LO SPLENDORE E LA MISERIA DEL FOTOROMANZO, ECCELLENZA ITALIANA - L’AVANGUARDIA ISTINTIVA DEGLI ANNI SETTANTA, ODIATI, CONDANNATI, BOICOTTATI, POI IL DECLINO – DUE MOSTRE CELEBRANO IL GENERE, FIGLIO ILLEGITTIMO DEL FUMETTO E ATTACCATO ALLE GONNE DEL FEUILLETON…
Renato Minore per il Messaggero
Figlio illegittimo del fumetto e del feuilleton, mai riconosciuto dal primo e sempre attaccato alle gonne del secondo, il fotoromanzo è senz’altro un’eccellenza italiana.
Un prodotto originale e unico dalla popolarità immediata e fragorosa che si propagherà in tutto il mondo, dal Sud America dalla Turchia all’Olanda: in Francia Roland Barthes ne fu affascinato al punto di considerare Nous deux, versione transalpina di Bolero Film e Grand Hotel, «più osceno di Sade».
Al Palazzo Magnani di Reggio Emilia, in occasione della XIII edizione di “Fotografia Europea”, dalla prossima settimana una mostra a cura di Stefania Carretti, Lorenzo Immovilli ed Elisa Savignano, è dedicata alla storia, tutta italiana, dell’«amorosa menzogna», così in un suo documentario Antonioni chiamava il genere.
Cioè quel combinato di racconto popolare, striscia fumettistica e fotografia che produce avvincenti storie d’amore, tradimenti, virtù offese e buoni sentimenti premiati. Proletari in cerca di riscatto, figli di papà che si redimono. Donne che fanno scelte autonome, non più casalinghe ma hostess. Modelle che si compiacciono del loro corpo.
Romanzi narrati per immagini. Con sequenze di tavole, disegni e brevi testi di accompagnamento all’inizio. Poi, con le fotografie dei protagonisti e delle loro relazioni a dare corposità e realismo al racconto popolare. Infine, con i fotogrammi tratti da pellicole di successo, interpretate da attori già con un proprio seguito.
LUNGA VITA
Un’invenzione a dir poco fortunata con una lunga vita di oltre tre decenni, documentata anche da un’esposizione in corso al Mucem di Marsiglia che ne ripercorre la storia, dalle origini alle influenze sugli artisti contemporanei, con trecento opere esposte, riviste, fotografie originali, prove d’impaginato, film, materiali inediti provenienti dalla collezione Arnoldo Mondadori, editore che tra gli anni quaranta e ottanta pubblicò migliaia di fotoromanzi.
Un’invenzione che, in entrambe le mostre, è seguita con i suoi splendori e le sue miserie, nella sua fulminante esplosione iniziale che arriva fino agli anni Settanta. Quando il fotoromanzo è ancora (parola di Cesare Zavattini, uno dei suoi padri fondatori che collaborò alla nascita di Bolero film dedicato interamente al “romanzo a fumetti”) una forma di linguaggio che è «avanguardia istintiva».
Una «sorta di nuova cultura che nasce dai bisogni delle masse che impongono una nuova interpretazione in antitesi con quella che era monopolio di un gruppo». Qualche anno prima, il giovanissimo Enrico Berlinguer aveva compreso la reale portata di nuovo giornalismo letterario, con il suo mondo d’ingenuità, sentimentalismi, peccati e peccatucci spesso commessi con la fantasia piuttosto che nella realtà.
Alle ragazze che leggevano Grand Hotel, spiegava di non voler negare «il diritto di scegliere le loro letture, di appassionarsi alle avventurose vicende d’amore». Bisognava, però, essere consapevoli che chi scrive quelle storie vuole «farci palpitare per le avventure di altri, farci sognare per qualcosa che non appartiene al nostro mondo».
Sono gli anni in cui il genere passa da una tiratura di un milione e seicentomila copie agli otto milioni e seicentomila del 1976, di cui il Gruppo Lancio ne manda in edicola cinque milioni per centinaia di migliaia di lettori affezionati e d’insospettabili estimatori di quello che è un potentissimo mezzo di alfabetizzazione popolare: forse ancor più della televisione che non richiede “spettatori leggenti”.
Sono gli anni in cui i disegni, le illustrazioni, le illustrazioni delle sequenze fotografiche alimentano i sogni sentimentali, il bisogno di passione, la voglia di trasgressione accompagnando il difficile percorso di emancipazione delle donne italiane: dalle storie postbelliche di ambientazione neorealista alla rappresentazione dei conformismi anni ‘50 che vogliono una donna ancora fedele angelo del focolare, fino alla liberalizzazione sessuale e alle leggi che hanno consentito alle donne di conquistare il potere di decidere sul proprio corpo.
Nonostante i contenuti progressisti o proprio per questo, i fotoromanzi che mostrano alle masse come si possa raggiungere la felicità senza gabbie ideologiche e senza la divina provvidenza, sono odiati condannati boicottati dalla Chiesa che teme i più disinvolti costumi sessuali in essi rappresentati. E dal partito comunista che li detesta perché strappalacrime e intimisti, troppo hollywoodiani.
Entrambi si ricrederanno più tardi, senza grandi esiti: Famiglia cristiana fotoromanzerà alcune vite di santi e martiri, il PC progetterà con quel modello una serie divulgativa per contadini. Ma era il momento in cui il fotoromanzo usciva dal suo alveo, guadagnava proseliti, scendevano in campo anche storie con Renzo Arbore, Beniamino Placido, i satirici del Male.
LA DECADENZA
SYLVA KOSCINA E HELMUT BERGER IN UN FOTOROMANZO
Le mostre di Marsiglia e Reggio Emilia arrivano anche alla lenta decadenza del genere negli anni Ottanta, incalzato e sconfitto dal potere della televisione che propone il nuovo, le “soap opera” e più tardi il “reality show”, rendendo il genere residuale all’interno di poche riviste di taglio scandalistico e per un pubblico di lettori di età media superiore ai sessanta anni.
Ma le regole di narrazione del fotoromanzo si sono felicemente sciolte in altre forme comunicative. Basti pensare alle molte riviste dedicate alla vita e al gossip dei vip o presunti tali, dove la sincronia tra immagine e testo e la sequela del racconto è quasi sempre un perfetto fotoromanzo, ritoccato secondo le nuove esigenze del lettore.
Una cosa, infine, emerge con bella evidenza avendo sotto gli occhi le immagini di Reggio Emilia e Marsiglia: dinnanzi all’esplosione di massa privata e familiare, i fotoromanzi insegnarono a milioni di italiani la grammatica della retorica delle immagini fisse.
Gli album di famiglia che ognuno di noi conserva possono anche essere letti alla luce delle pause, degli atteggiamenti, delle riquadrature polarizzate di quelle riviste spesso così disprezzate o irrise. Nacque su quelle pagine un’estetica popolare fotografica che poteva rispecchiare anche i rapporti tra uomo e donna, tra genitori e figli che ogni famiglia portava con sé.