“NON NE POTEVO PIÙ, PERCHÉ TRASCINARE LE COSE COSÌ NON ERA GIUSTO E NON AVEVA SENSO” – I RETROSCENA SULLE DIMISSIONI DI ELISABETTA BELLONI RACCONTANO L’AMAREZZA DELLA CAPA DEL DIS, CHE SI È SENTITA SCHIACCIATA TRA L'AUTORITARISMO DI MANTOVANO (“OSSESSIONATO DAL CONTROLLO”) E LE FRIZIONI CON TAJANI (“MINISTRO POLITICAMENTE DEBOLE”) – DOPO LO SCOOP DI “REPUBBLICA” SULL’ADDIO, BELLONI HA RICEVUTO UNA CHIAMATA FURIOSA DELLA MELONI, CHE L’HA ACCUSATA DI AVER DATO LA NOTIZIA AI GIORNALI. MA L'EX CANDIDATA AL QUIRINALE RIBALTA LE ACCUSE SUL GOVERNO – IL CASO SALA? LA GOCCIA CHE HA FATTO TRABOCCARE UN VASO GIÀ COLMO DI RECRIMINAZIONI E INCAZZATURE, A PARTIRE DALLA SCELTA DEI VICE. L’ULTIMO, FIGLIUOLO, IMPOSTO DALLA DUCETTA NONOSTANTE LEI AVESSE GIÀ PENSATO ALLA RICONFERMA ALL'AISE DI UN UOMO DI SUA FIDUCIA, NICOLA BOERI - LA PARTITA DELLA SUCCESSIONE E IL FUTURO TRA UE E PRIVATO...
1. LA LITE AL TELEFONO CON GIORGIA MELONI DIETRO L’ADDIO DI ELISABETTA BELLONI: «NON NE POTEVO PIÙ»
Estratto dell’articolo di Alessandro D’Amato per www.open.online
ELISABETTA BELLONI - G7 DI BORGO EGNAZIA
Elisabetta Belloni lascerà la guida del Dis il 15 gennaio. Ma non ha incarichi pronti a Bruxelles. Il capo dei servizi segreti […] ha fatto sapere che si tratta di «una decisione personale». Ma oggi i giornali parlano di spaccature e incomprensioni dietro l’addio […]. Di contrasti con Antonio Tajani e Alfredo Mantovano. Ma anche di una telefonata ieri mattina con Giorgia Meloni. Tesa e aspra, secondo le fonti.
Nella quale la premier ha accusato Belloni di aver dato la notizia ai giornali. Mentre lei dice che «non ne potevo più. Perché trascinare le cose così non era giusto e non aveva senso». E nei retroscena si descrive Mantovano come «un uomo ossessionato dal controllo» e Tajani come «un ministro politicamente debole». E il caso Sala come classica goccia che ha fatto traboccare il vaso.
antonio tajani e alfredo mantovano
Belloni, spiega oggi il Corriere della Sera, è stata tenuta lontana dal dossier sull’arresto della giornalista romana in Iran. Accentrato invece su Palazzo Chigi e gestito dall’Aise di Gianni Caravelli. La lettera di dimissioni è arrivata prima di Natale. […]
Il problema nasce quando Belloni comincia a vedere il suo nome girare per il ministero degli Affari Esteri e la delega al Pnrr, lasciate libere dal trasloco a Bruxelles di Raffaele Fitto. A Belloni viene proposto il ruolo e arriva un’opposizione radicale del ministro degli Esteri. […]
DONALD TRUMP E GIORGIA MELONI A MAR-A-LAGO
La telefonata con la premier arriva invece in mattinata, subito dopo la pubblicazione della notizia del suo addio. Un colloquio «difficile». In cui la premier la accusa in qualche modo di slealtà proprio per la pubblicazione della notizia del suo addio. Perché sostiene che il 23 dicembre si era raggiunto un accordo per un percorso soft sulla successione. Ovvero facciamo passare le feste e poi costruiamo assieme una transizione ordinata alla guida del Dis. Con la scelta del nuovo direttore. Invece non è andata così.
[…] Per Belloni invece la notizia del suo addio non arriva da lei ma dal governo. E sostiene che metodo e tempistica mettono in difficoltà anche lei. Che ricorda come il viaggio del 4 gennaio della premier abbia in qualche modo peggiorato la sua situazione. Visto che la direttrice non ha accompagnato la premier. Anche se non era ancora pubblica la notizia delle sue dimissioni.
elisabetta belloni foto di bacco
Sul caso Sala, spiega La Stampa, Belloni ha idee molto differenti rispetto alla trattativa odierna. Si sarebbe mossa diversamente, ha detto ad alcuni collaboratori. Contraria all’idea di indispettire gli alleati americani, avrebbe cercato contropartite con l’Iran […] invece di insistere subito con lo scambio di Abedini.
Infine c’è la nomina di Francesco Paolo Figliuolo a vice dell’Aise. Per l’incarico lei aveva pensato a un uomo di sua fiducia, ovvero Nicola Boeri. Ma Palazzo Chigi da tempo nutre sospetti di scarsa riservatezza da parte dei servizi e di alcuni agenti di polizia. La rottura è nell’aria. Ed ora è arrivata.
