
ZAIA E DE LUCA, LE SPINE NEL FIANCO DI MAGGIORANZA E OPPOSIZIONE – ANCHE SE QUALCUNO LI IMMAGINA INSIEME IN UN FUTURO PARTITO, "IL DOGE" E "DON VICIENZO", FATTI FUORI DALLA SENTENZA DELLA CONSULTA CHE BOCCIA IL TERZO MANDATO, SONO DUE CON CUI MELONI-SALVINI E SCHLEIN DOVRANNO FARE I CONTI – LE VITE PARALLELE DEI GOVERNATORI CHE LITIGARONO AI TEMPI DELLA PANDEMIA. ZAIA USAVA LA STRATEGIA DEI TAMPONI RAPIDI, DE LUCA QUELLA DEL LOCKDOWN PIÙ OLTRANZISTA. “SE TI INZEPPI DI COTTON FIOC NELLE NARICI, COME VUOL FARE IL MIO AMICO GOVERNATORE DEL VENETO, RISCHI DI PERFORARTI LA MEMBRANA…”
Tommaso Labate per corriere.it - Estratti
L’ultimo dispetto, a entrambi, l’ha fatto inconsapevolmente Donald Trump, che ha scelto proprio la loro ora più buia per annunciare la retromarcia sui dazi, mettendo così in un cono d’ombra i titoli di coda della loro esperienza alla guida di Campania e Veneto. Il penultimo, quello decisivo, l’avevano subito dall’insolito ticket composto da Giorgia Meloni ed Elly Schlein, per la prima volta veramente insieme dentro un’unica battaglia, unite come una sola donna nella guerra ai loro successivi mandati da governatore.
E così, dopo la sentenza della Corte Costituzionale che legittima il limite dei due mandati per la presidenza di una Regione a statuto ordinario, Vincenzo De Luca e Luca Zaia arrivano a fine corsa. Il primo si vede smontata la legge regionale che gli avrebbe consentito di farsi rieleggere per la terza volta; il secondo ci finisce in mezzo, ed è impossibilitato a correre per la quarta.
«Simul stabunt, simul cadent», insieme sull’altare e insieme nella polvere, aveva detto un amico comune incontrandoli assieme di sfuggita qualche giorno fa a Verona, al Vinitaly, quando entrambi covavano — senza troppa convinzione, a dire il vero — le ultime speranze di sopravvivere (politicamente, s’intende) alla sentenza della Consulta. Il destino ha fatto il resto, consegnando alla stessa scritta «The end» due figure che si stimano, forse si vogliono addirittura bene, ma che più diverse non potrebbero essere, unite giusto dalla consapevolezza di essere amati più al di fuori dei loro partiti o delle loro coalizioni di appartenenza che non all’interno.
luca zaia alla fiera del folpo di noventa padovana
De Luca, «il Viceré» della Campania con la laurea in filosofia, quello con la tessera del Pd in tasca, è sempre stato considerato il più leghista dei post-comunisti, e questo da molto prima che la guida delle camicie verdi finisse tra le mani di Matteo Salvini, uno dei bersagli prediletti delle sue intemerate sul web e le tv locali; da sindaco di Salerno, all’alba del nuovo millennio, s’era messo in testa di dotare i vigili urbani della città di un set comprensivo di manganello e spray urticante, da utilizzare soprattutto nelle zone dove si sospettava ci fosse una maggior concentrazione delle attività illegali gestite da immigrati clandestini.
Al contrario Zaia, «il Doge» con gli studi d’agraria alle spalle, quello che invece in tasca ha la tessera del Carroccio, è sempre stato visto a ragione o a torto come il più dialogante tra i leghisti, tesi consolidatasi ulteriormente dopo la legge sul fine vita portata l’anno scorso in consiglio regionale a dispetto delle proteste del resto del centrodestra, Salvini in testa.
luca zaia alla fiera del folpo di noventa padovana
Abituati l’uno e l’altro più a far fronte alle guerre intestine che non a convincere gli elettori altrui, che tra l’altro li hanno sempre seguiti in massa, De Luca e Zaia sono e sono stati la prova vivente della bontà della vecchia massima che andava di moda nella Prima Repubblica, quella secondo cui «gli avversari sono fuori dal partito mentre i nemici stanno dentro». Entrambi, nei loro territori, hanno avuto un nemico a cui resistere, Antonio Bassolino per il Viceré, Flavio Tosi per il Doge; ed entrambi, alla lunga e per ragioni diverse, sono riusciti a sopravvivere politicamente alla controparte, sfruttando verosimilmente a loro favore l’essere stati a più riprese sottovalutati.
luca zaia alla fiera del folpo di noventa padovana
Qualche volta la storia li ha messi l’uno contro l’altro. All’alba della pandemia, Zaia usava la strategia dei tamponi rapidi, De Luca quella del lockdown più oltranzista. «Se ti inzeppi di cotton fioc nelle narici, come vuol fare il mio amico governatore del Veneto, rischi di perforarti la membrana», disse il presidente campano. «Il tampone non tocca nessuna membrana perché va nella fossa nasale.
A De Luca rispondo che “adda passa’ ‘a nuttata”, come diceva Eduardo. E vediamo poi chi ha ragione», rispose il pari grado veneto. A dividerli, tra le altre cose, anche la musica ad alto volume e il baccano delle discoteche
ATTILIO FONTANA - VINCENZO DE LUCA - LUCA ZAIA
vincenzo de luca al vinitaly
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