme, dove dal 2006 ha trascorso la maggior parte del tempo, resta il ricordo di un ragazzo gentile, discreto, con un sorriso per tutti e la telecamera sempre a tracolla, un ospite mai litigioso e per questo egualmente benvenuto alle feste nella zona ovest e in quella palestinese, un reporter senza velleità assolutizzanti estraneo all’estremismo emotivo di cui si ammalano tanto facilmente gli abitanti come i visitatori della Città Santa.

 

Era sbarcato in Israele ai primi lampi della seconda guerra libanese, battesimo di fuoco per un laureato in storia e religioni islamiche fresco di stage all’Associated Press. E Simone non avrebbe chiesto di meglio.

 

simone camilli 3simone camilli 3

«Potrei dire che è uno dei tanti giovani che vanno fuori per lavorare ma lui non è stato costretto, ha scelto di intraprendere questo mestiere, lo aveva nel sangue e lo faceva con grande passione, sono fiero di mio figlio» dice il padre Pier Luigi, ex giornalista Rai e sindaco di Pitigliano.

 

Ieri sera, anziché tornare per il Ferragosto nella cittadina del grossetano nota come «la piccola Gerusalemme», ha ricevuto le condoglianze dell’Italia a cominciare da quelle del ministro degli Esteri Mogherini e si è messo in viaggio verso Gaza: «La settimana scorsa eravamo insieme in vacanza in Toscana, ci siamo sentiti ancora qualche giorno fa, gli ho ripetuto di stare attento. Era un ragazzo di poche parole, si limitava a dirmi di non preoccuparmi, che la situazione era tranquilla. Ora vado e ce lo riportiamo a casa».

 

un fotogramma del reportage un fotogramma del reportage "about gaza" di simone camilli

Gli amici di Gerusalemme non conoscono molto del passato di Simone, il liceo scientifico Morgagni, le prime esperienze all’International Found for Agricoltural Development, i cugini e gli zii accorsi in queste ore nella casa romana di Monteverde Vecchio.

 

Ma nessuno di loro, anche chi non lo vedeva da tempo, dimentica il giornalista riccioluto che tra una guerra e l’altra studiava per l’esame da professionista (superato nel 2008), che turbolenze mediorientali permettendo non mancava un barbecue domenicale affiancato dalla compagna olandese Ilva (oggi sua moglie e mamma della figlia di 3 anni), che senza tregua si metteva in moto per raccontare le operazioni israeliane Piombo Fuso e Pilastri di Difesa, il rapimento di Gilad Shalit e il rilascio del collega della «Bbc» Johnston, scambi di prigionieri, attentati, lo scontro intestino tra Fatah e Hamas, la vita dura di Gaza ma anche il Kosovo, la Georgia, la Turchia, l’Iraq.

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Il primo luglio scorso era a Mariam Bek, un villaggio tra Tikrit e Kirkuk dove i peshmerga curdi fronteggiavano e fronteggiano l’avanzata dello Stato Islamico. Un nomadismo professionale senza la tentazione della metamorfosi in nomadismo esistenziale, niente birignao del corrispondente di guerra oggi qua e domani là.

 

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Poche settimane fa l’Associated Press gli aveva chiesto di partire per Erbil ma lui, fatte salve le vacanze con la famiglia che vive a Beirut, aveva rinunciato per seguire il conflitto a Gaza, la storia che conosceva meglio e a cui aveva dedicato il documentario «About Gaza» che adesso rimbalza come un requiem sui social network.

 

«Stava pensando di rientrare a Roma, diceva che sarebbe tornato» racconta un amico che nonostante la distanza non ha mai perso i contatti. Amava il suo lavoro, insiste, non il rischio per il rischio: «Non era un tipo di quelli che si mette in prima linea per eccesso di adrenalina, non era uno malato di protagonismo». Purtroppo chi filma è spesso costretto alla prima linea, non può permettersi la posizione arretrata che a Simone Camilli avrebbe forse salvato la vita.

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