“ANDAMMO CON PROIETTI AL CONCERTO DI RAY CHARLES: ERAVAMO GLI UNICI BIANCHI, CI FISSAVANO TUTTI. GIGI FECE UN SORRISONE ALLA MANDRAKE: 'MI STO CACANDO SOTTO'” – ENRICO VANZINA APRE LE VALVOLE E RACCONTA L’INCAZZATURA DI CLINT EASTWOOD A CUI AVEVA RUBATO IL PARCHEGGIO E LA FUGA DAL SET DI BOLDI, IL TE’ CON TOTO’, MONICA BELLUCCI A RIPETIZIONE DI DIALETTO (“MA CHE ME STAI A SCIPPA’ LU CULO?”), CAROL ALT E LA PAURA DI INGRASSARE, ALBERTO SORDI E QUELLA GAG CON LA FOTO DEL BEBÈ DELLA PLASMON CHE TENEVA SEMPRE CON SÉ. “MA CHI HA DETTO CHE NON HO FIGLI? GUARDATE 'STO PACIOCCONE...” - VIDEO
Giovanna Cavalli per il “Corriere della Sera” - Estratti
Deserto di Tucson, Arizona.
«Set di Sognando la California, 1991. Un caldo tremendo.
Mio fratello Carlo si arrabbiò con Boldi, forse per un ritardo. Massimo si offese a morte.
“Basta, lascio il film”, minacciò. E si allontanò a piedi tra i cactus. Camminò finché non divenne un puntino lontano. Ad un tratto però si fermò e cominciò a gridare disperato agitando le braccia: “Aiuto! Venite a prendermi”».
La fuga era finita.
«E pure l’arrabbiatura. Lui e Carlo hanno fatto pace e abbiamo ripreso a girare». Enrico Vanzina, 75 anni, oltre 120 film, sceneggiatore, regista, produttore e scrittore, in 48 anni di onorata commedia all’italiana può sfoderare un campionario infinito di aneddoti e racconti tra cinema e realtà. In attesa del prossimo ciak, ha scritto Noblesse oblige. Una storia di miseria e nobiltà (HarperCollins). «Il mio primo romanzo umoristico, ambientato nel 1980. Un film comico su carta, di quelli che ormai non si girano più per il cinema. Quando gli italiani andavano in sala a ridere dell’Italia, un rito che si è perso».
Protagonisti il principe romano Ascanio, giovane e squattrinato, e il suo maggiordomo napoletano Gegè, colto e astuto. Se dovesse ricavarci un film, chi avrebbe in mente?
«Mentre scrivevo di Gegè ho pensato subito a Vincenzo Salemme. Ascanio nel libro ha 35 anni, ma Christian De Sica lo farebbe meravigliosamente, lui non ha età».
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Il principe Antonio De Curtis era suo vicino di casa.
«Invitava me e Carlo, piccolissimi, a bere il tè con i biscottini».
Grande amico di papà Steno era Alberto Sordi.
«Quando gli domandavano perché non avesse avuto figli, Alberto tirava fuori dal portafoglio una foto del bebè della Plasmon che teneva sempre con sé. “Ma chi glielo ha detto che non ne ho? Guardi qui che bel pacioccone”. E lo baciava. “Bello de papà, quanto te voglio bene!”».
Con Proietti a New York
«Una sera andammo al concerto di Ray Charles. Io, Carlo, Mario Monicelli, Enzo Jannacci, Marco Risi e Proietti. Eravamo gli unici bianchi, ci fissavano tutti. Gigi, accanto a me, fece un sorrisone alla Mandrake. “Oh, io mi sto ca..ndo sotto”».
Al pub con Villaggio.
«A Londra per Io no spik inglish. Una sera prenotammo al The Buccaneer, un pub dove Paolo andava da ragazzo. Un tavolo per le 21. Arrivammo con un minuto di ritardo.
Il cameriere, inflessibile, ci rimandò indietro: “ Too late ” (troppo tardi). Ce ne andammo mesti. Nel vicolo, Villaggio declamò: “Capri, Ferragosto, l’una di notte. Antonio sta chiudendo la saracinesca del ristorante. Gli arrivo alle spalle e gli tocco un braccio. Siamo quindici. Non c’è problema, dottò. E riapre per noi”».
