BERTOLUCCI, IL NOSTRO AMICO GENIALE - MARCO TULLIO GIORDANA, FRANCESCA MARCIANO E PASQUALE PLASTINO SONO STATI PER DECENNI TRA I FREQUENTATORI PIÙ ASSIDUI DI BERTOLUCCI. LO RACCONTANO SU 'VANITY FAIR' TRA INATTESE FEDI CALCISTICHE, VIAGGI, DISCUSSIONI ACCESE, SOGNI, VISIONI: '' ERA UN NEMICO DELLA BRUTTEZZA IN SERVIZIO PERMANENTE, UN SIGNORE PIENO DI GRAZIA ED ELEGANZA CHE SAPEVA ESSERE FRIVOLO E AUTOREVOLE. LE SUE PAROLE VIETATE ERANO…'' - STASERA IL RICORDO ALL'ARGENTINA
Malcom Pagani per www.vanityfair.it
Questo articolo è stato estratto dal numero 49 in edicola dal 5 al 12 dicembre
Tre bambini camminano nel bosco inseguendo il ricordo di una vecchia teleferica. Uno di loro l’ha vista molti mesi prima tra i castagni, ma le stagioni si sono date il cambio, l’inverno ha fatto il suo dovere e la struttura è ormai sepolta dalle foglie. Nel calpestarle, cercando in superficie quel che celato all’occhio sosta in una zona ancora tutta da scoprire, Bernardo Bertolucci scriveva inconsapevolmente il proprio manifesto esistenziale.
marco tullio giordana bernardo bertolucci
Non aveva neanche sedici anni e, archiviato il suo primo cortometraggio girato in 16 mm grazie al prestito di una cinepresa, avrebbe speso i successivi sessanta a mettere in luce parabole in ombra e angoli nascosti, da proprietario unico dell’arte sua. Lo avrebbe fatto ancora, perché dopo Io e te, l’ultima avventura cinematografica del 2012, gli era tornata voglia di immaginare ancora un film e alla minaccia senile dell’insistenza irragionevole, continuava a preferire la promessa romantica del nuovo inizio. Contro l’anagrafe e l’immobilità forzata, convinto come uno dei personaggi di Prima della rivoluzione che, semplicemente, «il tempo non esista».
Nelle memorie dei suoi amici, invece, le date hanno un loro peso. C’è un prima e un dopo Bernardo e oggi, la croce dell’assenza rimane sulle spalle di chi resta. «Come disse Benigni di Fellini», dice Marco Tullio Giordana, «è come se tutt’a un tratto mancasse l’olio: è impossibile pensare che non ci sia più». Da giovane, Giordana avrebbe voluto fare il pittore: «Avevo 22 anni e nel 1972 andai a Parigi per una mostra di Francis Bacon. Ne uscii con la convinzione che non solo non avrei più preso un pennello in mano, ma che forse avrei fatto meglio a buttarmi nel fiume e a togliermi la vita.
bernardo bertolucci thandie newton 1
Cercai un ponte adatto allo scopo sulla Senna e dopo un paio di chilometri, all’altezza di quello di Passy, sentii rumori e agitazione. Di fronte a me all’improvviso si parò Marlon Brando e ascoltai parlare la mia lingua da un ragazzone emiliano con un cappello marrone sulla testa che emanava energia e forza seduttiva. Aveva un carisma assoluto, sembrava che gli altri si facessero in quattro e lavorassero al solo scopo di piacergli e di fargli un piacere. Chiesi chi fosse e mi risposero: “Si chiama Bernardo Bertolucci”. Quel giorno persi il mio destino, ma ne abbracciai un altro». Dopo il primo incontro, ai margini di Ultimo tango a Parigi, passarono otto anni.
«Volli conoscere Bernardo nel 1980», ricorda Giordana, «solo dopo aver girato Maledetti vi amerò, il mio primo film. Non per mettermi ridicolmente alla pari, ma per potermi sedere con qualche miserabile titolo, da tenutario di uno staterello sconosciuto, alla tavola di una potenza mondiale». Mentre ricorda l’amico, Giordana ride e piange. Prende una pausa, chiede di poter uscire un istante a respirare, poi ritorna e ragiona a voce alta, solenne: «La nostra era un’impresa per gente che si teneva insieme e passava le ore divertendosi. Nel teatro e nel cinema, per qualche strana ragione, non sei mai solo».
La porta di Bernardo, tra i rumori di Trastevere e i giardini pensili con vista su Regina Coeli di via della Lungara, era sempre aperta. Giovani e vecchi, aspiranti e maestri. Una finestra sul mondo, un’ora d’aria, un piano sequenza sulle vite degli altri, in parte figlio «della sua curiosità», dice da Berlino lo sceneggiatore Pasquale Plastino, complice di 10 film di Carlo Verdone e amico fraterno di Bertolucci: «Per me famiglia a tutti gli effetti, da più di trent’anni». Lui e Bernardo insieme non avevano quasi mai lavorato, ma il sodalizio, profondo, era radicato altrove.