2. “NON NE POTEVO PIÙ INUTILE CONTINUARE COSÌ” E LA DIRETTRICE RESTÒ SOLA
Estratto dell’articolo di Carlo Bonini per “la Repubblica”
https://www.repubblica.it/politica/2025/01/07/news/perche_elisabetta_belloni_si_e_dimessa-423923444/
«Non ne potevo più, perché trascinare le cose così non era giusto e non aveva senso». Nelle parole che Elisabetta Belloni, direttrice dimissionaria del Dipartimento per le informazioni della sicurezza (Dis) […] va ripetendo a chi la cerca privatamente […], ci sono due verità.
La storia di una dissipazione politica e la presa d’atto, amarissima, di aver visto infrangersi una scommessa. Che […] questa diplomatica di lungo corso, romana di 66 anni […] aveva sinceramente pensato di poter vincere quando Giorgia Meloni aveva raccolto l’eredità del governo Draghi chiedendole di restare al suo posto.
Per la sintonia che avevano trovato, per la stima, tutt’altro che nascosta che la nuova premier, dieci mesi prima di prendersi il Paese, aveva manifestato nei suoi confronti, al punto da averla sostenuta nella candidatura alla presidenza della Repubblica nata e tramontata nello spazio di una notte.
[…]
elisabetta belloni alfredo mantovano giorgia meloni lorenzo guerini copasir
Ma bisogna anche immaginare l’amarezza di questa donna […] nel leggere ieri su Repubblica «una notizia che certo non ho dato io» e fonti di governo ipotizzare per lei nuovi incarichi europei già pronti.
Dal suo punto di vista, un’ultima offesa. Perché – come ha ripetuto ieri a chi cercava conferme sul suo futuro – «chiunque mi conosce sa che non sono una persona che decide di lasciare un incarico solo se ha la garanzia o la certezza di riceverne uno nuovo».
È vero, Ursula von der Leyen, da tempo e senza farne mistero, la lusinga con la prospettiva di un ruolo di peso a Bruxelles, ma tutto questo con la decisione di lasciare il vertice del Dis non avrebbe nulla a che vedere.
ELISABETTA BELLONI - FABRIZIO ALFANO - G7 BORGO EGNAZIA
Dunque, bisogna accontentarsi – si fa per dire – di una verità più semplice e politicamente assai più indigesta per Palazzo Chigi. Elisabetta Belloni è stata consegnata per mesi alla silenziosa e corrosiva esperienza di chi, pur avendone rango, ruolo e esperienza, finisce per constatare che, ogni giorno, il suo raggio di azione, il suo peso nelle scelte “di sistema” che pure la interpellano direttamente, vengono meno.
Che, prive di una regia unica, solida e credibile, politica estera e sicurezza nazionale marciano in ordine sparso, per giunta in un contesto globale sempre più complesso, deteriorato e gravido di rischi.
elisabetta belloni foto di bacco (4)
Una circostanza per altro confermata da chi, a metà novembre, nei giorni del G20 di Rio de Janeiro, ha modo di incrociare Belloni. «Faceva fatica – racconta la fonte - a dissimulare la sua crescente insofferenza e irrequietezza e persino l’entourage della premier sembrava viverla con fastidio».
Di quell’insofferenza Belloni aveva motivo. Perché l’estate che si era appena lasciata alle spalle, quella tra gli ulivi di Borgo Egnazia, in Puglia, dove era di fatto culminato il suo lavoro di sherpa per il G7 cui a sorpresa l’aveva voluta personalmente Meloni, si era trasformato nel suo termidoro.
alfredo mantovano giorgia meloni
Per un uomo ossessionato dal controllo come il sottosegretario Mantovano e per un ministro degli esteri politicamente debole come Tajani, Belloni era diventata ingombrante. Lei aveva avvistato il pericolo. E per questo aveva chiesto a Meloni, se necessario anche con un atto formale che in qualche modo mettesse ordine nella babele di ruoli e gerarchie sulla sicurezza nazionale, di essere messa al riparo dalla condizione di doversi costantemente difendere da continue sgrammaticature nel necessario rapporto con Palazzo Chigi e con le due agenzie di intelligence – Aisi e Aise – sempre più frequentemente chiamate a un’interlocuzione politica e operativa diretta con Mantovano senza dover prima passare per il suo ufficio.
luigi di maio - elisabetta belloni
Ma Meloni non ha evidentemente voluto o potuto difenderla. Sostengono fonti di governo perché «delusa » o forse «non così pienamente soddisfatta» dei risultati portati a casa da Belloni con il G7. O magari, e più semplicemente, perché nel nuovo contesto geopolitico che si determina in autunno, alla viglia delle elezioni Usa che vedranno la vittoria di Trump, Meloni decide di giocare in prima persona la partita con la nuova Casa Bianca e di poter dunque rinunciare alla donna che, solo due anni prima, era stata la sua chiave di accesso alle cancellerie che contano nel mondo.
È un fatto che, negli ultimi mesi, Belloni sia tagliata fuori dall’accelerazione che Meloni imprime al suo rapporto con Musk e Trump e dalle conseguenti ricadute e contropartite che questa comporta, anche e soprattutto in termini di sicurezza nazionale (parliamo degli accordi con Space X per l’uso della rete satellitare Starlink).
Così come è un fatto che alla Farnesina si smetta anche solo di dissimulare il fastidio con cui Tajani tollera la convivenza con una direttrice del Dis che percepisce, di fatto, come un ministro degli esteri ombra. Sfilarsi, insomma, non era più solo una possibilità. E ora le acque possono definitivamente richiudersi.