“HO AVUTO ANCHE IO I MIEI SBANDAMENTI SESSUOMANIACI” - SILVIO ORLANDO RACCONTA I SET CINEMATOGRAFICI TRA GLI ANNI ‘60 E ‘70 IN CUI LE DONNE VENIVANO CONSIDERATE "PREDE, SELVAGGINA, MERCE E C'ERA UNA SPECIE DI LEGGE NON SCRITTA, PER CUI, SE NON STAVANO AL GIOCO, VENIVANO SUBITO VISTE COME ELEMENTO DI DISTURBO. NON A CASO I FILM RACCONTAVANO SPESSO STORIE DI CAMERATISMO MASCHILE ROVINATO DA PRESENZE FEMMINILI. UNA VISIONE CHE SCONFINAVA ANCHE FUORI DALLE RIPRESE. PER FORTUNA C'È STATO IL #METOO"
Fulvia Caprara per “la Repubblica” - Estratti
Una capacità speciale, quasi unica. Silvio Orlando, ospite del Filming Italy Sardegna Festival, la sfodera a sorpresa quando fa autocritica, a nome di un'intera generazione: «Il mio obiettivo attuale? Diventare un essere umano un po' decente».
Allo stupore di chi gli aveva posto la domanda, risponde subito, chiarissimo: «Ho avuto anche io i miei sbandamenti sessuomaniaci. C'è stata un'epoca della vita in cui è andata così, ed era la stessa epoca in cui tutto il cinema lo era, e anche molto. In questo senso il Me Too ha creato qualcosa di veramente importante, migliorando di molto la condizione delle donne».
Che cos'è cambiato oggi?
«Oggi i set sono luoghi più tranquilli e più vivibili, prima, tra gli Anni ‘60 e ‘70, le donne erano una minoranza e venivano considerate prede, selvaggina, merce, c'era una specie di legge non scritta, impalpabile, per cui, se non stavano al gioco, venivano subito viste come elemento di disturbo. Non a caso i film raccontavano spesso storie di cameratismo maschile rovinato da presenze femminili. Una visione che sconfinava anche fuori dalle riprese».
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A ottobre uscirà "Parthenope" di Paolo Sorrentino, in cui interpreta il professor Devoto Marotta. Cosa rappresenta il suo personaggio?
«Paolo mette in scena le varie anime di Napoli, il professore rappresenta quella più erudita, colta, culturalmente raffinata. Per la protagonista è una via di fuga, un'alternativa alla sua vita veloce e vorace, troverà la sua strada anche grazie all'incontro con lui».
Su cosa si basa il sodalizio con Sorrentino?
«Per alcune cose siamo uguali, Paolo ed io siamo del quartiere Vomero e, come diceva una frase, poi tagliata, nel New Pope, i napoletani sono il popolo più triste del mondo e i vomeresi sono i napoletani più tristi.
Vuol dire che siamo in un bozzolo e forse facciamo un po' più fatica a esprimere emozioni e affettività. Con Paolo divido questo pudore dei sentimenti, non so bene fino a che punto siamo in sintonia oppure no».
Che rapporto ha con la città?
SILVIO ORLANDO TEATRO CARIGNANO TORINO
«Non risolto. Come quello che si ha con la madre, per quanto possa essere carnale, tendi sempre a liberartene perché senti che quel legame non ti fa crescere, non ti porta lontano. Ho sempre cercato di sfuggire dalla trappola dei cliché legati all'essere napoletano. A Napoli nasciamo tutti un po' pregiudicati, come se ci fosse un'idea prestabilita di come si deve essere. Ciò non toglie che l'eredità culturale sia infinita».
Che cosa le piacerebbe fare?
«Una biografia sui fratelli De Filippo, Eduardo e Peppino, dove il secondo rappresenta il puro talento teatrale e il primo l'intelligenza dello scrivere.
Tra le due cose, alla fine, vince sempre l'intelligenza».
Lei chi sarebbe dei due?
«Peppino, il talento può anche essere una gabbia, qualcosa che ti fa accontentare di quello che hai, dal primo all'ultimo giorno della vita".
Ha lavorato con Moretti e Sorrentino, autori dalle personalità molto forti. Come si convive con ego così marcati?
«Ho un animo gregario, non ho mai avuto con loro, né con nessun altro autore, un rapporto di competizione, non mi è mai passato per la testa di giudicarli. Gli attori devono trovare un loro spazio dentro una storia scritta da altri, anche se magari potrebbero scriverla pure loro. Mi è capitato anche di lavorare con registi diversi, meno ispirati o meno in forma, ma quelli, in genere, mi fanno tenerezza, mi verrebbe da dirgli "dai, ce la puoi fare"».
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Non ha mai avuto voglia di passare alla regia?
«No, ma non so bene se sia per umiltà o per pigrizia. Non ho mai pensato che il mio mestiere di attore mi andasse stretto, la regia è un lavoro complesso, complicato, un regista deve dare 50 risposte al giorno, io sarei capace di passare una giornata intera in una gelateria a scegliere i gusti del gelato che voglio».
Qual è l'incontro fondamentale della sua vita?
«Quello con mia moglie. Condividiamo molto, soprattutto in teatro. (...)
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