TRANQUILLI, LA CONSULTA NON DICHIARERÀ ILLEGITTIMI I PARLAMENTARI: CROLLEREBBE MEZZO STATO - MA PER RODOTÀ, LO SONO: “UN PARLAMENTO CON UN PROFONDO VIZIO D’ORIGINE”

1. MA PER LA CORTE NON C'È RETROATTIVITÀ E LA POLTRONA DEGLI ELETTI È SALVA
Liana Milella per "La Repubblica"

Esiste, o non esiste, alla Camera il rischio che un certo numero di deputati, numero stimato 148, selezionati in forza del premio di maggioranza che la Consulta ha appesa cassato, debba tornare a casa per essere sostituito da altri? È vero che questi deputati si "salvano" solo se la loro elezione viene convalidata dalla giunta per le Elezioni di Montecitorio prima che arrivino le motivazioni della sentenza della Corte?

Da una parte, a sostenere l'ipotesi catastrofista e ovviamente pro domo sua, c'è il capogruppo di Forza Italia Renato Brunetta. Dall'altra, c'è il presidente grillino della giunta che, interrogato, rivela fatti del tutto convincenti. Anche se lo stesso Grillo, almeno sul piano politico, definisce delegittimate queste Camere.

Ma in questa querelle che va avanti da giorni e che ha come unico obiettivo, peraltro dichiarato, quello di Brunetta di riprendersi i seggi attribuiti a Pd, Sel e Centro democratico, c'è un attore protagonista di tutto rilievo. Cioè la Corte costituzionale. La cui posizione, a ridosso della sentenza sul Porcellum, va spiegata per sgombrare il campo dalle ipotesi più strampalate.

Voci assolutamente autorevoli della Corte, e di cui Repubblica certifica l'assoluta rilevanza, spiegavano ancora ieri che «il problema sollevato da Brunetta non esiste, per la semplice ragione che il principio stabilito nella sentenza sul Porcellum non è retroattivo».

Ciò significa che la cancellazione del premio di maggioranza agisce nello stesso momento in cui vengono depositate le motivazioni della sentenza. Se si dovesse votare un minuto dopo, il premio non esisterebbe più e i partiti non ne potrebbero fruire. Mentre chi è stato eletto il 24 e 25 febbraio di quest'anno può stare tranquillo, la sua poltrona è solida.

Ma Brunetta insiste, da giorni martella chi ha intascato il premio, rivuole indietro i deputati, soprattutto adesso che quel premio è stato ufficialmente abolito. «Sono 148 deputati, e sono abusivi della sinistra" diceva ieri. Lì vede «decaduti» e «riassegnati». Esibisce i calcoli, il Pd calerebbe da 292 a 165, Sel da 37 a 21, mentre il centrodestra unito passerebbe dagli attuali 124 a 190. Come abbiamo visto, alla luce di quanto dicono le fonti della Consulta, la ricostruzione di Brunetta «è destituita di ogni fondamento giuridico, non esiste».

Altro è, ovviamente, se la rivendicazione è solo politica. Ma cambierebbe qualcosa se la giunta per le Elezioni della Camera, presieduta dal grillino Giuseppe D'Ambrosio, dovesse convalidare tutti gli eletti? Non cambierebbe nulla, perché la questione non riguarda la convalida da fare prima o dopo la bocciatura del Porcellum, ma la legittimazione stessa dell'elezione.

D'Ambrosio controbatte punto per punto la tesi di Brunetta. «Sta sollevando un problema che non esiste, a meno che la Corte stessa non dica che i 148 eletti con il preconvalida
mio di maggioranza se ne devono andare, ma poi mi deve dire anche come li devo sostituire». Ancora D'Ambrosio: «Sarebbe uno scenario da Apocalisse, in cui individuare i nuovi 148, verificare se sono eleggibili, tenere una riunione plenaria unica, con i vecchi e i nuovi 148 deputati, far votare in aula i vecchi 148 per i nuovi 148».

Una «babele irrealistica» chiosa D'Ambrosio, il quale spiega che la riguarda tutti i parlamentari eletti, non solo i 148 del premio di maggioranza. «Stiamo andando velocissimi, in pochi mesi abbiamo esaurito tutti i casi di ineleggibilità. Il nostro è un lavoro di verifica certosina, sulla base delle dichiarazioni di ciascuno, a caccia di conflitti d'interesse e ragioni cogenti di non eleggibilità o di incompatibilità...». una pausa: «Lei lo sa, noi del gruppo 5stelle a questi controlli teniamo tantissimo, non lasciamo nulla di intentato».

Dunque 630 verifiche, suddivise per le 26 circoscrizioni elettorali, di queste 13 già verificate e chiuse, ma altre 13 tuttora aperte. «Il regolamento ci dà 18 mesi, non c'è fretta» dice D'Ambrosio. Soprattutto perché bisogna aspettare ancora una volta la Consulta che, l'11 febbraio, deve decidere sul conflitto sollevato dal Friuli, il quale lamenta di essersi visto attribuire un deputato in meno, 12 anziché 13 posti. L'esito determina un effetto a catena perché altre 5 Regioni potrebbero accampare diritti sul deputato.

Non solo, «la convalida definitiva avviene solo quando la relazione del presidente certifica la validità del risultato elettorale nazionale, quindi complessivo. Fino ad allora tutto è aperto. Comunque - parola di D'Ambrosio - anche dopo una convalida definitiva «il presidente ha diritto di riaprire il dossier se riscontra ulteriori anomalie ».


