IL CINEMA DEI GIUSTI - CHE BELLO! FINITA L’ABBUFFATA DI CINEPANETTONI E COMMEDIE RIDARELLE, CON VIRZI’ SI TORNA AL CINEMA IMPEGNATO

Il capitale umano di Paolo Virzì

Marco Giusti per Dagospia

"Avete scommesso sulla rovina di questo paese e avete vinto". "Avete? Abbiamo vinto". Che bello! Finita la vacanza e l'abbuffata di cinepanettoni e commedie si torna al cinema impegnato. "Principia il culturale!", insomma. Preceduto da un'accorata recensione in prima pagina su "Repubblica" di Conchita De Gregorio che ne descrive le tante virtù (sto ancora a piangere), da ben tre pagine di insulti di "Libero" (sto ancora a ridere) con Maurizio Belpietro alla grancassa a difesa dell'onore ferito della borghesia brianzola (non hanno mai visto i film di Claude Chabrol sulla provincia francese questi ragazzi...), arriva finalmente in sala "Il capitale umano", il film diretto da Paolo Virzì sull'agonia del nostro paese finito per vent'anni in mano a una banda di rapinatori travestiti da manager che hanno corrotto non solo le loro famiglie, ma anche quelle della piccola borghesia che ha sognato la loro vita.

E la colpa non è stata solo dei cattivi, ovviamente, ma anche di chi li ha lasciati fare. Con tanti saluti a Belpietro, incapace come noi intellettuali di commuoverci davanti al manifesto di "La peau douce" di François Truffaut e di ridere di fronte alla scopata tra Luigi Lo Cascio e Valeria Bruni Tedeschi mentre scorrono le immagini di "Nostra signora dei turchi" del divino Carmelo. Curiosamente, Virzì ha ripreso il soggetto dal romanzo dell'americano Stephan Amidon (2004) e lo ha sceneggiato assieme a due illustri firme come Francesco Piccolo (pronto allo Strega) e Francesco Bruni (dopo "Scialla" un maestro sui rapporti padri-figli).

Tutto benissimo. Compreso il simpatico linguaggio dei figli di papà ("Non mi cagare il cazzo!") e la mancanza di Film Commission brianzole (che liberazione...). In fondo è proprio quello che volevamo come pausa fra cinquanta commedie 01, Medusa, Cattleya, botte in testa a Claudio Bisio, gatti morti nel frigo, Serena Autieri ovunque, prima di ripartire a parlar male o benissimo della corsa all'Oscar di "La grande bellezza".

Benissimo anche il cast, tutto in parte, da Fabrizio Bentivoglio come Dino Ossola, immobiliarista brianzolo stupidotto e viscido che sogna di entrare nel mondo dei capitalisti vincenti rappresentato da Giovanni Bernaschi, un Fabrizio Gifuni perfetto, padre del confuso Massimiliano, Guglielmo Pinelli, ragazzo di sua figlia Serena, l'esuberante esordiente Matilde Gioli.

A Valeria Bruni Tedeschi come Carla, moglie di Bernaschi, un tempo giovane attrice con pretese, oggi infelicemente sposata col Bernaschi, timida, titubante, incapace di qualsiasi fuga, che sogna di poter salvare il teatro del paese e affidarlo a un giovane professore al quale si concede in una notte di tristezza, un Luigi Lo Cascio che sembra un omaggio ai personaggi di intellettuali meridionali al nord di Leopoldo Trieste.

Giustamente un po' trash. Benissimo anche Valeria Golino come Roberta, compagna di Dino Ossola e psicologa di casi difficili del paese, che ha in cura Luca, Giovanni Anzaldo, ragazzo orfanello e sfigato che viene bollato come tossico nel paese ma che piace tanto a Serena. Benissimo anche le apparizioni di Bebo Storti e Gigio Alberti, icone di un sano cinema milanese preberlusconiano.

Già dalle prime scene veniamo a sapere che un onesto lavoratore è stato messo sotto da un suv mentre tornava a casa in bicicletta proprio vicino alla villa dei Bernaschi. Sappiamo che il figlio dei Bernaschi è tornato a casa ubriaco fradicio. E pure il suo suv. Ma chi lo guidava? Lui, Serena o qualcun altro? Chi ha messo sotto il ciclista? Sappiamo anche che Dino Ossola ha messo un capitale di 700 mila euro, che non aveva e si è fatto imprestare dal Credito Brianzolo, per entrare negli affari rischiosi del Bernaschi e, coinvolto col crack del manager, sta perdendo tutto, casa, lavoro, famiglia. Ora.

Tutta questa storia, che si svolge in un arco di sei mesi di tempo, e che Virzì racconta con grande efficacia, aiutato da bravissimi sceneggiatori e da un ottimo cast, Matilde Gioli è una sorpresa assoluta, è però strutturata con un'invenzione particolare. Tre capitoli, ognuno dei quali dedicato a altrettanti protagonisti: Dino, Carla e Serena. Alla fine un capitolo finale che concluderà tutti i percorsi.

In ogni capitolo, ovviamente, seguiamo una parte della storia, alla "Lantana" o alla "Pulp Fiction", e veniamo a saperne di più di quello che è realmente accaduto. Ovvio. Va bene anche così. Ma puntando su questa struttura, siamo troppo attenti a seguire il meccanismo narrativo e la costruzione da giallo, che non il cuore del film, che è un po' racchiuso nel rapporto tra l'immobiliarista truffato e nel manager freddo e cattivo.

Perché è soprattutto lì che si sono giocati questi orrendi ultimi vent'anni italiani. E, forse, avremmo voluto un film più piano, visto che Virzì aveva in mano carte davvero buone, dove la storia potesse percorrere un filo narrativo lineare, piuttosto che questa costruzione dove ogni volta si deve tornare indietro per capire. Inoltre questo tipo di narrazione non è di facile gestione, porta a inevitabili confronti (tipo "Crash") e a un'attenzione diversa che ci distolgono dal racconto principale.

Banalizzandolo, portandolo un po' dalle parte dei ricchi avidi e dei berlusconiani rincojoniti che Zalone e Nunziante hanno già raccontato così bene. Detto questo, "Il capitale umano" rimane un film importante sia per Paolo Virzì, che si libera da un certo bozzettismo toscano che ha tanto e bene sviluppato ma che lo obbligava a qualche ripetizione, sia per il cinema italiano, che punta a racconti sulla nostra realtà, sul capire quello che abbiamo vissuto e che stiamo vivendo.

Infinitamente superiore, a esempio, a "Il gioiellino" di Andrea Molaioli, il film sul caso Parmalat, più ricco e sviluppato del pur interessante "Città ideale", che ha qualche aspetto simile. Onestamente Virzì e i suoi sceneggiatori si sforzano di capire davvero perché e chi ha scommesso sulla rovina di questo paese e ha vinto. E chi li ha aiutati. E dove sta andando questo paese. Non è certo poco. E apre per il suo regista un percorso nuovo e interessante. Scordavo. Il capitale umano è quanto calcolano le assicurazioni il valore di un uomo. Quello del ciclista messo sotto dal suv valeva 218 mila euro. "Un povero sfigato" commenta il figlio del Bernaschi. Già in sala.

 

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