CARO TOTO’, TI VOGLIO CELEBRARE – LAUREA ALLA MEMORIA, RENZO ARBORE TERRA’ LA “LAUDATIO”: "GROUCHO MARX, JERRY LEWIS, NON HANNO NIENTE PIU’ DI LUI. AVEVA RAGIONE SORDI: TOTO’ NON ERA UN ATTORE MA UN MIRACOLO. IL SUO SEGRETO? LA TENEREZZA" – I FRATELLI VANZINA: "IN LUI NOSTRO PAPA’ STENO RIVEDEVA UN PO’ DI SE STESSO" – L’AMORE DI TOTO’ PER IL CULO DELLE DONNE - VIDEO
Silvia Fumarola per la Repubblica
Ricorda ancora l' incontro mancato con Totò, quando con gli amici di Foggia andò in gita a Saint Tropez per vedere Brigitte Bardot.
«Lei sfrecciava con la spider, aveva accanto Jacques Charrier, il suo amore di quel periodo. L' ho vista così, di corsa, con i capelli al vento. Invece nella notte, in una stradina, sbucò Totò con Franca Faldini. Mi sono fermato, l' ho guardato a lungo, ma non ho avuto il coraggio di fermarlo».
Eppure Renzo Arbore ieri come oggi adorava il principe De Curtis, nel 1992 gli ha dedicato il programma di Rai1, Caro Totò ti voglio presentare, e quest' anno il 5 aprile, su sua proposta, a 50 anni dalla scomparsa del principe della risata, l' Università Federico II di Napoli conferirà a De Curtis la laurea nello spettacolo honoris causa alla memoria.
Arbore terrà la Laudatio academica «nell' Aula Magna in cui mi sono laureato in Giurisprudenza, una vita fa», aggiunge senza nascondere la commozione. «Chi avrebbe mai immaginato che ci sarei tornato per rendere omaggio al mio mito».
Il 15 aprile ricorreranno i cinquant' anni dalla scomparsa di Totò (1898-1967). «Un' artista», dice lo showman, «che ha cambiato la nostra vita, in meglio. L' umorismo di Totò è moderno e surreale, è difficile scegliere quale frase, quale battuta preferisco. Per non parlare dei film.
Sono tutti bellissimi. Ma se proprio dovessi scegliere: Guardie e ladri di Monicelli e Steno che ha interpretato con Aldo Fabrizi. Due giganti».
Arbore, nel '92 rese omaggio a Totò con un programma, stavolta con una laurea honoris causa.
« Ho portato avanti la proposta, ma voglio ringraziare il Magnifico Rettore Gaetano Manfredi, il Pro- Rettore Arturo De Vivo e il professor Palumbo. La cerimonia verrà ripresa e la manderemo in onda in uno speciale curato da Ugo Porcelli in onda su Rai2 la sera di Pasqua, Il mio Totò, condotto da Serena Rossi » .
Il segreto di Totò?
«La tenerezza. Prima di essere un grande, era un uomo straordinario e una persona perbene. Si leggeva nello sguardo, aveva una luce particolare. Nel suo modo di recitare c' era tutto, la mobilità, l' ironia, l' intelligenza. Lui fa sempre ri-ridere, rispetto a tanti che fanno ridere una sola volta. Puoi vedere i suoi film dieci volte e non ti stanchi mai».
Gli altri grandi come lo giudicavano?
«Sa cosa diceva Alberto Sordi? "Totò non è un attore, è un miracolo". Ha ragione perché era un fenomeno, aveva una mimica unica, parlava con il corpo. Parliamoci chiaro, Groucho Marx, Jerry Lewis, Danny Kaye cos' hanno più di lui? Niente. Anzi.
Tutto quello che fanno i grandi comici l' hanno imparato - e copiato - da lui. Il mio amico Corbucci ripeteva: "Totò era un artista grandissimo, salvato da registi frettolosi"».
Che vuol dire?
«Che per fortuna mettevano la macchina da presa e via.
Devo tanto a Totò, il gusto per la battuta, il rispetto del pubblico. Da anni, per colpa sua, mi sono reso conto che davanti alla tv sono affetto da "pasqualismo"».
Cos' è " il pasqualismo"?
«Provo a spiegarmi. Il "pasqualismo" nasce da una famosissima gag di Totò che andò ospite a Studio Uno con Mario Castellani Mi ha sempre fatto tanto ridere. Totò incrocia un omone che lo riempie di schiaffi, gridandogli: "Pasquale! Era un pezzo che ti cercavo. Beccati questo, figlio di un cane, finalmente ti ho trovato". E giù schiaffi. Dice nello sketch:
"Vediamo un po' 'sto stupido dove vuole arrivare". E giù ancora botte. Invece di difendersi, Totò ride e a Castellani che gli chiede "Perché non hai reagito?", Totò risponde: "E chissene frega, mica sono Pasquale". In tanti davanti alla tv ci sentiamo come Totò. Ci becchiamo qualunque cosa, per vedere dove possono arrivare».
"FINITA LA SCENA, NOSTRO PAPA' STENO LO LASCIAVA LIBERO DI CONTINUARE"
Fulvia Caprara per la Stampa
Nella vita di Enrico e Carlo Vanzina, figli di Steno, che con Totò girò 14 film, la presenza del grande interprete è stata centrale: «In Totò nostro padre vedeva un po' di sé stesso, ma soprattutto vedeva e apprezzava l' attore che non aveva paura di far ridere».
Così, nei ricordi dei Vanzina, il padre regista e il genio della risata vanno a braccetto, uniti da giorni e giorni di set vissuti insieme, ma anche da sincera amicizia: «Totò - racconta Enrico - abitava ai Parioli, eravamo abituati a riconoscere la sua macchina, una Cadillac con le tendine. E poi ricordo i tè con i pasticcini, nella casa dove viveva con Franca Faldini, quando aveva iniziato a perdere la vista.
Mi sono rimaste impresse le sue carezze sulla testa, lievissime, come se avesse paura di rompere oggetti delicati». Un «po' di soggezione», certo, era inevitabile: «Totò era un personaggio particolare. Mio padre aveva sempre in mente la sera in cui, al Teatro Mediterraneo di Napoli, aveva ricevuto un premio dalla sua città, ma era tristissimo perché dal mondo dello spettacolo non era venuto nessuno. A festeggiarlo c' era solo Steno».
Quell' anima divisa, quella capacità di essere due e non solo uno, accompagnava Totò in ogni circostanza: «Mio fratello Carlo mi ha detto della volta in cui da piccolo andò a vedere il suo ultimo film, Capriccio all' italiana , e stava seduto in mezzo, da una parte Totò, dall' altra Pasolini, che rideva a crepapelle. Finita la proiezione, usciti in strada, Pasolini si mise a giocare a pallone con Carlo».
Invenzioni, manie, colpi di genio, rivivono nella memoria vanziniana, formando il nucleo di un' eredità affettuosa: «Papà amava il fatto che Totò non improvvisasse mai. Anzi. Diceva che era maniacale, provava e riprovava tutto». Però Steno aveva imparato una cosa: «Non dava mai lo stop appena la scena era conclusa, ma lasciava libero Totò di continuare, fino a quando la sua verve comica non si era esaurita».
Amante delle donne, «in particolare del lato B», precisa Enrico Vanzina, solista per natura («con Sordi lavorò una sola volta»), Totò viveva in una sorta di sdoppiamento perenne: «Quando vedeva i suoi film, tornava a essere il Principe De Curtis e, ritrovandosi sullo schermo, si sbellicava dalle risate».