UNA MUSA CHIAMATA COSA NOSTRA - DOPO IL FILM DI PIF, ARRIVA “LA TRATTATIVA”, PELLICOLA DI SABINA GUZZANTI SUI RAPPORTI STATO-MAFIA (AVVISATE RE GIORGIO CHE ALTRI DOLORI SONO IN ARRIVO…)

Maria Pia Fusco per "La Repubblica"

Una prigione, un uomo viene trasportato fuori da una cella verso una destinazione ignota, sembra disperato. Sono le prime immagini del film di Sabina Guzzanti "La trattativa",
un'idea nata durante la realizzazione di Draquila.

Oggi alcune sequenze vengono presentate alle Giornate professionali di cinema in corso a Sorrento. «Intervistai Massimo Ciancimino sul tema dell'edilizia come forma di riciclaggio da parte della criminalità organizzata, in quel periodo i giornali erano pieni di articoli sulla trattativa Statomafia e gli chiesi anche di quella. Le risposte mi colpirono, ho deciso di esplorare più a fondo».

Da dove è partita?
«Il primo libro che lo letto è La trattativa di Maurizio Torrealta. Ci ho messo un po' a entrare in quel linguaggio, già con Draquila ero stata costretta a leggere ordinanze e comma e variazioni incomprensibili. Ma quando riesci a rompere la noia, l'emozione è fortissima, capisci in che modo le cose si collegano».

Quale fra i materiali su cui ha lavorato l'ha colpita di più?
«Mi ha affascinato l'ascolto dell'audio dei processi su Radio Radicale. All'inizio ero recalcitrante poi è diventata una specie di perversione, senti i processi integrali, i testimoni, i collaboratori di giustizia, i politici. Sono affascinanti le voci, le cadenze, i rumori di fondo del tribunale.

Ti arriva l'angoscia di una giustizia faticosa, i microfoni che fischiano, i rinvii, le pause. Scopri due mondi a confronto, la giustizia e i collaboratori, che prima di arrivare là si sono fatti anni di 41 bis, poi hanno deciso di collaborare, quella cosa che raccontano l'hanno ripetuta migliaia di volte, alla polizia, al magistrato, ogni tanto si sente l'insofferenza. È stato interessante e utile nella scrittura dei personaggi e nella direzione degli attori».

Com'è costruito il film?
«Ho cambiato tante versioni, alla fine ho trovato una formula mista, parte repertorio, parte finzione con attori e interviste. È l'unica che permetta un racconto da più punti di vista. Gli attori sono siciliani, forse poco noti a parte Ninni Bruschetta che fa un magistrato, ma tutti bravissimi».

Lei c'è?
«Faccio le interviste e la voce fuori campo, e la comparsa».

In una delle sequenze c'è un uomo con una maschera che, alla domanda se Berlusconi avrebbe potuto far parte di Cosa Nostra risponde: "Aveva il carattere, ma poteva andare a sbattere perché ci vuole molta serietà".
«È la ricostruzione di un interrogatorio a un collaboratore di giustizia, mi è sembrata interessante».

Sulla trattativa Stato-mafia i pareri sono contrastanti. Lei ha una tesi?
«Non ne ho una personale, ci sono fatti incontrovertibili, come la mancata perquisizione nel covo di Riina, il mancato arresto di Provenzano, i testimoni ammazzati, le prove sparite. Il film è come un giallo, racconta i fatti collegandoli e seguendo con onestà più o meno la tesi dell'accusa. Una cosa è dire che difficilmente il processo potrà provare quello che si propone di provare, un'altra dire che la trattativa non esiste, perché esiste».

Il finale?
«Non traggo conclusioni dove non ci sono. L'intenzione del film è raccontare con chiarezza e passione una realtà difficile da capire, spero di comunicare il mio stesso piacere della scoperta, sottolineando con umorismo certe situazioni. È una storia che ha margini di comicità stratosferica, per me l'umorismo non è mai in contrapposizione con la drammaticità. Convivono, come nella vita».

 

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