APOCALYPSE MINZO! (USATO E GETTATO VIA!) - AUGUSTARELLO SI VEDE COME IL COLONNELLO KURTZ DEL FILM DI COPPOLA: “LA RAI È COME IL DELTA DEL MEKONG. KURTZ VIENE SPEDITO NELLA GIUNGLA DOVE FA LA GUERRA AI VIETCONG CON IL METODO DEI VIETCONG. E DA CHI VIENE UCCISO? DA UN SICARIO MANDATO DALLO STATO MAGGIORE” (AL SECOLO IL CONSIGLIERE PDL ALESSIO GORLA E PER “STATO MAGGIORE” SI INTENDE PROPRIO IL PATONZA CUI MACCARI ORA VA STRABENE RISPETTO ALL’ORMAI INGOMBRANTE MINZO)…

Barbara Romano per "Libero"

Minzo come il colonnello Kurtz di Apocalypse Now: «Sono stato fatto fuori da un sicario per il mio modo non convenzionale di fare informazione televisiva», spara l'ormai ex direttore del Tg1, (...) che attende di essere trasferito ad un incarico equivalente, visto che due anni e mezzo fa fu assunto a viale Mazzini a tempo indeterminato. Ma il disarcionamento dal timone del tg dell'Ammiraglia Rai non sembra aver guastato il proverbiale buonumore di Augusto Minzolini, a giudicare dal solito sorriso beffardo con cui apre la porta di casa.

Che richiude un'ora dopo, non prima di essersi tolto fino all'ultimo sassolino dalle scarpe. Ma la riapre di colpo: «Oh, hai visto che si è dimesso Mentana?», annuncia con l'aria del mal comune mezzo gaudio. «Dopo che ha sparlato per due anni di Berlusconi, venuto meno il Cavaliere, il tg de La7 sta perdendo mordente e ascolti, come sta capitando a tanti altri che hanno avuto il chiodo fisso dell'antiberlusconismo».

Sta già facendo un pensierino sulla poltrona lasciata vacante da Chicco Mitraglia, dica la verità.
«Per il momento penso solo al presente ».

La Rai prevede per lei il trasferimento ad altro incarico equivalente a quello di direttore del tg. Si è parlato di corrispondente da New York o da Parigi. Che farà?
«A me l'azienda non ha comunicato niente».

Ce l'avrà un'ambizione...
«Voglio continuare a fare questo mestiere».

In tv o tornando alla carta stampata?
«A fare questo mestiere».

Quindi non considera chiusa la partita del Tg1.
«Devono ancora spiegarmi perché hanno rimosso il direttore di un tg che ha perso solo otto volte in due anni».

Cos'ha pensato stamattina quando si è guardato allo specchio?
«Non mi faccio prendere dall'immagine del direttore, io ero e resto un cronista. Ho letto i giornali come ogni mattina ma non sono andato a viale Mazzini. Alla fine mi è andata anche bene. Ho resistito due anni e mezzo mentre la media dei direttori del Tg1 è di un anno e mezzo».

Ma sapeva il rischio a cui si esponeva facendo un tg così schierato nella rete ammiraglia Rai.
«Io non sono mai stato schierato. Il mio tg aveva un'impronta che serve a garantire un minimo di pluralismo televisivo in questo Paese».

Ma lei ha perso quasi sei punti scendendo al 25,88% rispetto al 30,89% del Tg1 di Clemente Mimun e al 31,37% del Tg1 di Gianni Riotta.
«Con il passaggio al digitale tutti abbiamo perso qualcosa, non si può pensare di avere gli stessi indici di ascolto di una volta. Siamo passati da trenta canali a 280. Dare un'impronta al Tg1 era l'unico modo di renderlo ancora competitivo ».

Aldo Grasso ha detto «addio al re del Tg più brutto della storia di tutta la Rai».
«Grasso farebbe meglio a stare zitto. L'unica volta che si è cimentato, quando ha fatto il direttore della radiofonia nella Rai dei professori, non è durato neanche un anno per evitare il disastro».

