“PUNITI I DUE ENERGUMENI CHE HANNO MASSACRATO WILLY, VOGLIAMO BANDIRE CERTE DISCIPLINE “MARZIALI” E CHIUDERE LE RELATIVE PALESTRE?” IL TWEET DI MASSIMO GIANNINI SCATENA LA POLEMICA ONLINE – “SE UN FALEGNAME COMMETTE UN OMICIDIO, SI CRIMINALIZZANO TUTTI I FALEGNAMI? - "NON C’È NESSUN LEGAME TRA LE ARTI MARZIALI MISTE E QUEI DUE DEFICIENTI” - NELLA PALESTRA DEI DUE ARRESTATI: "QUESTO NON E' IL FIGHT CLUB"
Ciao #Willy, ragazzo coraggioso e generoso. Ma ora, puniti i due esaltati energumeni che lo hanno massacrato, vogliamo bandire certe discipline “marziali” e chiudere le relative palestre? pic.twitter.com/0zTX6g0kkd
— Massimo Giannini (@MassimGiannini) September 7, 2020
FILIPPO FEMIA per lastampa.it
Il ring, una gabbia recintata, non è il teatro più edificante per uno sport. Eppure l’Mma è diventato molto popolare negli ultimi anni. Scorrendo l’elenco delle regole, se si escludono quelle di buon senso (non sputare, non infilare le dita negli occhi ecc…) ne restano poche: vietato colpire la colonna vertebrale o sotto la cintura, niente calci ai reni con il tallone. Quasi tutto il resto è lecito. Troppo, per molte persone, che sull’onda del brutale pestaggio di Colleferro hanno chiesto di limitare le arti marziali più estreme.
Il dibattito, innescato da un tweet del direttore de La Stampa Massimo Giannini, ha diviso i social. Chi pratica l’Mma prende le distanze dai picchiatori che hanno ucciso Willy: «Se un falegname commette un omicidio, si criminalizzano tutti i falegnami?», domanda qualcuno. «Bisogna bandire quelle palestre che insegnano in modo distorto le filosofie delle arti marziali», rilancia qualcun altro.
Che l’Mma sia il più violento tra gli sport di contatto, è difficile negarlo: basta cliccare su YouTube un match qualsiasi. A occhi sensibili i combattimenti appaiono come violenza cieca, senza controllo. Alcuni atleti si accaniscono sull’avversario, già al tappeto e indifeso, con pugni in pieno volto prima che l’arbitro fermi la furia. Non è raro che a fine combattimento il ring sia zuppo di sangue. «Ho visto qualche immagine in tv e non vorrei che mio figlio lo praticasse», dice Remo Carulli, psicologo dello sport. Che però avverte: «Non si può demonizzare una disciplina: sono convinto che la stragrande maggioranza dei lottatori Mma siano persone estranee a condotte violente».
«Questa è la classica polemica all’italiana: non c’è nessun legame tra le arti marziali miste e quei due deficienti», commenta Filippo Stabile, 47 anni, tra i principali maestri di Mma in Italia. «Nella mia palestra vengono anche bambini: la prima cosa che insegno è il rispetto verso il rivale», spiega. In 20 anni di carriera ha dovuto fare i conti con più di un «violento esaltato»: «Li ho subito allontanati dopo aver restituito i soldi dell’abbonamento».
A fare la differenza, sostiene Remo Carulli, è proprio chi insegna. È il caso dei maestri che hanno strappato i giovani alla strada e alla delinquenza.
«È innegabile, però, che rispetto a discipline come judo e kung fu, l’Mma educa meno alla comprensione del limite e al controllo della violenza», aggiunge lo psicologo. Piuttosto andrebbe sondato il contesto familiare dei due ragazzi arrestati: «Si possono ipotizzare condizioni di disagio, il ruolo della famiglia è fondamentale. Faccio sempre l’esempio del calcio: se hai un allenatore ineccepibile ma tuo padre urla e si azzuffa in tribuna, il potenziale educativo è vanificato».
NELLA PALESTRA DI MALDITO
Maria Rosa Tomasello per “la Stampa”
Al primo piano del Centro Sportivo Millenium di Lariano una gigantografia di Marco Bianchi, trionfante al centro del ring, incornicia l' ingresso della Mma Academy accanto ai diplomi del maestro Luca Di Tullio, che dà il nome al Team.
All' ora di pranzo il parcheggio della grande palestra dove "Maldito" si è allenato fino a pochi giorni fa c' è un andirivieni di mamme con i bambini, la piscina è gremita di piccoli coi braccioli. Entrano ragazze in tuta e signori di mezza età. Il luogo dove i fratelli Bianchi hanno passato ore e ore ad allenarsi non è un "fight club", ma un centro sportivo dove convivono discipline diverse, Arti marziali miste (Mma) comprese, spiega Alfonso Rossi, responsabile dell' impianto. «Abbiamo regole deontologiche precise, qui non abbiamo mai avuto problemi - dice Rossi - Io sono sempre per l' innocenza fino a prova contraria. Ma questa vicenda, se dimostrata, è fuori da ogni regola del consesso civile».
Di Tullio è amareggiato. «Nella nostra Accademia non si insegna assolutamente la violenza: insegniamo rispetto per gli altri e umiltà, autocontrollo e disciplina, se un ragazzino è iperattivo sfruttiamo questa caratteristica a fini agonistici. Alleniamo bambini di sei anni, i loro genitori, ragazze, persone di tutte le età».
Per questo non accetta che la Mma - un mix di arti marziali, kickboxing e lotta a terra - sia descritta come una scuola per picchiatori: «È uno sport come la boxe, o la kickboxing. Allora dovremo abolire tutto, compreso il tiro al piattello perché uno col fucile potrebbe sparare alla gente. Insegno da vent' anni: se fossi stato io il problema avrei creato mille assassini ai Castelli romani: lo sport non c' entra niente, è molto rispettoso e finito l' incontro si abbraccia l' avversario».
Come Rossi, anche Di Tullio si è messo in contatto con la famiglia di Willy per esprimergli vicinanza: «Sarò ai funerali, non ci sono parole per quello che è accaduto. Mi metto nei panni di chi ha perso un figlio, sono spezzati». Ma chiede di aspettare l' esito delle indagini prima di emettere sentenze: «Marco lo conosco da quando aveva quindici, come il fratello che però negli ultimi tempi si è dedicato al pugilato e poi da un anno e mezzo ha smesso completamente. Qui si è sempre comportato benissimo, mai gesti di violenza: ha portato ragazzini, ha aiutato chi era indietro tecnicamente. È un professionista.
Ha vinto tre gare, zero sconfitte. Non capisco il perché di questa futile rissa, ma ricordiamoci che erano in quattro e che bisogna capire chi ha colpito a morte quel povero ragazzo». Nel via vai del parcheggio, chi conosceva anche solo di vista i fratelli scuote la testa: «Prima o poi doveva succedere, hanno fama di attaccabrighe». «Anni fa ci allenavamo insieme: bravi ragazzi, un po' "zellini" - dice Marco - poi evidentemente sono cambiati, ma lo sport non c' entra».
Di Tullio chiarisce: «Non posso certo seguire la vita privata dl 50 atleti fuori dalla palestra, se qualcuno perde la brocca non può saperlo nessuno.Ma Marco non è un violento: è carismatico, amichevole con tutti. Uno che non si fa mettere i piedi in testa ma non se le va a cercare».
fratelli bianchifratelli bianchi 2WILLY E I FRATELLI BIANCHIgabriele e marco bianchi