Rubò il parcheggio a Clint .
«Los Angeles, uffici di un boss della Warner, casting di Miliardi . Entrò un tizio agitatissimo. “Qualcuno di voi ha lasciato l’auto nel posto di Clint Eastwood?”. “Forse io” ammisi. “La tolgo subito”. Scesi nel parcheggio. Lui mi aspettava seduto sul cofano, con lo sguardo di ghiaccio dell’ispettore Callaghan. “Questo spazio è mio”, ringhiò. “Scusi, sono italiano, amico di Sergio Leone , okkei ?”».
Anzi che non ha estratto la Colt. Uno più cordiale?
«Vincent Gardenia, con cui abbiamo girato Luna di miele in tre. Una sera mi portò a cena in una zona malfamata di New York. All’uscita notammo dei ceffi tremendi. “Fingiamo di essere ubriachi e di litigare”, propose Vincent.
Cominciammo a barcollare e a spintonarci, scambiandoci insulti, mentre ci avvicinavamo alla macchina. Dopo di che ci siamo dati alla fuga».
Una sorpresa inaspettata .
«Il produttore Achille Manzotti ci convocò nel suo studio. Voleva proporci Sotto il vestito niente. Entrando, trovammo Michelangelo Antonioni. “Questo film lo aveva offerto a me, ci ho riflettuto ma penso che invece dovreste farlo voi due”. E così andò».
Le ripetizioni di Monica Bellucci.
«La scegliemmo per I mitici. Il suo personaggio parlava con forte accento umbro e lei, nata a Città di Castello, ci sembrava perfetta. Solo che Monica parlava un italiano pulito, non sapeva nemmeno una parola in dialetto. Così l’abbiamo mandata a lezione dal coach Max Turilli, specialista di umbro-marchigiano».
Si è più che sdebitata.
cast di selvaggi di carlo vanzina
«Ci serviva assolutamente vendere le cassette vhs del film, per pareggiare il bilancio. Dovevamo convincere un tizio a concludere l’affare. “Vi aiuto io”, promise Monica. E si presentò elegantissima all’appuntamento da Bice a Milano. Quando entrò calò il silenzio. Ovviamente abbiamo piazzato le cassette».
cecchi gori vanzina de sica al gilda
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La dieta di Carol Alt
«Venne a Milano per le riprese di Via Montenapoleone . Per essere ospitale, la invitai al bar. Ordinò un Irish coffee. “Non hai fame?”. “Sì ma non posso mangiare. Da ragazzina ero in carne e per questo a scuola mi prendevano in giro. Con molta fatica sono dimagrita e adesso ho paura di ingrassare anche di un etto”».
Daryl Hannah sul ramo .
«La aspettavamo a Madrid per Olè . Ci avvisarono che, per protestare contro non so cosa, si era arrampicata su un albero e non voleva scendere. Quando ormai non ci speravamo più, si presentò».
Incidenti sul set...
«Giravamo Viuuulentemente mia con Diego Abatantuono e Laura Antonelli. Carlo cadde dalla cameracar e si ruppe il braccio sinistro. Tememmo di dover interrompere il film. Invece il giorno dopo sul set ci stava Steno, papà. E lo sostituì per dieci giorni, Lì ho avuto la sensazione di appartenere davvero a una grande famiglia di cinema».
...e altre «catastrofi» .
«Per Selvaggi , girato alle Grenadine, avevamo fatto costruire una grande zattera da un tecnico di Cinecittà, una roba di alta ingegneria, che tenevamo ancorata sulla spiaggia. Una notte scoppiò una tempesta. “Oddio la zattera!”. Corsi fuori sotto l’acqua e montai su una macchinetta da golf. Lo scenografo aveva avuto il mio stesso timore. La zattera era già stata trascinata via dalla corrente. Faticosamente la riportammo a riva, sentendoci due eroi».
Vi scappò il pappagallo.
«Lo avevamo portato da Roma, si chiamava Venerdì. Il primo giorno di riprese, appena liberato, volò via, rifugiandosi su un albero altissimo. Una tragedia. Era previsto in molte scene, mica facile trovarne un altro ammaestrato così su due piedi. Ci aiutò un ragazzino del posto che, per cento dollari, veloce come una lucertola, scalò il tronco e lo riacchiappò».
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