«Me lo presentò a cena a casa sua, una sera di tantissimi anni fa, Francesca Marciano. Rimasi stordito. Ero davanti a uno dei miei miti e per di più potevo anche parlargli. Andai a dormire in uno stato di beatitudine e il giorno successivo, dopo qualche ora spesa in giro a fare commissioni, misi le chiavi nella toppa del mio appartamento. Con il solito consumato automatismo premetti il pulsante della segreteria telefonica per sentire i messaggi. Era uno di quei vecchi arnesi con la cassetta. “Ciao Pasquale, Sono Bevnavdo Bevtolucci, mi chiedevo se avessi voglia di trascorrere il fine settimana a Sabaudia da me con Francesca, mi richiami?”.
bernardo bertolucci la tragedia di un uomo ridicolo
Credo di aver riascoltato quel nastro per 40 volte e di averlo conservato per molti anni a venire. Io e Bernardo da allora non ci siamo mai più lasciati, mai più». Francesca Marciano, scrittrice e sorella acquisita da sempre, con Bertolucci aveva sceneggiato il suo ultimo film: «Ed era stato strano, dopo anni di viaggi, vacanze e partenze, ritrovarsi al tavolo con lui confrontandomi alla pari su una storia in divenire. Quelle sessioni di sceneggiatura rappresentavano un salto, una maturità nuova del nostro rapporto arrivata fuori tempo massimo».
Bertolucci, spiega, per lei non era mai stato uno sconosciuto: «Mio nonno materno era amico di suo padre Attilio e a Roma, io e Bernardo avevamo sempre abitato a due passi. Il primo vero scambio però avvenne a Los Angeles, a casa di un suo antico amico, lo scenografo Ferdinando Scarfiotti. Ebbi subito l’impressione dello iato tra ciò che Bertolucci incarnava agli occhi degli altri – l’artista accompagnato dall’aura sacrale e apparentemente inaccessibile che tocca in sorte ai maestri – e la sua natura accogliente e veramente interessata agli altri.
Bernardo si poneva con tutti allo stesso modo, con affetto, partecipazione ed empatia». Nel sogno che era un prolungamento della vita stessa c’erano stati deserti e Grandi Muraglie, madri oppiomani e polizie vestite di nero, civiltà contadine e deserti africani e poi, dietro al sipario, Bernardo che, suggerisce Plastino: «Era indiscutibilmente figlio di un poeta», e che da poeta in erba, giovanissimo, proprio come suo padre Attilio aveva fatto anni prima, aveva conquistato il Premio Viareggio nel 1962 dimostrando una certa consuetudine con i segreti del sentimento: «L’amore, se il labbro sfugge o se la pupilla si appanna non sai distinguere e amara ti fai, avara dell’affetto che mi scompiglia».
Bernardo che, rivela Marciano, «era molto spiritoso e autoironico e con gli amici metteva in fila il suo fitto campionario di gaffes che andavano da Godard a Bob Dylan». Bernardo che accettava soprannomi irriverenti «Bertuccia». Bernardo «che si dilettava con il calembour». Bernardo «che si era recentemente appassionato al calcio, tifava per la Roma e non perdeva una sola partita come se fosse stato sempre fedele alla religione giallorossa».
Bernardo che metteva in fila «la lista delle parole proibite e dei modi di dire abusati da “allucinante” a “silenzio assordante”» perché, dice ancora Marciano, «Bertolucci era soprattutto questo, un nemico della bruttezza in servizio permanente, un signore pieno di grazia ed eleganza che sapeva essere frivolo e autorevole al tempo stesso».
Tra poche ore, giovedì 6 sera, presenti Pedro Almodóvar, Wim Wenders e un’infinita teoria di amici di Bertolucci, la moglie Clare Peploe, regista e sceneggiatrice – 40 anni con Bernardo: «Pensarla sola adesso», dice Pasquale Plastino, provato, «mi fa un’infinita tenerezza» – si riuniranno al Teatro Argentina per ricordare laicamente il più laico di tutti. Come si divertiva, Bernardo, con Clare, Pasquale, Francesca e Marco Tullio. Come si era divertito, Bernardo, con Michelangelo Antonioni o con Giuseppe, il fratellone, «diventato molto più intelligente di me, con una capacità di analisi e saggezza che io non ho mai neanche sfiorato» e con tutti gli altri sodali di un’epoca lontana.
