A TRIESTE NON C’È IL SOLITO TRANS TRANS - LA CITTÀ GIULIANA RAPPRESENTA L’ECCELLENZA ITALIANA PER I CAMBI DI SESSO - L’OSPEDALE “CATTINARA” E’ LA CASABLANCA DE' NOANTRI: DAL '94 A OGGI NEL NOSTRO PAESE IN 212 SI SONO SOTTOPOSTI A OPERAZIONE DI CAMBIO DI GENERE

Carmelo Caruso per “Panorama.it”

 

A Trieste l’uomo zucca si trasforma in Cenerentola, l’anatroccolo nato maschio rinasce cigno femmina. E dunque più che un ambulatorio di frontiera, l’ospedale “Cattinara”, sembra una liberazione, come le lancette a mezzanotte, non solo la prima eccellenza italiana di chirurgia urologica che permette dicambiare sesso, di ristabilire l’identità che il corpo ha intrappolato.

 

OSPEDALE CATTINARA DI TRIESTEOSPEDALE CATTINARA DI TRIESTE

Al dodicesimo piano della torre chirurgica non si mescola la sessualità, ma si separa la confusione, l’ambiguità che genera conflitto, che qui chiamano disturbo di genere, anzi disforia, come suggerisce Carlo Trombetta, professore di urologia, novizio instancabile e pioniere consumato di questi interventi che ancora si trascinano il pregiudizio, perfino lo scetticismo della categoria: «Anche tra i colleghi qualcuno ci irrideva chiamandoci “Casablanca”. Fare questo tipo di operazioni è stato un obbligo civile, ma un ghetto nello stesso tempo».

OSPEDALE CATTINARA DI TRIESTEOSPEDALE CATTINARA DI TRIESTE

 

E come avviene spesso, la battuta di spirito, il fascino esotico della città dove si realizzava l’inversione sessuale, nasconde il dramma vero della nazione clandestina che girovaga per avere un figlio, per conservare il seme, per riappropriarsi del genere e aggirare i divieti, cambiare nell’ombra: «A volte cerchiamo di guarire i guasti di cattivi interventi effettuati all’estero. In realtà, c’è stata una tratta anche per cambiare sesso e non solo per la fecondazione assistita» dice Trombetta.

LA CAMPAGNA DI BRUCE WEBER PER BARNEYS CON I TRANSESSUALI LA CAMPAGNA DI BRUCE WEBER PER BARNEYS CON I TRANSESSUALI

 

Con le sue 18 operazioni l’anno, Trieste può ricordare con fierezza di essere il faro di una medicina laterale, in divenire, fino a cinquant’anni fa inesistente, una risposta al transessualismo irrisolto che il codice Rocco puniva come «lesione alla stirpe» e che solo una legge di civiltà del 1982, una delle più avanzate d’Europa, ha dovuto riconoscere come una possibilità prevista dal diritto.

 

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E sarà la specificità dei luoghi, ma non poteva che essere questa città, la città trans-nazionale, il corridoio linguistico ed etnico, la capitale della psicanalisi che sviscera e spreme le ragioni del sesso, a modificare il genere e infine a riassegnarlo. Ebbene, nell’audace Trieste, la parola transgender ha smesso di avere l’impronta sporca del marciapiede, non è la dissolutezza e il vizio del sottosuolo, e non è neppure l’accoppiamento negli angiporti della trasgressione del regista tedesco Rainer Fassbinder, la sentina che ricorda gli orinatoi, la vera mescalina che tanto ispirava lo scrittore Jean Genet.

LA COPPIA TRANSESSUALE ARIN ANDREWS E KATIE HILL LA COPPIA TRANSESSUALE ARIN ANDREWS E KATIE HILL

 

Al Cattinara, la mancata corrispondenza tra corpo e genere viene risolta con un percorso stretto e sofferto di cui si fa carico la sessuologa Laura Scati, e solo nei casi più evidenti si conclude con la soluzione chirurgica, l’asportazione di pene e testicoli, o con la vera e propria costruzione, attraverso protesi, di un sesso maschile previsto negli interventi di cambio sesso, quelli da donna a uomo.

 

La pacificazione dal disturbo di genere richiede una cura ormonale, la diagnosi della psichiatria, la sentenza di un giudice civile che autorizzi l’operazione, seguita da un test di vita reale di sei mesi durante il quale l’uomo comincia a vestirsi da donna. «Abbiamo avuto una legge già nel 1982 che perfino il mondo anglosassone ci invidiava. Siamo riusciti con una modifica del 2011 a peggiorarla e allungare i tempi», racconta Mariachiara Di Ganci, un’appassionata legale, la più competente d’Italia per i casi di disforia.

