
APOCALYPSE RAI - NOMI A CASO, RINUNCE A MEZZO STAMPA (MENTANA), IPOTESI SFUMATE (MIELI) E IMPROVVISAZIONE: DELLE PROMESSE DI ROTTAMAZIONE DEL PREMIER RESTA SOLO FUMO...
Malcom Pagani per il “Fatto Quotidiano”
Sono scappati tutti, non c’è più nessuno e della madre di tutte le riforme, non si hanno più notizie da febbraio. Tra rifiuti, rinunce a mezzo stampa (Enrico Mentana), silenzi, imbarazzi e disamori, della fiamma iniziale suscitata dalle promesse del capo del governo e dei profili dei candidati Rai gettati sui giornali con cadenza quotidiana, rimane fumo. Improvvisamente, l’inverno scorso, se ne era alzato tanto.
Erano i tempi in cui Matteo Renzi promettendo una Rai non più circondata dai partiti e dalla politica, liberava nelle praterie dell’annunciata rivoluzione del servizio pubblico, quattro cavalieri destinati a sondare, capire, mettere in piedi alleanze, trame e progetti utili a svecchiare la Rai. Andrea Guerra, Marco Carrai, Luca Lotti e Filippo Sensi.
Cavalcando gli umori via sms, Sensi ne spediva circa 40 a una ristretta cerchia di addetti ai lavori ed eccellenze del settore: “Mi dai qualche idea sulla Rai? Me la giri via email?”.
Decine di risposte. Da Maria De Filippi ad Andrea Salerno. I carbonari non ricevono ulteriori sollecitazioni e poi stupiti, si trovano a riconoscere pagine intere di idee, nella prima bozza della prevista Riforma televisiva. Quella affossata dalla mancanza di numeri in Parlamento, dall’accordo con Berlusconi, dalla solita Rai di ieri controllata dalla politica che ritorna – immortale – esattamente come Renzi aveva giurato non sarebbe mai più accaduto. Il rinnovamento di un’azienda indipendente e autorevole, era un suo punto d’onore.
Ora la medaglia arrugginisce come l’irripetibile occasione di ricorrere a qualche grande capo azienda internazionale e alle tante teste pensanti che dirigendo reti o producendo serie record, da Discovery a Sky, hanno provato a tenere in piedi una tv in agonia.
MARIA ELENA BOSCHI E MENTANA DAI GIOVANI INDUSTRIALI
Nomi fatti a caso, interlocutori mai interpellati, manager dal fatturato immenso e dal potere sterminato come l’amministratore delegato di Vodafone Vittorio Colao, costretti per senso pratico e pudore a uscire di scena quando, fosse stato per loro, sul palco non sarebbero mai saliti.
Se la rai del 2015 somiglia a Fortezza Bastiani, nel deserto originato dalla strategia di Renzi soffia un vento di mancata rottamazione. Mentre Sensi spediva sms, gli altri tre incaricati della missione tv, Guerra, Lotti e Carrai (solo vagamente distratto dalle autostrade senesi e dall’aeroporto di Firenze), pur a digiuno della materia, organizzano sondaggi.
Si tengono nel vago. Non affondano i colpi. E gente che ha un solido lavoro come Andrea Scrosati ha buon gioco a sfilarsi e nel silenzio generale, a preparare il lancio di un canale, il numero 8, che a colpi di esclusive Usa e show alla X Factor, minaccia ulteriormente di intaccare il patrimonio di ascolti della tv pubblica. Paradossi. Disastri militari. Approssimazione. Faciloneria. La stessa che al comando de l’Unità profetizzava il nuovo Montanelli e sul piatto, ha visto poi Erasmo D’Angelis.
Passati i giorni e ascoltati come in un’antica liturgia i veti incrociati dell’intero arco costituzionale, come in ogni declino che si rispetti, si è riesumata persino la Gasparri. Allora un Renzi in difficoltà, decide di dare il buon esempio dall’Olimpo. Si spinge a mandare qualche sms in prima persona.
In piena sindrome da Pietro il Grande: “Ho immenso desiderio di riformare i miei sudditi, ma mi vergogno a dire che non riesco a riformare me stesso”, aspetta che gli altri corrano a Palazzo Chigi. Come nelle Fiabe Italiane di Calvino, sdraiato sull’amaca, attende che il fico gli caschi in bocca dall’albero. Ma non si sposta, lui.
Lui non fa un metro. Non indice riunioni. Non parla con nessuno. E il fico cade a terra. Marcisce. Come la riforma della Rai. Doveva essere l’Apocalisse e come scherzano nei corridoi di Viale Mazzini: “Apocalypse Rai è stata davvero”. E con l’Apocalisse, sono arrivati anche la paura e i suggerimenti del capo dello Stato. Paolo Mieli, ad esempio, era un’idea di Mattarella. Un’idea inattaccabile, esplorata per la prima volta dal premier soltanto tre giorni fa. Un’idea ovviamente irrealizzabile. Come quella di Giovanni Minoli.
Sia lui che Mieli Sr. (per i conflitti di interesse legati alle società di Matilde Bernabei e Lorenzo Mieli, Lux e Freemantle, non avrebbero potuto mai accettare l’i nc ar ic o) .
Ipotesi sfumate, come quella di assoldare Marinella Soldi di Discovery. Apparsa in luglio sulla copertina di Prima Comunicazione (mai smentita) a rivelare che Renzi l’avrebbe voluta alla Presidenza della Rai e oggi, dopo aver ridiscusso al rialzo il suo contratto, al riparo dalla “tentazione”. Lontana dalle stucchevoli diatribe della Commissione di Vigilanza.
C’ era un mondo televisivo potenzialmente renziano. Un universo di riferimento non ostile alla voglia di rinnovamento. Oggi, sgomento, osserva un panorama fitto di trappole e agguati. E non è neanche escluso che per questioni di “genere”, dal sentiero dei nidi di ragno, alla fine non ricompaia a ll ’orizzonte il profilo di Anna Maria Tarantola. Potrebbe mordere persino lei. Riconfermata. La storia è antica ed è sempre la stessa. Chi ha i denti non ha il pane. Chi ha il pane non ha i denti.
anna maria tarantola
annamaria tarantola foto di luciano di bacco