2. LE RAGIONI DELLA CORTE
Stefano Rodotà per "la Repubblica"

Sono francamente incomprensibili alcuni attacchi alla Corte costituzionale, la cui unica colpa è quella di aver toccato un nervo da troppo tempo scoperto di una politica che ha perduto la dimensione istituzionale. La Corte ha rifiutato d'essere normalizzata, d'essere risucchiata nelle logica delle convenienze e dei rinvii, d'essere considerata parte di un sistema che sfugge regolarmente le proprie responsabilità. Ha così dato un buon esempio di autonomia, mostrando come ogni istituzione possa e debba fare correttamente la sua parte.

La vera decisione "politica" sarebbe stata quella di piegarsi alle richieste di ritardare la sentenza, per dare al Parlamento altro tempo oltre quello che già gli era stato generosamente concesso.

Non dobbiamo dimenticare, infatti, che la Corte aveva segnalato fin dal 2008 (e con ben tre sentenze) il fatto che la legge elettorale conteneva un vizio di incostituzionalità. Lo aveva fatto con un linguaggio prudente, ma assolutamente chiaro: "l'impossibilità di dare un giudizio anticipato di legittimità costituzionale non esime questa Corte dal dovere di segnalare al Parlamento l'esigenza di considerare con attenzione gli aspetti problematici di una legislazione che non subordina l'attribuzione di un premio di maggioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti e di seggi".

Queste parole erano state scritte dall'attuale presidente della Corte, Gaetano Silvestri, che all'indomani del suo insediamento, nel settembre di quest'anno, aveva voluto ribadire una volta di più la necessità di un intervento parlamentare che ci liberasse da una legge costituzionalmente viziata. Lo aveva fatto anche il suo predecessore, Franco Gallo.

La sentenza appena pronunciata, dunque, era assolutamente prevedibile, e nessuno nel mondo politico può dire d'esser stato colto di sorpresa. Ma proprio questa sua prevedibilità rende ancora più pesante la responsabilità di un Parlamento che è andato avanti per cinque anni come se nulla fosse, portandoci addirittura a nuove elezioni con una legge incostituzionale proprio nel suo punto più significativo, quello della composizione della rappresentanza, radicalmente distorta da un abnorme premio di maggioranza. Il punto chiave è proprio questo.

In una democrazia rappresentativa vi è una soglia oltre la quale la manipolazione delle regole finisce con il vanificare il valore del voto espresso da ciascun elettore. E probabilmente è anche questa la preoccupazione che ha indotto la Corte a dichiarare illegittime le norme che, escludendo la possibilità di esprimere preferenze, privano i cittadini della possibilità concreta di scegliere i loro rappresentanti.

La legge Calderoli ci aveva trascinato fuori dalla logica rappresentativa, e ci aveva abbandonato in una sorta di vuoto dove la logica costituzionale era stata sostituita dal potere assoluto di oligarchie ristrettissime (venti, trenta persone) di scegliere arbitrariamente 945 parlamentari. E tutto questo era avvenuto all'insegna della pura "governabilità", parola che aveva cancellato, con una evidente e grave forzatura, il riferimento alla rappresentanza.

Bisognerà attendere le motivazioni della sentenza per valutarne tutte le conseguenze. Ma l'attenzione oggi deve essere rivolta proprio a questi temi generali, senza introdurre argomentazioni improprie come quelle riguardanti il fatto che la Corte ci riporterebbe alla Prima Repubblica. Qual è il senso di questa critica? La Corte avrebbe dovuto evitare di fare il proprio dovere? O doveva addirittura manipolare la legge vigente in modo da renderla gradita a quanti oggi immaginano questa o quella riforma elettorale alla quale affidare equilibri e dinamiche politiche?

Davvero in questo modo la Corte si sarebbe sostituita impropriamente alla politica, alla quale invece è stata restituita la responsabilità della decisione. Questo è un segno ulteriore del rigore con il quale la Corte si è mossa, eliminando il vizio rappresentato dal premio di maggioranza, senza cedere ad alcuna tentazione di interventi manipolativi. I critici dovrebbero essere consapevoli di tutto questo.

Nell'esercitare il potere di approvare una nuova legge elettorale, al quale fa esplicito riferimento il comunicato ufficiale della Corte, il Parlamento dovrà tuttavia tenere ben fermi alcuni vincoli che già emergono con grande nettezza. Il primo riguarda il fatto che, legiferando nella materia elettorale, il Parlamento si era finora sostanzialmente ritenuto immune dal controllo di costituzionalità, per la difficoltà tecnica di far arrivare queste leggi davanti alla Corte.

Così che proprio le norme fondative della rappresentanza politica avevano finito con il costituire una categoria a sé, autoreferenziale, una zona franca, un territorio dove nessuno poteva penetrare, con effetti negativi per la generalità dei cittadini. Ora questo non sarà più possibile, e la legalità costituzionale potrà ovunque essere ricostruita. Il secondo tipo di vincolo riguarda l'illegittimità costituzionale di meccanismi che alterano il rapporto tra voti e seggi attraverso forzature maggioritarie. In questo modo è possibile restaurare quella democrazia perduta negli anni tristi del Porcellum.

La sentenza non travolge formalmente il Parlamento. Ma sicuramente incide, e profondamente, sulla sua legittimazione politica. Ferma la possibilità di approvare una nuova legge elettorale, comunque rispettosa del contesto ridefinito dalla Corte, davvero non sembra possibile che un Parlamento con un così profondo vizio d'origine possa mettere le mani sulla Costituzione. Fino a ieri questa poteva essere considerata una presa di posizione polemica di qualche politico o studioso. Ora è un dato istituzionale, ineludibile per tutti.

La Costituzione è tornata, e dobbiamo tenerne conto.

 

 

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