Ma anche il presidente della Rai, Paolo Garimberti, ha detto che lei andava sostituito perché faceva un brutto tg.
«Se dobbiamo parlare a livello professionale, visto che Garimberti dice di avere il background per giudicarmi, penso di aver lasciato un segno più di lui, ancor prima di venire al Tg1. Un'indagine di Bain&C sull'all news, fatta su venti tg generalisti e dieci tg specializzati in tutta Europa, dimostra che il mio è un tg moderno, perché noi abbiamo il modo più asettico di porre la notizia rispetto al Tg3 e al Tg4 che la "accompagnano" dandole un taglio. In ogni caso, non parlo delle miserie umane».

Ma lei alcune notizie non le dava proprio.
«Non è vero, io ho dato notizie che altri hanno omesso, come tutta la storia del 41bis. Sono stato il primo a dire che il problema della crisi dell'euro è stato acutizzato dalla politica della Germania».

Però ha totalmente censurato le donnine di Arcore.
«Il Tg1 è un servizio pubblico, quell'inchiesta è stata un'operazione squisitamente politica. Io ho omesso il gossip e ho dato le notizie giudiziarie».

Sì, ma se le piazza in fondo alla scaletta...
«In qualunque curva televisiva un tg parte da 4 milioni per arrivare alla fine a 6 milioni. Ci sono criteri diversi da quelli dei giornali. Paradossalmente, più mandi tardi una notizia, maggiore è la platea che la ascolta».

Ma il sistema Minzo non ha funzionato se domenica 27 novembre è riuscito a farsi superare dal Tg3 (17,7% a 16,1%) e il Tg5 volava oltre il 20%.
«È successo solo una volta. Quella sera, prima del Tg1, c'era stato il Gran Premio del Brasile e una trasmissione pallosissima che aveva fatto il 7%, per cui tutto il pubblico si è riversato sulla terza rete. Noi siamo partiti 11 punti sotto il Tg5 e siamo risaliti sino ad avere solo un punto in meno».

Lei come può dire di non aver fatto un tg di parte?
«Se avessi fatto un tg di parte non avrei dedicato alla politica il 17%, ma il 36% come il Tg3 o il 43% come il tg de La7».

Ma censurare notizie di politica è un atto di partigianeria.
«Io non ho fatto nessuna censura. Inscenare un processo di un anno e mezzo su ciò che succede sotto le lenzuola di Berlusconi lo trovo mortificante per questo Paese, tanto più perché questa campagna è partita il 25 aprile 2009, giorno del suo discorso all'Aquila, quando lui era all'apice del consenso. È stato un pugno sotto la cintura».

Lei proprio non riesce a non essere berlusconiano.
«Berlusconiano? Io non sono mai stato neanche dipendente di Berlusconi, a differenza di Santoro e Mentana. Ho solo avuto una rubrica su Panorama. Rifiutai persino la proposta di Mentana di fare il suo vice, quando era direttore del Tg5, pentendomi perché Berlusconi è uno degli editori più liberi che esistano».

L'ha sentito il Cav in queste ore?
«Mi hanno chiamato in molti per esprimermi la loro solidarietà, anche Berlusconi».

Un giudizio sul suo successore.
«Alberto Maccari, che io stimo, è figlio del duopolio, è fermo alla tv di qualche anno fa».

Ma è vero o no che lei ha pagato cifre stellari con la carta di credito Rai?
«Macché, erano solo pranzi».

Veramente risultano anche spese di viaggio e alberghi a sei stelle.
«Stronzate. Tant'è che non c'è nessuna accusa su questo punto da parte dell'autorità giudiziaria. I viaggi erano tutti autorizzati dall'azienda. Quando diventai direttore del Tg1 la Rai mi dotò di una carta di credito per le spese di rappresentanza. Per due anni nessuno ha avuto nulla da ridire sino a dieci giorni prima del 14 dicembre 2010, quando il governo Berlusconi sembrava stesse per cadere, un consigliere Rai dell'opposizione pose il problema».

Nino Rizzo Nervo?
«Al quale il dg di allora, Mauro Masi, rispose che quella carta di credito era un benefit compensativo perché avevo dovuto sospendere la collaborazione con Panorama. Poi Masi disse che era una facilty che doveva rientrare nelle procedure Rai, le quali prevedevano che io avrei dovuto specificare nella nota spese le persone con cui ero andato a pranzo».

