DEPORTATE IL SOPRINTENDENTE! – A TORINO ESPONGONO IN PIAZZA SAN CARLO UN VAGONE USATO DAI NAZISTI PER MANDARE GLI EBREI AD AUSCHWITZ E IL SOPRINTENDENTE AI BENI ARCHITETTONICI SBARELLA: “BARACCONE! VOLETE IL VAGONE? ANDATE AL MUSEO FERROVIARIO”
Paolo Griseri per “la Repubblica”
Rimuovete quel vagone, è «una pagliacciata ». Anzi, peggio: «un baraccone». Peccato che il vagone ferroviario in questione, un vecchio vagone degli anni Quaranta, sia uno di quelli che venivano usati dai nazisti per deportare gli ebrei ad Auschwitz. E che sia stato simbolicamente sistemato nel cuore di Torino, in piazza Castello, di fronte alla mostra su Primo Levi inaugurata a settant’anni dalla liberazione dei campi di sterminio.
Ma il soprintendente ai Beni architettonici del Piemonte, Luca Rinaldi, non vuole sentire ragioni. E in un’intervista al fulmicotone a Repubblica Torino spara a zero: «Piazza Castello è la piazza più prestigiosa della città, vincolata», e, quel che più conta, «sottoposta al parere dei miei uffici ». E il parere è negativo perché il vagone della memoria «turba la prospettiva della facciata juvarriana del palazzo».
Ma, il valore simbolico? Qui il soprintendente ha perso i freni: «Volete il vagone? Andate al Museo ferroviario ». «Allora perché non ricostruire la torretta per le guardie del lager?». E via ironizzando.
Era molto difficile che l’incredibile intemerata passasse inosservata. E infatti ieri mattina ha iniziato di buonora a collezionare condanne e richieste di ritrattazione. Il sindaco Piero Fassino ha chiesto che il funzionario «riveda la sua posizione» ricordando che «quello che il dottor Rinaldi definisce “baraccone” è il simbolo di quei treni piombati che hanno portato a morire 6 milioni di persone e viene esposto, per il periodo della mostra dedicata a Primo Levi, per ricordare a tutti quel terribile sterminio».
Nel primo pomeriggio il ministro Dario Franceschini ha dato del burocrate al suo soprintendente scrivendo in una nota che «il significato simbolico e morale della presenza in piazza Castello di un vagone piombato è superiore mille volte a qualsiasi valutazione burocratica». Associazioni partigiane, Comitati per la Resistenza, politici locali, parlamentari, la stessa Comunità ebraica torinese, hanno condannato sconcertati la clamorosa presa di posizione del funzionario. Che ora, inevitabilmente, rischia il posto.
Ieri dal ministero è giunta infatti la conferma che nei prossimi giorni arriveranno a Torino gli ispettori di Franceschini per vederci chiaro. Il soprintendente ha infatti imposto, nel suo provvedimento, che il vagone rimanga di fronte all’ingresso della mostra per due settimane e che poi, il 3 febbraio, venga rimosso. La mostra invece rimarrà aperta fino al 6 aprile. Per modificare il provvedimento ci sono due strade: o il soprintendente cambia idea o la partita viene presa in carico direttamente dalla Direzione generale del Ministero che potrebbe d’autorità cassare la decisione del funzionario.
Sommerso dal putiferio delle reazioni, ieri pomeriggio il soprintendente ha nuovamente dichiarato sull’argomento. Per dirsi «assolutamente d’accordo con il ministro Franceschini », e sciorinare una serie di particolari biografici che attesterebbero la sua sincera fede antifascista: «Mio padre era vice comandante di battaglione delle Brigate Garibaldi sulle colline astigiane» e addirittura «a Trieste sono stato nel Comitato di gestione del Museo della Risiera di San Sabba».
Quanto alla vicenda del vagone, la decisone di rimuoverlo dopo quindici giorni sarebbe stata presa «d’accordo con la Fondazione Levi». Le dichiarazioni di Fabio Levi, direttore della Fondazione, sono un po’ diverse: «Non intendo creare polemiche. Davamo per scontato che il vagone restasse lì per tutta la durata della mostra».
Inutilmente in queste ore a Torino molti ricordano le fiere da strapaese, non certamente in tono con la faccia di Juvarra, che si sono svolte recentemente nella stessa piazza. Il vero motivo del nein di Rinaldi è probabilmente da ricercare altrove e non sembra aver a che fare né con la storia del Novecento, né col purismo architettonico. Ma con una frase sfuggita al funzionario nell’infausta intervista: «Sono stato informato solo tre giorni fa dell’iniziativa. E infatti l’assessore mi ha chiesto scusa». Un delitto di lesa maestà?