VIAGGIO NELLA "CUPOLA DELLA DROGA" NEI BOSCHI DELLA PROVINCIA DI VARESE - L'AREA, CHE SI ESTENDE PER OLTRE 52MILA ETTARI, È CONTROLLATA DA "LUOGOTENENTI" CHE GESTISCONO GLI AFFARI E LE TENDE DOVE VIVONO "SCHIAVI" CHE FANNO LAVORETTI IN CAMBIO DI DROGA - MOLTI DEGLI SPACCIATORI SONO MAROCCHINI CHE NON POSSONO ESSERE RIMPATRIATI A CAUSA DELLA LINEA DEL MAROCCO DI NON AGEVOLARE IL RIENTRO DI COMPATRIOTI INDESIDERATI...
Andrea Galli per www.corriere.it
Di tornante in tornante, più lesti d’uno scalatore; di bosco in bosco, più silenziosi d’un cacciatore. Nulla manca in questo scenario di crimini e abissi, di sangue e sofferenza — gli omicidi, le torture, gli stupri per la roba, gli adulti e i ragazzini tossici —, eppure la «Cupola della droga» volendo inquadrarla nel suo insieme, o il «Triangolo della violenza» volendo centralizzarne la geografia, non interessa. Zero fascino mediatico, scarse le mobilitazioni sociali, quasi assenti le riflessioni istituzionali, e quindi alla fine meno se ne parla meglio si sta.
Sarà forse che, dice un vecchio investigatore di sudore e fango, abituato a star dentro la (totale) realtà in un territorio produttivo e ricco, cattolico e riservato, a volte complice, che parliamo in prevalenza di balordi marocchini i quali occupano aree periferiche rispetto al Potere e al Teatro politico quali i boschi della provincia di Varese. Dunque per quale motivo mai l’argomento dovrebbe fregare?
Del resto anche il notorio ex «boschetto» di Rogoredo a Milano, transitato dall’essere una breve in cronaca a innesco di tesi di laurea, fu landa dapprima infernale quindi oggetto di un processo di resurrezione ma dopo insistite campagne giornalistiche, nonché ad assunzioni di responsabilità dei governanti (e decessi per overdose) successive a una lunga gestione demandata alle forze dell’ordine.
mappa spaccio nei boschi di varese
Ma qui? Boh, forse, chissà. Sì, le Procure di Varese e Busto Arsizio, insieme alla Questura di Michele Morelli e al Comando provinciale dei carabinieri del colonnello Gianluca Piasentin studiano, inseguono, braccano. Basta?
La «Cupola della droga» è presieduta da un capo-area con giurisdizione su numerosi boschi non per forza confinanti; ogni singola zona ha un luogotenente che vigila sulle basi logistiche, ovvero tende da campeggio (all’interno birre, affettati, sacchi di cipolle, batterie delle macchine per alimentare i cellulari) e grotte, che in Valganna abbondano; in tende e grotte vivono due, tre, quattro uomini; da loro dipendono i cosidetti «sottomessi», degli schiavi spesso italiani i quali in considerazione d’una dipendenza conclamata e cronica non sorretta da denaro, oppure reduci dalla scarcerazione, o ancora favorevoli alla quotidianità illegale anziché al lavoro, si consegnano ai pusher.
I «sottomessi» svolgono mansioni di autisti andando a prendere i clienti più facoltosi che approdano, per esempio, in stazione Centrale a Milano, e riportandoli ai treni, oppure lungo i tornanti agganciano i clienti che hanno contattato e contrattato e si avvicinano in macchina; i «sottomessi» diventano i loro accompagnatori con destinazione il nascondiglio della droga, eroina e cocaina di pessima qualità e quindi basso costo.
I nascondigli hanno coordinate note soltanto ai custodi, e variano di posizione con ritmo vorticoso. Le operazioni di polizia e carabinieri, in un contesto ampio — in provincia si estendono 52mila ettari boschivi — rasentano la sfida delle sfide. Individuare, sorprendere, addebitare lo stupefacente...
Il che nelle chiacchiere del contribuente e pure dell’evasore non genera la minima comprensione poiché le ansie e le paure reclamano soluzioni. Protestano i sindaci, chi a ragione in quanto dà battaglia e chi a torto raffigurando scenari privi di anomalie casomai si danneggi il turismo, ma i sindaci dovrebbero capire che lo sconfinamento necessita di verifiche anagrafiche della polizia locale.
Per sconfinamento s’intende il processo di abbandonare le residenze boschive e prendere dimora in antiche case dismesse, o infilarsi in appartamenti di piccoli paesi gravati dallo spopolamento. Oppure, terza situazione, di andare a stare da donne che nient’altro hanno da offrire in cambio della droga se non se stesse. Schiave dei pusher. I quali a loro volta sono stanziali in Italia, privi di qualsiasi documento, anzi già passivi di ordini disattesi di espulsione, e, laddove invece di recente ingresso hanno avuto come iniziale tappa dell’emigrazione la Spagna.
Sulle mancate espulsioni incide la linea del Marocco di non agevolare, per così dire, l’accettazione di compatrioti indesiderati. Hanno tra i venti e i trent’anni, in media, sono duri e spietati, armati di revolver e kalashnikov, abituati a obbedire eseguendo delitti e punizioni: predomina l’azione di spogliare, legare a un tronco, incidere la pelle con le lame, devastare la schiena con la frusta, abusare sessualmente.
Il termine «Cupola» sottintende una sorta di organismo unico, non un arcipelago di bande. Vero in parte: cristallizzata la comune provenienza (dal centro del Marocco facente perno sulla città di Béni Mellal, zona franca di reinvestimenti tipo Porsche e Ducati), l’impetuosa crescita della domanda determina un flusso costante, giorno e notte, di affari. E un divorante mercato per dominare i numeri di telefonino.
Sono pochi e rappresentano il legame diretto tra acquirente e venditore; contengono un pacchetto-clienti fidelizzato e sono sottoposti a un turn-over di coordinate, un giorno in Valganna e l’indomani ai confini del Milanese; l’affamato di droga sa quale cellulare chiamare, la successiva distanza da colmare è l’ultima preoccupazione; chilometri in macchina, o in scooter; siccome le segnalazioni dei consumatori da parte delle forze dell’ordine sono puntuali, servirebbe migliore strategia nel sospendere le patenti. Un’inezia dite? Se non lo si fosse capito, il problema è di tutti e ha infinite direttrici e responsabilità. Come avveniva a Rogoredo.