Ma se lei ritiene che le sue spese fossero legittime, perché ha voluto restituire 68mila euro alla Rai?
«L'ho fatto perché mi avevano detto che non avevo rispettato quelle procedure. Ma l'ho fatto con riserva, visto che mi hanno fatto rilevare questo errore due anni dopo. Poi...».

Il suo gesto deve esser stato letto come un'ammissione di colpa da parte della Corte dei Conti e della Procura di Roma, se hanno aperto un'inchiesta per peculato.
«La Corte dei Conti ha archiviato il caso il 21 settembre e la procura è andata avanti, per via di un esposto fatto da Antonio Di Pietro, che non mi sembra una persona super partes. Il pm non ha trovato nulla di nuovo rispetto ai documenti fornitigli dalla Rai e sui quali l'azienda non aveva neppure ritenuto di dover aprire un'indagine interna. Io invece ho scoperto qualcosa su quella procedura, nasce nel 2003 da una circolare dell'allora dg Rai Flavio Cattaneo.

Nella deposizione di chi si occupava delle note spese, riportata nella mia memoria difensiva, risulta che l'allora direttore del Tg1, Mimun, non ha mai specificato il nome delle persone con cui andava a pranzo perché si era consolidata la prassi di esonerare il direttore del Tg1 da questo obbligo per tutelare la riservatezza delle fonti. Del resto, non credo che ci sia un direttore in Italia che metta i nomi. Quindi il richiamo a questa procedura è stato utilizzato per la prima volta forse con me per mettermi nei guai».

O forse perché lei ha presentato note spese più pesanti di quelle di Mimun.
«Io avevo un tetto sulla carta di 5.200 euro mensili che non ho mai sforato. E nessuno mi ha detto nulla per due anni».

Lei quindi è convinto che si tratti di un complotto?
«Questa azione giudiziaria nasce da una denuncia di Di Pietro. Valuti lei...».

Si aspettava che finisse così?
«Nel film Apocalypse Now il colonnello Kurtz viene spedito nella giungla dove fa la guerra ai vietcong con il metodo dei vietcong. E da chi viene ucciso? Da un sicario mandato dallo Stato maggiore».

È Alessio Gorla, il consigliere Rai in quota centrodestra che ha votato contro di lei in cda, il sicario del colonnello Minzo?
«Le ho detto che non mi interessano le miserie umane. Tornando al colonnello Kurtz, la Rai è veramente come il Delta del Mekong, dove domina il pensiero unico dell'informazione che non accetta il pluralismo. I miei problemi sono nati non perché non ho dato notizie ma perché ne ho date tante, troppe.

Mi hanno accusato di essere l'alfiere del regime, ma per come mi hanno trattato penso di essere la vittima di un regime. È un paradosso tutto italiano: spesso le vittime passano per carnefici e viceversa. Pensi che mi hanno rimosso un'ora dopo la decisione del cda, per cui non ho potuto neanche fare l'editoriale di saluto".

 

minzolini AUGUSTO MINZOLINI hfa28 alessio gorladmtia45 nino rizzo nervoSILVIO BERLUSCONI casa23 alberto maccari vice tg1

Ultimi Dagoreport

jd vance papa francesco bergoglio

PAPA FRANCESCO NON VOLEVA INCONTRARE JD VANCE E HA MANDATO AVANTI PAROLIN – BERGOGLIO HA CAMBIATO IDEA SOLO DOPO L’INCONTRO DEL NUMERO DUE DI TRUMP CON IL SEGRETARIO DI STATO: VANCE SI È MOSTRATO RICETTIVO DI FRONTE AL LUNGO ELENCO DI DOSSIER SU CUI LA CHIESA È AGLI ANTIPODI DELL’AMMINISTRAZIONE AMERICANA, E HA PROMESSO DI COINVOLGERE IL TYCOON. A QUEL PUNTO IL PONTEFICE SI È CONVINTO E HA ACCONSENTITO AL BREVE FACCIA A FACCIA – SUI SOCIAL SI SPRECANO POST E MEME SULLA COINCIDENZA TRA LA VISITA E LA MORTE DEL PAPA: “È SOPRAVVISSUTO A UNA POLMONITE BILATERALE, MA NON È RIUSCITO A SOPRAVVIVERE AL FETORE DELL’AUTORITARISMO TEOCRATICO” – I MEME

