UNGHIAS SULLO SCHERMO - AUGIAS BOCCIA TUTTI: “I TALK-SHOW SEMBRANO RISSE TRA UBRIACHI” – CRONACA NERA: “CRIMINOLOGI DA STRAPAZZO…”

Massimiliano Lenzi per Il Tempo

«Saturazione. I talk show si sono retti, per tutti questi anni, sull'attrazione che esercita la rissa. Se uno passa per strada e vede tre ubriachi che litigano si ferma incuriosito a guardare. Ecco, più o meno la stessa logica ha sorretto i talk show: non è vero che servono a capire la situazione, a chiarire i dettagli di quello che ci sta succedendo». Corrado Augias, scrittore, giornalista, conduttore televisivo, i talk li boccia. E senza appello.

Augias, non teme che la critica ai talk show rischi di ridurre gli spazi informativi per lasciare solo i tg?
«Non scherziamo, i talk non sono spazi informativi ma di confusa discussione. Tra l'altro dovendo rispettare, giustamente, il principio di una condizione uguale, succede che le opinioni sono così bilanciate che l'informazione va a farsi benedire. Dei telegiornali non ne parlerei proprio. Perché i Tg italiani sono viziati da una prerogativa unica: parlano pochissimo della vita del Paese e moltissimo della vita dei partiti.

A chi vive in Italia e non mette l'occhio al di là delle Alpi sembra normale ma non è normale. Che i Tg tutte le sere ci dicano cosa è successo dentro il Pd, dentro il Pdl, nei grillini. Non lo fa nessuno nel mondo, dove i Tg dicono, "il prodotto interno lordo sta così, la valuta sta così, il commercio estero va in questo modo". Danno informazioni sulla vita del loro Paese, non sulla vita dei partiti».

Non crede che la crisi del talk dipenda dalla politica che ha stufato?
«Bisogna capirsi su cosa si intende per politica. A me sapere che il congresso è stato fissato a quella data, va beh, è un'informazione e si deve dare ma il racconto dettagliato - e interessato il più delle volte - del perché dentro al Pd o al partito di Berlusconi si litiga, non è un'informazione essenziale.

L'informazione essenziale è sapere se Saccomanni ha ragione o no a dire che deve aumentare l'Iva per non mandare i conti in vacca: questa è l'informazione che ci interessa. Poi ovviamente se quello dice mi dimetto e Brunetta reagisce, quella è un'informazione che va data ma non più di così. Non so se mi spiego?

Guardi, basta scavalcare le Alpi e andare in Francia dove c'è una situazione non così dissimile dalla nostra - non parlo dell'Inghilterra o degli Usa che è un altro discorso - per vedere che della vita dei partiti non si parla, si parla del Parlamento e delle Istituzioni. Quella è la politica».

Questa patologia informativa italiana a cosa è dovuta?
«È dovuta al fatto che i partiti, lo diceva già Enrico Berlinguer trenta e passa anni fa, hanno invaso la vita pubblica».

Ma se i partiti oggi non esistono più...
«Va bene, insomma, quello che oggi sono diventati i partiti. Le correnti politiche organizzate in una struttura partitica o dietro un leader hanno pervaso la vita pubblica per cui alla Rai si lottizzano anche gli uscieri ai piani, non dico i direttori delle testate, quello va beh, si fa dappertutto. Ma anche gli uscieri e le segretarie! Noi viviamo in una condizione abnorme. Si calcola che noi abbiamo un milione di persone che vivono di politica, dal Parlamento nazionale alle piccole assemblee di Municipio nelle grandi città. Capisce che questa è una tragedia.

Mi tocca dire che anche la sinistra ha dato una mano perché quando sono state approvate le regioni - e noi della sinistra eravamo a favore, sia chiaro - qualcuno disse attenzione che approvando le regioni si moltiplicherà la burocrazia di partito ed istituzionale in maniera esponenziale, con un aggravio di costi spaventoso. Bisognerebbe rifondare la repubblica, questa la verità, cioè un'utopia».

Nel 1987 lei era il conduttore, su Rai Tre, di Telefono Giallo. Oggi anche i programmi che seguono la nera paiono in crisi. Perché?
«Quando noi facemmo Telefono giallo eravamo gli unici che facevano quella roba lì. Ma come la facevamo? Noi prendevamo dei casi freddi, i cold case, casi di delitti insoluti e dimenticati. Andavamo a ripescarli e facevamo i copioni dei programmi sugli atti dei tribunali che avevano cercato invano di chiarire il caso.

Era tutta una ricerca di tipo storico. Angelo Guglielmi, direttore di Rai Tre, disse una famosa frase: "Noi non abbiamo i soldi per fare gli sceneggiati, Telefono giallo è il nostro sceneggiato". Raccontavamo una realtà insoluta. Questi di oggi cosa fanno? Siccome si strappano il pane di bocca l'uno con l'altro, sono costretti a parlare del caso successo l'altro ieri. E chi va in studio a discuterne?

Dei disinvolti criminologi, capaci di improvvisare su quattro notizie di giornale e dei giornalisti che ne sanno quanto lei e me. E questo io lo trovo profondamente inadeguato alla tragedia che sempre un omicidio rappresenta».

Oggi in tv le reti hanno perso identità. Perché? Mancano studio e professionalità? Od è cambiato il mondo?
«Le due cose. Io parlo della Rai, perché è quella che conosco. Per la Rai era chiaro quello che voleva fare in passato: Rai Uno, una nave ammiraglia nazionalpopolare; Rai Due, una rete di intrattenimento, varietà, giovani. Ed una rete culturale, Rai Tre.

I direttori generali che si sono succeduti nella Rai, sciaguratamente, non avevano nessuna idea di che cosa dovesse essere la missione di un ente pubblico come la Rai. La riforma Gasparri ha fatto il resto e il mondo intanto se ne andava per conto suo. Per rimettere in sesto una televisione nelle condizioni di oggi ci vorrebbe una grande mente editoriale, un Giulio Einaudi, un Rizzoli - il fondatore della Rizzoli - un Arnoldo Mondadori».

Lei uno vivo non lo vede?
«Ci sto pensando. Uno vivo? Oggi? Non lo so. Sicuramente c'è, però adesso non mi viene in mente».

 

 

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