Che facesse vela verso Oriente o fosse sulle dune del litorale laziale che guarda a sud, perché era proprio a sud che questo frutto della Bassa – «Il Po era il nostro Mississipi», diceva, «noi bambini andavamo a caccia di rane» – si era spostato spesso per raccontare storie altre da sé, Bertolucci era sempre in viaggio. Del Bernardo acerbo e diffidente che postadolescente, nella casa di Monteverde, aveva aperto a Pasolini dicendo al padre che sull’uscio sostava uno strano tipo «con la faccia da ladro», via via non era rimasto più nulla, se non la passione per la contraddizione e per il dibattito: «Bernardo bisognava contrastarlo», sorprende Giordana.
oliver stone steven spielberg e bernardo bertolucci
«Ascoltarlo per ore e metterlo in discussione. Pur amandolo profondamente, non volevo restasse l’unico da cui imparare e non volevo che il nostro rapporto fosse imperniato sulla soggezione. Non desideravo far parte della corte, ma diventare veramente suo amico, anche criticamente, perché un vero amico critica e pone dubbi. Era contento del mio atteggiamento? Fingeva di non esserlo, ma sapevo che non era vero e che in realtà apprezzava la dialettica». Dice Francesca Marciano che dopo la malattia «tante cose erano cambiate», ma che Bertolucci conservava «un’allegria e una luce».
Una luce sulla quale Giordana si era interrogato spesso: «Qual era il segreto di questa luce? Mi sono risposto che non ho mai conosciuto nessuno più innamorato del cinema di lui. Non amava semplicemente il cinema, quello lo amiamo tutti. Era proprio innamorato in senso assoluto. Non si considerava sposato con il cinema, ma rinnovava il suo patto di conquista ogni giorno».
E lo stesso faceva nei confronti dell’esistenza che, riflette Giordana, «era stata generosa all’inizio con la bellezza, il talento, il successo e perfida nella seconda parte del percorso. Lì, la vecchia strozzina si era ripresa tutto con gli interessi, ma invece di restituirci una figura animata dal rancore, non l’aveva piegato e non aveva ucciso la sua generosità. Bernardo ha continuato ad accogliere, ad abbracciare, a dispensare consigli e per fare una cosa del genere, nella condizione di sofferenza in cui si trovava, erano necessarie delle grandissime palle».
La malattia, conferma Marciano, «non lo aveva isolato né aveva impoverito la sua vitalità» perché Bertolucci «era nemico dell’autocommiserazione e continuava a essere un ponte tra sé e i giovani, tra ciò che era accaduto ieri e quello che verrà domani». Plastino conferma e aggiunge una nota in più: «In questo mondo in cui nessuno ha più la percezione del futuro se non in un modo banalmente piatto, Bertolucci del futuro aveva una nozione nitidissima.
bernardo bertolucci john malkovich il te nel deserto
Viveva nel presente, ma lo proiettava già su qualche cosa che sarebbe avvenuto in un secondo momento. Era straordinario il suo uso del linguaggio nel descrivere le cose o tracciare giudizi fuori dall’ordinario ed era straordinaria la sua preveggenza. La marcia in più che solo i grandi artisti hanno: non sfruttano mai il passato, ma lo devono conoscere per lanciarlo oltre il contingente e predisporre nuovi scenari».
Il prossimo scenario sarà senza Bertolucci, ma con dentro ancora tanto Bertolucci. Ludovica Rampoldi e Ilaria Bernardini, le sceneggiatrici scelte dal regista per scrivere per mesi un film che forse vedremo senza il suo padre putativo o forse no, non vogliono parlare. C’è un momento per ogni cosa. Ora brilla altro. Il suo segno. Il suo esempio. C’è ancora la sua voce, il timbro profondo, nelle stanze vuote. Marciano, di nuovo: «Nonostante fosse fermo, Bernardo non è mai rimasto indietro. Non è mai scomparso, ma ha fatto apparire il mondo dentro casa sua».
Sempre «bigger than life, quasi hollywodiano per ascendenza naturale», scherza Giordana, e poi finissimo e semplice, sofisticato e terrigno. «Ha usato la macchina da presa come una penna», dice Plastino. «Sul set di Io ballo da sola, dove facevo il suo aiuto, vidi un dolly lunghissimo, concepito con estrema naturalezza, un dolly che con un altro regista sarebbe stato lambiccato, stitico, rigido e arido e quel movimento con Bernardo somigliava invece alla respirazione, un miracolo e un’epifanìa che mi scossero in profondità».
Per vibrare ancora, bisognerà rivedere le opere di quest’emiliano così ancorato all’indipendenza, da ribaltare il quadro di partenza e disegnare ogni volta con colori nuovi la propria via di fuga. Attilio scriveva di lui bambino e lo invitava a singolar tenzone: «Corri, vieni a rifugiarti nella nostra ansia». Bertolucci fece finta di accettare, raccontò le nostre e lentamente, da acrobata senza protezioni e da flâneur dalle insondabili profondità, si liberò delle proprie.
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