L’OBBLIGO DI UN PASSAGGIO PARLAMENTARE PER PASSARE ALLA BREXIT NON SPAVENTA THERESA MAY: HA I NUMERI PER ANDARE AVANTI - IL PROBLEMA E' LA POSSIBILE SECESSIONE DELLA SCOZIA - IL PREMIER DI EDIMBURGO, NICOLA STURGEON, SOFFIA SUL FUOCO: “IL NOSTRO DESTINO SULLA UE NON PUÒ ESSERE DECISO DALLA DESTRA CONSERVATRICE DI LONDRA”
Federico Fubini per il “Corriere della Sera”
Theresa May sorride e parte tranquilla per incontrare Trump alla Casa Bianca. C'erano infatti due macigni lungo la strada della Brexit. Il primo era l'eventuale possibilità che venisse dato alle assemblee devolute della Scozia, del Galles e dell'Irlanda del Nord il diritto-dovere di delegare o meno a Londra il via alla Brexit. In sostanza che ne fosse riconosciuto un potere di veto. Il secondo che la Corte Suprema indicasse nello specifico l'iter da seguire nella procedura per l'attivazione dell'articolo 50 del Trattato di Lisbona.
Otto giudici su undici hanno tolto le castagne dal fuoco a Downing Street. Hanno, sì, confermato che la Brexit necessita di un passaggio parlamentare e che da solo l'esito del referendum di giugno non è sufficiente a legittimare le prossime mosse del governo. Decisione che era ampiamente pronosticata. Ma hanno però escluso interferenze delle amministrazioni scozzesi, gallesi, nordirlandesi e si sono chiamati fuori dal contenuto che la proposta di legge sulla notifica dell' articolo 50 e sull' avvio dei negoziati dovrà avere.
«È compito della politica e non della giustizia», ha spiegato la Suprema Corte, trovare il modo corretto. L'unico principio inderogabile è che la sovranità di Westminster non può essere aggirata e che dunque sia la Camera dei Comuni sia la Camera dei Lord hanno l'obbligo di pronunciarsi con un voto. Senza di esso il governo è privo della facoltà di notificare la volontà del distacco dall'Europa.
Questo pronunciamento è paradossalmente più una vittoria che una sconfitta per Theresa May e per il fronte della Brexit. I due grossi ostacoli che avrebbero comportato un rallentamento dell' iter disegnato da Downing Street sono stati eliminati. Adesso, sulla carta, ne resta un terzo: il tempo. Ovvero la necessità di inoltrare in fretta la proposta di legge a Westminster in modo che sia approvata in poche settimane e che sia rispettato il termine di fine marzo, indicato dalla May, per la comunicazione formale alla Ue.
A rigore di logica la Brexit marcia in discesa. I numeri non sono un problema. I conservatori sono maggioranza assoluta a Westminster, la disciplina di partito funziona. E i laburisti non hanno intenzione di «mettere il bastone fra le ruote», come ha ripetuto il loro leader Jeremy Corbyn, anche se chiedono un testo di legge non blindato ma emendabile con consenso trasversale. I liberaldemocratici sono poca cosa. Restano gli indipendentisti scozzesi, con una pattuglia di 54 parlamentari i quali preannunciano battaglia ostruzionista.
Ma soprattutto tornano ad agitare il referendum secessionista. Nicola Sturgeon, forte dell'ampio sì all' Europa uscito dall' urna in Scozia, è stata durissima: «Il nostro destino non può essere deciso dalla destra conservatrice di Londra. È giusto che ritorni nelle nostre mani». Il vero nodo politico che resta è proprio quello scozzese.
Escludendo l'assemblea di Edimburgo da qualsiasi momento decisionale sulla Brexit, si materializza il rischio di rendere più profondo il solco che divide la Londra antieuropeista dalla Scozia che chiede di restare nel mercato unico. E di conseguenza tornano a soffiare propositi indipendentisti.
Downing Street ha la strada spianata davanti. Nei prossimi giorni sarà presentata la proposta di legge per delegare al governo la notifica dell' articolo 50.
E, salvo sorprese impensabili ora, nel giro di un mese sarà approvata. Con o senza emendamenti, Theresa May avrà il mandato per avviare i negoziati. Ma il fantasma della secessione scozzese si accompagnerà al lungo e travagliato cammino della Brexit.