jd vance roma giorgia meloni

DAGOREPORT – LA VISITA DEL SUPER CAFONE VANCE A ROMA HA VISTO UN SISTEMA DI SICUREZZA CHE IN CITTÀ NON VENIVA ATTUATO DAI TEMPI DEL RAPIMENTO MORO. MOLTO PIÙ STRINGENTE DI QUANTO È ACCADUTO PER LE VISITE DI BUSH, OBAMA O BIDEN. CON EPISODI AL LIMITE DELLA LEGGE (O OLTRE), COME QUELLO DEGLI ABITANTI DI VIA DELLE TRE MADONNE (ATTACCATA A VILLA TAVERNA, DOVE HA SOGGIORNATO IL BUZZURRO), DOVE VIVONO DA CALTAGIRONE AD ALFANO FINO AD ABETE, LETTERALMENTE “SEQUESTRATI” PER QUATTRO GIORNI – MA PERCHÉ TUTTO QUESTO? FORSE LA SORA “GEORGIA” VOLEVA FAR VEDERE AGLI AMICI AMERICANI QUANTO È TOSTA? AH, SAPERLO...

giovanbattista fazzolari giorgia meloni donald trump emmanuel macron pedro sanz merz tusk ursula von der leyen

SE LA DIPLOMAZIA DEGLI STATI UNITI, DALL’UCRAINA ALL’IRAN, TRUMP L’HA AFFIDATA NELLE MANI DI UN AMICO IMMOBILIARISTA, STEVE WITKOFF, DALL’ALTRA PARTE DELL’OCEANO, MELONI AVEVA GIÀ ANTICIPATO IL CALIGOLA DAZISTA CON LA NOMINA DI FAZZOLARI: L’EX DIRIGENTE DI SECONDA FASCIA DELLA REGIONE LAZIO (2018) CHE GESTISCE A PALAZZO CHIGI SUPERPOTERI MA SEMPRE LONTANO DALLA VANITÀ MEDIATICA. FINO A IERI: RINGALLUZZITO DAL FATTO CHE LA “GABBIANELLA” DI COLLE OPPIO SIA RITORNATA DA WASHINGTON SENZA GLI OCCHI NERI (COME ZELENSKY) E UN DITO AL CULO (COME NETANYAHU), L’EMINENZA NERA DELLA FIAMMA È ARRIVATO A PRENDERE IL POSTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, L’IMBELLE ANTONIO TAJANI: “IL VERTICE UE-USA POTREBBE TENERSI A ROMA, A MAGGIO, CHE DOVREBBE ESSERE ALLARGATO ANCHE AGLI ALTRI 27 LEADER DEGLI STATI UE’’ – PURTROPPO, UN VERTICE A ROMA CONVINCE DAVVERO POCO FRANCIA, GERMANIA, POLONIA E SPAGNA. PER DI PIÙ L’IDEA CHE SIA LA MELONI, OSSIA LA PIÙ TRUMPIANA DEI LEADER EUROPEI, A GESTIRE L’EVENTO NON LI PERSUADE AFFATTO…

patrizia scurti giorgia meloni giuseppe napoli emilio scalfarotto giovanbattista fazzolari

