"CON L'IA FINIRANNO I LAVORI NOIOSI E FATICOSI, MA SERVIRA' IL REDDITO UNIVERSALE" - TOMMASO POGGIO, UNO DEI MASSIMI ESPERTI DI INTELLIGENZA ARTIFICIALE, FA LE CARTE ALL'IMPATTO DELLA TECNOLOGIA NEL MONDO DEL LAVORO: "CHATGPT NON VALE ANCORA UNA PERSONA, MANCA DI CREATIVITÀ. NON E' CHE DETTO CHE QUESTI SISTEMI POSSANO DIVENTARE INTELLIGENTI. NON SI PUÒ AFFIDARE UN LAVORO MOLTO DELICATO SOLO A UNA MACCHINA, SERVE UN SUPERVISOR" - "L'AI PARLA CENTO LINGUE MA NON GENERA NUOVI TEOREMI MATEMATICI: E' PROBABILE CHE IL SISTEMA DI APPRENDIMENTO ABBIA RAGGIUNTO UN LIMITE..."
Estratto dell'articolo di Francesco Rigatelli per “la Stampa”
Comincia oggi a Torino il Festival internazionale dell'Economia. […] E alle 19 Tito Boeri introduce Tomaso Poggio, direttore del Center for brains, minds, and machines del Mit di Boston, tra i massimi esperti di intelligenza artificiale, filo rosso del Festival.
Professore, il suo incontro si intitola La scienza e l'ingegneria dell'intelligenza. Quale disciplina vincerà la corsa all'Ai?
«Le neuroscienze con l'architettura dei neuroni e l'addestramento dei computer invece della programmazione sembravano guidare la ricerca sull'Ai, ma l'ingegneria negli ultimi dieci anni ha messo in discussione il paradigma precedente con i "large language model" che hanno portato per esempio a Chat Gpt. La storia però non è ancora finita perché non è detto che questi sistemi ingegneristici possano diventare intelligenti quanto gli esseri umani. Può darsi che per arrivare a tanto occorra tornare a studiare i segreti del nostro cervello».
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Quali progressi servono?
«Chat Gpt passa sicuramente un test di Turing, ma non vale una persona. Da un certo punto di vista è meglio, per esempio parla cento lingue, ma non genera nuovi teoremi matematici. Manca di creatività insomma. Può darsi che la prossima versione di Chat Gpt ci arrivi, però a questo punto io e tanti altri pensiamo che possa non farcela e che il sistema ingegneristico di apprendimento di dati abbia raggiunto il suo limite».
[…] Cosa comporterà l'Ai senziente?
«Già ora l'Ai è una rivoluzione grande che potrebbe diventare immensa, facendo scomparire certi lavori e comparirne altri. Potenzialmente più che in altre rivoluzioni tecnologiche».
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Si può essere ottimisti a riguardo?
«Sì, perché finiranno i lavori noiosi e faticosi. Le aziende produrranno di più e anche di notte. La società diventerà più ricca. Spetterà però alla politica redistribuire i benefici dell'Ai, prevedere un reddito universale di base e compiti sociali per le persone affinché non si deprimano senza lavoro».
[…] Nel 2016 disse: «Non è detto che l'uomo sia l'ultimo passo dell'evoluzione. È possibile che i robot ci rimpiazzino come specie dominante, ma il vero rischio a breve sono i posti di lavoro». La pensa ancora così?
«In principio ritengo che potrebbe accadere, ma la strada più ovvia sarebbe di collaborare con le macchine, anche dal punto di vista pratico e legale. Non si può affidare un lavoro molto delicato solo a una macchina, serve un supervisor».
Dal punto di vista della sicurezza sarà sempre possibile staccare la spina all'Ai?
«Credo di sì, ma la domanda è se saremo d'accordo a farlo».
[…] Tra i vari rischi di dominio, fake news e lavoro, il più temibile per lei è quello sociale dunque?
«Sì, ma vale la pena lavorarci e correre il rischio, così come si fa per esempio con la molto più pericolosa energia nucleare. Bisogna ricordarsi che ci sono grandi problemi nella scienza, l'origine della vita, dell'universo, la struttura del tempo e dello spazio, ma il tema dell'intelligenza è il più grande di tutti quindi se progrediamo su questo miglioriamo la nostra capacità di risolvere anche le altre questioni».
Un altro problema che lei mette in luce spesso è che i sistemi di Ai sbagliano e per esempio talvolta si inventano testi mancanti per coprire gli errori…
«Sì, l'Ai attualmente è fallace e non è chiaro come con l'approccio dei "large language model" si possano evitare questi problemi che paiono intrinseci. L'ingegneria potrebbe portare a un miglioramento, ma pure a una via cieca che non svelerà neppure il mistero della nostra intelligenza».
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