
“COSA C’ENTRA PIÙ IL DOTTOR GIANNI LETTA CON L’IMPROBABILE PREMIERATO E CON QUESTA ITALIA AGGRESSIVA E SEMI-DEMENTE?”– FILIPPO CECCARELLI SUI 90 ANNI DELL’EMINENZA AZZURRINA, “SUPREMO METRONOMO DEL POTERE”: "PER UNA VITA INTERA LETTA, HA CERCATO DI ARROTONDARE GLI SPIGOLI CON UNA DEDIZIONE CHE SI RIFLETTEVA PURE NEI SOPRANNOMI (“BON-BON”, “DELIKATESSEN”, “COCCOLINO”) E NELLA MORBIDA CAPIGLIATURA SEMI-COTONATA. QUALE COMPATIBILITÀ È POSSIBILE CERCARE TRA LUI E I CONTINUI SPROPOSITI DI LOLLO, L’ASCESI DI STROPPA, L’AUTODIFESA DI SANTANCHÈ E L’AUTO-CANDIDATURA, VIA BOCCIA, DI RITA DE CRESCENZO?"
Filippo Ceccarelli per “la Repubblica” - Estratti
SILVIO BERLUSCONI E GIANNI LETTA
Novant’anni sono tanti, ma al tempo dei dilettanti, dei fanatici e degli sfasciacarrozze del potere, per Gianni Letta, che proprio oggi raggiunge quel traguardo, valgono quasi il doppio;
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E quindi discrezione, cautela, pazienza, garbo, in una parola l’arte antica e indispensabile della diplomazia. Alla quale si può senz’altro aggiungere nella sua persona la più fervida competenza e, contando sull’aiuto della celeberrima segretaria signora Coletta, a sua volta premiata come la migliore di tutti i tempi, la più infaticabile regolarità nel disbrigo delle pratiche, tra le 15 e le 16 ore di lavoro al dì tra scrivania, divanetti e ubiquità nel Palazzo, con appuntamenti vis-à-vis dalle ore 6 alle 21; dopo di che spesso e volentieri lo si è visto a funerali, salotti, ricevimenti o occasioni mondane, dove plasticamente la sua figura si distingueva per compiti baciamano.
Tutto questo in buona sostanza ha concorso a fare del “dottor Letta” il supremo metronomo, decoder nonché orafo di un potere che oggi è una roba da selvaggi, ma ieri si estendeva nella sua poliedrica e anche straniante varietà funzionale, personale e relazionale: nomine degli Stati maggiori, unguenti da piazzare nel prontuario della Sanità, concorsi universitari, programmi televisivi, graduatorie, premi, alloggi, crostate e mediazioni istituzionali, rappacificazioni, prefazioni e presentazioni di persone e di libri, anche i più bizzarri, sempre eseguite in piedi con invidiabile scrupolo e maestria.
Senza contare lo zampino periodicamente inserito negli arcana imperii, ovvero maneggiando le faccende segrete del comando, vedi il ruolo svolto per cacciare volontarie e giornaliste fuori dall’inferno dell’Iraq.
Ora, nel dare figura al potere, Machiavelli lo identifica nel leone o nella volpe; al momento forse solo Giorgia o Renzi hanno qualche possibilità di rientrare nella categoria dei felini di media portata, così come solo “Giuseppi” (Conte) può aspirare alla sottospecie dei volpini più o meno destinati alla pellicceria. Eppure, sarebbe incongruo assimilare Letta a questo o quell’altro animale simbolico, preferendo semmai offrire dissimulata astuzia e felpatissima determinazione a tanti leoni e volponi in prossimità di greggi e pollai.
FRANCO FRATTINI E GIANNI LETTA NEL 2003 - FOTO LAPRESSE
Il primo e duraturo leader in questo senso è stato Berlusconi, che Letta ha sempre e sistematicamente coperto in qualsiasi deprecabile impiccio e invereconda nequizia, magari in ultimo alzando gli occhi al cielo come chi si sentiva in dovere, più che consigliarlo, di proteggere il Cavaliere: ciò che fa la differenza fra un normale gregario e uno squisito maestro di palazzo e di curia.
Anche per questo stringe il cuore immaginarne i moti dell’animo dinanzi agli abbandoni istrionici di Meloni, al senso delle istituzioni per La Russa, al linguaggio grossolano di Salvini, ma anche alle astruserie tipo “il salto quantico” che di tanto in tanto fioriscono sulla bocca di Elly Schlein.
gianni letta - marina berlusconi
Detta altrimenti: cosa c’entra più il dottor Letta non tanto con l’improbabile premierato o lo sfuggente orgoglio italiano, ma con questa Italia aggressiva e semi-demente segnata dalla polarizzazione social? Quale mai compatibilità è possibile cercare, pur con tutta la buona volontà, tra questo squisito ciambellano d’altri tempi, sublime compilatore di necrologi, e i continui spropositi di Lollo, l’ascesi di Stroppa, il sollevamento pesi di Capitan Bandecchi, l’autodifesa di Santanchè e l’auto-candidatura, via Boccia, di Rita De Crescenzo?
Per una vita intera Letta, ambasciatore di rango, ha cercato di placare gli animi e arrotondare gli spigoli con una dedizione che si rifletteva pure nei soprannomi - “Bon-bon”, “Delikatessen”, “Coccolino” - e perfino nella morbida capigliatura semi- cotonata. Al di là del folklore, la sua specialità era avvicinare mondi lontani, aprire le porte di casa per far conoscere di persona, spingendoli al dialogo, leader “nemici”, una sorta di surroga istituzionale che nell’era del tribalismo sembra più che inverosimile.
Se non suonasse troppo sbrigativo verrebbe da dire che non c’è più posto qui per il dottor Letta. Però è anche vero che a novant’anni ne ha viste così tante da sentirsi libero di dispensare bocconcini di sapienza, tipo: «Tutto s’impara, anche la virtù ». Ascoltato al tempo degli sfascioni, suona come un soffio di ottimismo.
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