 

LA COPPIA TRANSESSUALE ARIN ANDREWS E KATIE HILL LA COPPIA TRANSESSUALE ARIN ANDREWS E KATIE HILL

L’avvocato quasi rimpiange la vecchia giurisprudenza che attraverso un ricorso al tribunale ordinario, espletato in trenta giorni, autorizzava l’intervento chirurgico dopo un parere medico motivato e corale. «Oggi è esploso il rito. Serve un ricorso al pubblico ministero, una citazione al coniuge per chi è sposato. Attenzione, non è solo un cambio di modalità. Nella modifica della procedura si cela l’allungamento dei tempi (90 giorni) e la discrezionalità dei tribunali italiani».

 

La Di Ganci spiega che nella palude dei regolamenti, ogni corte si è organizzata a suo modo: «Ci sono tribunali che prevedono un contributo di 450 euro per istruire la pratica, altri che non lo prevedono. Di sicuro la sentenza non arriva prima di due anni. Dopo l’operazione chirurgica ricomincia l’ingorgo di timbri e sentenze per vedersi riconoscere il nuovo nome. Il percorso giuridico e medico sfiora gli otto anni».

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Eppure, secondo Trombetta, uno dei primi guasti risiede già nella parola «transessuale», tanto da proporre l’ecologia perchè allontana e continua a impedire la comprensione dei disturbi di genere, erroneamente intesi come una forma di sessualità estrema. «Oggi ad operarsi sono anche professionisti, medici, parrucchieri, tenenti dell’esercito, imprenditori, professori.

 

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Bisogna capire innanzitutto che non sempre al sesso corrisponde il genere. Esiste l’ermafroditismo, la doppia sessualità che era considerata addirittura sciamanica. Siamo diventati bravi in questa tipologia di interventi perché abbiamo imparato dai piccoli» dice sempre Trombetta che ricorda gli interventi effettuati sui bambini ermafroditi, quando lavorava all’ospedale di Sassari insieme al professore Emanuele Belgrano che considera il vero maestro e padre di questa letteratura clinica, anche lui oggi all’ospedale Cattinara. In Italia i primi interventi di cambio sesso risalgono al 1986 realizzati dal medico Marten Perolino all’ospedale Mauriziano di Torino, capostipite della “scuola piemontese” come la chiama Trombetta.

 

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E la modestia gli impedisce di riconoscere il rettorato della sua, quella triestina, una trans-equipe multidisciplinare che transita, attraversa i piani del Cattinara e che si è ibridata: radiologia, endocrinologia, chirurgia plastica, infettivologia, psichiatria, sessuologia. Gli istituti stranieri ammirano i traguardi raggiunti sin dal primo intervento uomo-donna compiuto a Trieste, gli studi efficaci come quello di Fabio Barbone, professore di epidemiologia, che ha censito per la prima volta la prevalenza della disforia restituendo i numeri europei: un caso ogni 12 mila maschi, uno su 30 mila per quanto riguarda le donne.

 

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Dal 1994 a oggi nel nostro paese in 212  hanno deciso di sottoporsi a operazione di cambio di genere. «Attendono nonostante gli anni, attendono sempre questo intervento come una rinascita» dice Mara Bagagiolo, responsabile infermieristica di dipartimento, soddisfatta di aver ridotto il tempo di attesa e incrementato il numero di interventi da 14 a 18, cosciente di un primato che Trieste non può fronteggiare.

 

Sono 24 i pazienti in lista di attesa nel 2014, sei quelli operati nel corso di quest’anno, tutti a carico del servizio sanitario, se si esclude la soluzione privata che ha un costo di 15 mila euro. Ma le richieste arrivano da fuori Regione, la Sicilia su tutte, la Lombardia. Finora sono solo 5 gli altri ospedali che praticano la chirurgia di genere, Milano, Torino, Roma, Pisa, Bari.

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Al Cattinara i pazienti che si sottopongono a intervento sono alloggiati in una stanza, esclusivamente separata dal reparto, la degenza dura circa dieci giorni, spiega la Bagagiolo che duella anche lei contro la scarsa efficacia della parola: «Non si è riusciti in realtà a spiegare che non si tratta di un comportamento sessuale, ma di una necessità». E già Michael Foucault che era innamorato dalle istituzioni totali e che sognava di fare un’archeologia dell’anomalia, di fronte alla transessualità deponeva le armi della filosofia e riconosceva il primato della medicina che qui si eleva con il bisturi e aggiusta il difetto, spezza le catene biologiche.

 

La metamorfosi è un’operazione chirurgica di sette ore che si divide in fase demolitoria e costruttiva, l’incisione di un’area chiamata perineo: una natura molle, pelle creta che si modella come su un tornio. Utilizzando lo stesso fascio di nervi il glande viene modificato in clitoride e creata la cavità vaginale con la stessa cute che viene asportata. Non sembra l’attività di un chirurgo plastico che lavora con villi, carne, arterie, tessuti, ma la riproduzione di un copista fedele che tende a superare l’autentico e quindi l’anatomia, a rigenerare il sesso che non si accetta.

