“BOIARDO A ME? MA PER FAVORE. IO NELL’INDUSTRIA CI SONO NATO” – VITA, OPERE E MISSIONI DI GIUSEPPE BONO, SCOMPARSO OGGI ALL’ETÀ DI 78 ANNI: “DA BAMBINO VOLEVO FARMI PRETE, MA ERO L’UNICO MASCHIO IN FAMIGLIA E SERVIVANO SOLDI. PAPÀ MORÌ QUANDO ERO PICCOLO, E AL NOSTRO PAESE LAVORO NON CE N’ERA” – L’ASCESA NATA DA UNO SGARBO DI BERLUSCONI, CHE LO PUNISCE METTENDOLO A CAPO DELL’ALLORA DISASTRATA FINCANTIERI. CHE LUI FA RISORGERE E DIVENTARE IL FIORE ALL’OCCHIELLO DELL’INDUSTRIA ITALIANA…
Francesco Ferrari per www.ilsecoloxix.it
E’ morto a 78 anni Giuseppe Bono, ex amministratore delegato di Fincantieri e figura storica dell’industria italiana. Pochi mesi fa era stato sostituito al vertice del gruppo con sede a Trieste da Pierroberto Folgiero.
IL RITRATTO
Lo chiamavano l’ultimo “boiardo” di Stato, e lui faceva finta di indignarsi: “Boiardo a me? Ma per favore... Io nell’industria ci sono nato, le mani me le sono sporcate davvero. Mica come quelli che non sono mai usciti dal salotto e un cantiere lo hanno visto solo al telegiornale”.
giuseppe bono ai tempi di finmeccanica
Faceva finta, perché l’ironia di Giuseppe Bono era una di quelle autentiche, taglienti, e lui la usava abilmente come un’arma per difendersi o attaccare, senza pesare troppo l’interlocutore: poteva essere il delegato sindacale o il presidente del Consiglio, poco importava. “E’ davvero intrattabile”, disse una volta un giovane capo del governo. “Meglio che impari a trattare con lui, perché in Italia è l’unico che mastica di industria”, gli suggerì un autorevole ministro.
SERGIO MATTARELLA GIUSEPPE BONO
“In fabbrica sono entrato quando avevo 18 anni – raccontava di sé - Da operaio, a Torino, a 1.300 chilometri da casa. Non avevo molta scelta: papà morì quando ero piccolo, e al nostro paese lavoro non ce n’era”.
Calabrese di Pizzoni, classe 1944, una vocazione sopita anch’essa per necessità («da bambino volevo farmi prete, ma ero l’unico maschio in famiglia e servivano soldi»), tifosissimo della Juventus, socialista capace di sopravvivere a governi di destra, centro, sinistra, grillini e tecnici, Bono è morto oggi, pochi mesi dopo avere lasciato Fincantieri dove ha lavorato per 20 anni nel corso dei quali ha letteralmente rivoluzionato l’azienda avuta in dote da Silvio Berlusconi.
Un’ascesa nata da uno sgarbo. Perché è tutto fuorché un regalo, quello del Cavaliere, che nel 2002 sottrae a Bono la poltrona di capo azienda di Finmeccanica (affidatagli appena due anni prima da Giuliano Amato) per consegnarla a Pier Francesco Guarguaglini. La contropartita si chiama Fincantieri, e ha tutta l’aria di una punizione, più che di un premio.
Ma Bono non si abbatte. Con l’ostinazione tutta italiana di un personaggio di John Fante, studia l’azienda, la riorganizza, va a caccia di nuovi clienti, cerca di decifrare un mercato complesso e tempestato di incognite.
E dove sa di non potere intervenire in prima persona, si affida a quelli che diventeranno i suoi fedelissimi. Come il suo predecessore Corrado Antonini, uomo di straordinarie relazioni internazionali che negli anni Novanta ha deciso di legare il destino di Fincantieri a quello di Carnival Corporation.
Bono, che ai salotti preferisce la vita in cantiere, gli cede volentieri il ruolo di ambasciatore dell’azienda. E insieme formano una coppia vincente: Fincantieri incassa in pochi anni ordini miliardari, fino a diventare leader al mondo nel settore crociere. Una crescita che si estende presto al settore militare.
Fabrizio Palermo Giuseppe Bono
È il 2009 quando Bono porta a casa un risultato storico: l’acquisizione dei cantieri navali americani Marinette. Fincantieri potrà costruire navi militari per gli Stati Uniti, mettendo un piede nel più ambìto dei mercati. «Siete un patrimonio del Paese, forgerete il futuro della Navy», dirà molti anni più tardi Donald Trump, il presidente della svolta autarchica, in un simbolico tributo al made in Italy.
L’esperienza americana rafforza un’idea che Bono coltiva da tempo: la necessità di creare un polo europeo della cantieristica capace di imporsi a livello mondiale. «È una questione di sopravvivenza: se non lo facciamo noi, lo faranno gli asiatici», avverte il manager.
I destinatari del messaggio sono Francia e Germania, che però fanno spallucce. I francesi, in particolare, non vogliono rinunciare all’autonomia dei cantieri di Saint-Nazaire, poi miseramente falliti. Per Parigi la proposta di Bono è semplicemente «irricevibile»: meglio trattare con i coreani di Daewoo, piuttosto che con les italiens.
Bono, dopo avere portato l’azienda in Borsa nel 2014, si prenderà la sua rivincita solo nel 2019, con la joint-venture siglata proprio con il francese Naval Group. Un sogno coronato a metà: l’altra e ben più importante alleanza, quella nel settore crociere, si fermerà due anni dopo per l’opposizione dell’Antitrust di Bruxelles. «Ma che Europa è, quella che impedisce a una sua eccellenza di crescere, affermarsi, creare lavoro?».
Nel frattempo, Bono continua la sua caparbia opera di diversificazione: bisogna essere capaci di costruire non solo navi, ma anche infrastrutture. Fincantieri si presenta al mondo nella sua rinnovata veste ricostruendo il ponte di Genova, al fianco di WeBuild. È l’inizio di una nuova era, suggellata da un altro momento simbolico: la realizzazione, a Miami, del nuovo terminal crociere di Msc.
Un percorso interrotto dalla scelta del governo Draghi di cambiare rotta e affidare la collaudata nave allestita da Bono al nuovo a.d., Pierroberto Folgiero.
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