mark zuckerberg

LA PRIVACY A MODO MIO - MENTRE FACEBOOK S’IMPICCIA DELLE VITE DI TUTTI, ZUCKERBERG OBBLIGA LA DITTA CHE GLI RISTRUTTURA CASA A FIRMARE ACCORDI DI RISERVATEZZA SUI DETTAGLI DELL’ABITAZIONE

Marta Serafini per il “Corriere della Sera”

 

I LAVORI A CASA DI MARK ZUCKERBERG  I LAVORI A CASA DI MARK ZUCKERBERG

A San Francisco, tra la 21esima e la Dolores c’è una casetta. Due piani, in legno scuro, un po’ cupa. Un’impalcatura nasconde le finestre. All’apparenza è un’abitazione come tutte le altre del quartiere. Di lusso, e in fase di ristrutturazione. Ma niente di eccezionale. A guardarla meglio si nota però che gli operai del cantiere se ne stanno a occhi bassi e non parlano quasi mai tra di loro. Un cartello avverte: «Proprietà della Sf Llc». 

I LAVORI A CASA DI MARK ZUCKERBERG I LAVORI A CASA DI MARK ZUCKERBERG


Tom, l’autista di Uber che mi sta accompagnando nella zona non ha dubbi: «Quella è la casa di Mark Zuckerberg», spiega tutto orgoglioso. Tom pensa di darmi uno scoop. In realtà la faccenda è nota già da tempo. Nel 2013 l’amministratore delegato di Facebook, stanco di vivere a Palo Alto, ha deciso di comprare un’abitazione in città. Tre piani per 10 milioni di dollari. 

I LAVORI A CASA DI MARK ZUCKERBERGI LAVORI A CASA DI MARK ZUCKERBERG


E fin qui niente di strano. Quella villetta è interessante per un altro motivo. Come svela il New York Times, Zuckerberg ha obbligato idraulici, carpentieri e imbianchini a firmare degli accordi di riservatezza severissimi sul contenuto e l’aspetto dell’abitazione. A re Mark e a sua moglie, regina Priscilla, per tenere celato al mondo il colore delle pareti della loro camera da letto, il tipo di legno scelto per il salotto o il marmo della regale toilette è bastato dunque andare da un avvocato, aprire il portafogli e chiedere un Nda, un non-disclosure agreement, ossia, un accordo che vincola il contraente a mantenere il più stretto riserbo sul servizio prestato. 


Così mentre noi comuni mortali condividiamo su Facebook pure il numero della nostra carta di credito e il nostro orientamento sessuale, facendo entrare nelle tasche di Zuckerberg miliardi di dollari tutti i giorni, lui si assicura la massima riservatezza con la servitù. 

MARK ZUCKERBERG  MARK ZUCKERBERG


La «colpa» però non è solo di Re Mark. Gli accordi di non divulgazione sono sempre più frequenti nella Silicon Valley. I giganti del tech sono disposti a sborsare tanti soldi e laute parcelle agli avvocati per dormire sonni tranquilli. Il venture capitalist Vinod Khosla ha bloccato l’accesso alla spiaggia della sua villa e ha messo delle guardie a presidiare l’ingresso facendo infuriare i vicini. Marissa Mayer che vive per lo più al Four Season di Market Street, per i suoi party fa blindare a suon di mance la penthouse dell’hotel. E chiunque entri a Twitter o in altri quartier generali delle società prima di varcare la soglia deve firmare lunghi e complessi papiri.

 

SUN VALLEY CONFERENCE MARK ZUCKERBERG E PRISCILLA CHAN SUN VALLEY CONFERENCE MARK ZUCKERBERG E PRISCILLA CHAN

Gli Nda, insomma, stanno diventando un’ossessione in California, tanto da aver sostituito le strette di mano. «Ti vedi, ti conosci e, nel dubbio prima di parlare ne firmi o nei fai firmare uno», spiega Eric Goldman, professore di diritto alla Santa Clara University School of Law. Figuriamoci se prendi qualcuno a lavorare per te, come nel caso di un operaio, di una cameriera o di un giardiniere. 


In realtà, secondo il Pew Research Center, questo comportamento è la faccia di una medaglia ben più complessa. Nel 2025 la riservatezza diventerà una cosa da ricchi, profetizzano gli esperti. E se molto tempo fa Hans Christian Andersen raccontava la storia dell’imperatore vanitoso che se ne andava nudo per il villaggio convinto di essere coperto da stoffe preziose, ora gli schemi si sono ribaltati. Il re non è più nudo.

 

MARCK ZUCKERBERG E PRISCILLA CHAN MARCK ZUCKERBERG E PRISCILLA CHAN

«Prima, se avevi tanto denaro era facile che i tuoi affari fossero pubblici. Oggi invece la privacy è un bene di lusso», spiega l’esperta di big data Kate Crawford. E il motivo è semplice da capire. «Usufruire di un servizio gratuito come un’app o un social network comporta dei costi, misurabili in termini di dati e informazioni personali». Il povero dunque si rassegni. La sua privacy è morta all’incrocio tra la 21 e la Dolores. E per tutto il resto c’è Facebook. 
 

 

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