QUANDO C’È LA FIAMMA, LA COMPETENZA NON SERVE NÉ APPARECCHIA. ET VOILÀ!, CHI SBUCA CONSIGLIERE NEL CDA DI FINCANTIERI? EMILIO SCALFAROTTO! L’EX “GABBIANO” DI COLLE OPPIO VOLATO NEL 2018 A FIUMICINO COME ASSESSORE ALLA GIOVENTÙ, NON VI DIRÀ NULLA. MA DAL 2022 SCALFAROTTO HA FATTO IL BOTTO, DIVENTANDO CAPO SEGRETERIA DI FAZZOLARI. “È L’UNICO DI CUI SI FIDA” NELLA GESTIONE DI DOSSIER E NOMINE IL DOMINUS DI PALAZZO CHIGI CHE RISOLVE (“ME LA VEDO IO!”) PROBLEMI E INSIDIE DELLA DUCETTA - IL POTERE ALLA FIAMMA SI TIENE TUTTO IN FAMIGLIA: OLTRE A SCALFAROTTO, LAVORA PER FAZZO COME SEGRETARIA PARTICOLARE, LA NIPOTE DI PATRIZIA SCURTI, MENTRE IL MARITO DELLA POTENTISSIMA SEGRETARIA-OMBRA, GIUSEPPE NAPOLI, È UN AGENTE AISI CHE PRESIEDE ALLA SCORTA DELLA PREMIER…

francesco milleri andrea orcel carlo messina nagel donnet generali caltagirone

DAGOREPORT - A CHE PUNTO È LA NOTTE DEL PIÙ GRANDE RISIKO BANCARIO D’ITALIA? L’ASSEMBLEA DI GENERALI DEL 24 APRILE È SOLO LA PRIMA BATTAGLIA. LA GUERRA AVRÀ INIZIO DA MAGGIO, QUANDO SCENDERANNO IN CAMPO I CAVALIERI BIANCHI MENEGHINI - RIUSCIRANNO UNICREDIT E BANCA INTESA A SBARRARE IL PASSO ALLA SCALATA DI MEDIOBANCA-GENERALI DA PARTE DELL’”USURPATORE ROMANO” CALTAGIRONE IN SELLA AL CAVALLO DI TROIA DEI PASCHI DI SIENA (SCUDERIA PALAZZO CHIGI)? - QUALI MOSSE FARÀ INTESA PER ARGINARE IL DINAMISMO ACCHIAPPATUTTO DI UNICREDIT? LA “BANCA DI SISTEMA” SI METTERÀ DI TRAVERSO A UN’OPERAZIONE BENEDETTA DAL GOVERNO MELONI? O, MAGARI, MESSINA TROVERÀ UN ACCORDO CON CALTARICCONE? (INTESA HA PRIMA SPINTO ASSOGESTIONI A PRESENTARE UNA LISTA PER IL CDA GENERALI, POI HA PRESTATO 500 MILIONI A CALTAGIRONE…)

donald trump giorgia meloni

DAGOREPORT - LA DUCETTA IN VERSIONE COMBAT, DIMENTICATELA: LA GIORGIA CHE VOLERA' DOMANI A WASHINGTON E' UNA PREMIER IMPAURITA, INTENTA A PARARSI IL SEDERINO PIGOLANDO DI ''INSIDIE'' E "MOMENTI DIFFICILI" - IL SOGNO DI FAR IL SUO INGRESSO ALLA CASA BIANCA COME PONTIERE TRA USA-UE SI E' TRASFORMATO IN UN INCUBO IL 2 APRILE QUANDO IL CALIGOLA AMERICANO HA MOSTRATO IL TABELLONE DEI DAZI GLOBALI - PRIMA DELLE TARIFFE, IL VIAGGIO AVEVA UN SENSO, MA ORA CHE PUÒ OTTENERE DA UN MEGALOMANE IN PIENO DECLINO COGNITIVO? DALL’UCRAINA ALLE SPESE PER LA DIFESA DELLA NATO, DA PUTIN ALLA CINA, I CONFLITTI TRA EUROPA E STATI UNITI SONO TALMENTE ENORMI CHE IL CAMALEONTISMO DI MELONI E' DIVENTATO OGGI INSOSTENIBILE (ANCHE PERCHE' IL DAZISMO VA A SVUOTARE LE TASCHE ANCHE DEI SUOI ELETTORI) - L'INCONTRO CON TRUMP E' UN'INCOGNITA 1-2-X, DOVE PUO' SUCCEDERE TUTTO: PUO' TORNARE CON UN PUGNO DI MOSCHE IN MANO, OPPURE LEGNATA COME ZELENSKY O MAGARI  RICOPERTA DI BACI E LODI...