 

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E però, all’ospedale Cattinara non c’è il folle entusiasmo della medicina che rapisce l’uomo di scienza. Trombetta è un genovese dibattuto, una passione per le novelle del Verga, ha il corruccio della morale, il tormento del pensiero, tanto da aver chiesto a monsignore Elio Sgreccia, massima autorità religiosa di bioetica, un testo da inserire in un’opera collettiva che alimentasse la fiamma del dibattito: «Condivido ansie. Ho trascorso la mia vita medica dedicandomi alla fertilità maschile. Oggi sono a chiamato a compiere un gesto che impedisce qualsiasi forma di paternità».

 

Il professore avverte che è forse arrivato il momento di chiedersi se, come avviene in Inghilterra, sia giusto rallentare la pubertà nei giovani malati di disturbo di genere, concedere la possibilità di crioconservare il seme per chi decide di sottoporsi a interventi di cambio sesso. E altrettanto utile sarebbe chiedersi se cambiare sesso possa essere considerato una patologia, o come rivendica il vicesindaco di Viareggio, Chiara Romanini, che si appresta a sottoporsi a intervento, solo un altro modo di vivere la sessualità e realizzarla.

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A Trieste c’è l’angoscia della ricerca che è speculazione e intelletto, l’equilibrio e il travaglio del medico che esprime brillantemente il direttore del reparto di chirurgia plastica, Zoran Arnetz, sloveno d’origine e protagonista degli interventi più difficili, il cambio sesso da donna a uomo: «Mi fa impazzire l’idea di espiantare una parte del corpo funzionante. Ma il medico non è un giudice, è solo un servo del paziente e ne accetta i bisogni fino a quando quei bisogni producono un male minore del male che si va a guarire».

 

E anche Giovanni Liguori, direttore della clinica chirurgica, che opera al Cattinara al fianco di Trombetta, simula nella riservatezza un dovere di cui sente di farsi carico: «C’è una richiesta ed è necessario che qualcuno risponda. Non siamo ne eroi ne maghi del bisturi. Ci prendiamo solo cura e cerchiamo di restituire serenità».

 

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Ebbene, la doppiezza, l’ambivalenza che nel mito di Salmace e Ermafrodito è eccesso d’amore «nulla dies a me nec me diducat ab illos», (gli dei non permettano che lui si separi da me, che io mi separi da lui), dopo l’intervento chirurgico svanisce. E lo testimonia Antonella che era Antonio operata a Trieste nel 2010, un’allegra faccia sorridente che non ha voluto sottoporsi ad altre operazione per ingentilirsi e che rifiuta di colorare le unghie come una donna: «Nessuna protesi per il seno, solo gli ormoni che continuo ad assumere». Ha conservato infatti la mascella da uomo quella che uno psichiatra canzonò: «Come si può essere donna con quella mascella?».

 

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Le mani sono quelli della fatica, da perito tecnico che si sporca nei cantieri, il fisico solido, una statura magnifica, un volto sano che la chirurgia non ha maltrattato e non ha mostrificato. Forse per questo risulta vera al punto da far dimenticare l’idea del transessuale che ha diffuso il cinema di Pedro Almodovar che l’ha emancipato svelandone solo l’aspetto lubrico o facendone la parodia, la donna del desiderio.

 

La sobrietà aggrada e affina Antonella che preferisce i pantaloni alle gonne («ho cominciato mettendo i collant sotto i pantaloni») che discerne l’offesa volgare dall’imbarazzo sincero («quando usano il maschile in buona fede non mi offendo») che rifiuta l’etichetta stupida che si è inventata la sinistra dorotea («se avessi un figlio non vorrei che mi chiamasse mamma, oppure genitore 1 o genitore 2. Mi inventerei la parola, la papà»).

 

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Anche Antonella ha atteso tre anni prima dell’intervento nel 2010 al Cattinara, sei da quando è stato diagnosticato il disturbo di genere: «Ricordo il momento in cui mi sono svegliata, il dolore fortissimo al polpaccio. Poi è stato il paradiso». Si è reinventata anche come imprenditrice e mostra la sede della sua nuova azienda nata da una mutazione anche questa, un passaggio di proprietà: «I clienti non mi hanno abbandonata, hanno compreso, hanno capito».

 

Trieste, dunque, dopo il disagio di Joyce, la nevrosi di Svevo, l’omosessualità che ha raccontato Saba, eredita il disordine buono, la polivalenza dell’identità. In quest’ospedale prende corpo una forma tutta nuova di trans-etica, la terza via, l’equidistanza tra obiezione di coscienza ed euforia medica.

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Separando il genere, in realtà non si elide ma si meticcia la mascolinità e la femminilità, si affranca la parte dominante che può finalmente palesarsi ed evadere. Qui il sesso assolto dalla peccaminosità è la vita che s’intensifica e raddoppia, la buona novella che sparge Mercurio, anche lui dio della metamorfosi, l’inquieto in movimento che transitava per i corpi, il funambolo che danzava sospeso tra terra e Olimpo.

 

 

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