LA CANNES DEI GIUSTI - GRANDI APPLAUSI PER “LAZZARO FELICE” DI ALICE ROHRWACHER, IL PRIMO FILM ITALIANO PRESENTATO IN CONCORSO A CANNES - APPALUSI MERITATI, PERCHE’ DOPO CORPO CELESTE E LE MERAVIGLIE, LA ROHRWACHER MANTIENE INTATTO IL SUO MODELLO DI CINEMA E LA SUA ISPIRAZIONE. DICIAMO CHE SIAMO DALLE PARTI DEL REALISMO ROSSELLINIANO MISTICO - VIDEO
Marco Giusti per Dagospia
Cannes. Sesto giorno. Grandi applausi per Lazzaro felice di Alice Rohrwacher, il primo film italiano presentato in concorso a Cannes. Appalusi meritati, perche’ dopo Corpo celeste e Le meraviglie, la Rohrwacher mantiene intatto il suo modello di cinema e la sua ispirazione. Diciamo che siamo dalle parti del realismo rosselliniano mistico, quello legato a Il miracolo e a La macchina ammazzacattivi, da cui partira’ in qualche modo anche gran parte del cinema di Pasolini.
Ma quello della Rohrwacher e’ anche un cinema molto originale, che forse ha meno legami di quanto si creda col nostro passato e con la cinefilia. Difficile da etichettare senza dir banalita’. L’idea, abbastanza vincente del film, e’ la costruzione di un personaggio buono, quasi un santino, Lazzaro di nome e felice perche’ vuole essere felice malgrado tutto quello che subira’, interpretato dall’inedito Adriano Tardiolo che ha la faccia perfetta per il ruolo, che attraversa qualsiasi vessazione sociale e umana con lo stesso spirito candido. Ma e’ forse proprio il suo candore e la sua assoluta disponibilita’ a scatenare cattiveria e sfruttamento. Che capiamo subito, dal momento che rimane a guardia del pollaio per non far entrare i lupi.
Lupi che saranno poi i soli che capiranno la sua santita’. Il film e’ diviso in due parti nettamente distinte. Nella prima Lazzaro vive assieme a una massa di contadini sfruttati da una marchesa, Nicoletta Braschi e dal suo factotum Antonio, Natalino Balasso, secondo i vecchi modelli della mezzadria, e guarda un po’ sono sempre a debito. Solo quando vediamo in giro dei telefonini capiamo che non siamo negli anni 40 o 50 ma un qualcosa come vent’anni fa. Poco cambia per il racconto.
Lazzaro diventa amica del marchesino Tancredi, Luca Chikovani, che lo usa, piu’ o meno come fanno tutti, mettendo in scena anche un finto rapimento alla Paul Getty. Rapimento che viene immediatamente sgamato dalla marchesa. Nella seconda parte, dopo essere precipitato da un dirupo e lasciato come morto, siamo proprio vent’anni dopo. I carabinieri hanno scoperto la follia della marchesa e del suo factotum Nicola, che hanno lasciato nella miseria i suoi contadini, sfruttandoli senza pagarli, e hanno trasportato tutti in citta’. Meno Lazzaro, abbandonato e pensato morto.
Ma, come il Lazzaro del Vangelo, risorge identico a se stesso in tutto, eta’, carattere e perfino abiti, come se niente fosse successo. Grazie a due ladri, uno e’ Sergi Lopez, che stavano rubando nel castello della marchesa, arriva anche lui in citta’ e li’ ritrova la sua famiglia, soprattutto ritrova Antonia, Alba Rohrwacher, l’unica che sembra essergli in qualche modo affezionata, ritrova il perfido Nicola, interpretato da Antonio Salinas, e il marchesino, interpreto da adulto da Tommaso Ragno.
Il candore di Lazzaro, anche da risorto non cambia, e non cambia la crudelta’ del mondo nei suoi confronti, soprattutto di quanti non riescono a vedere la sua santita’. Alice Rohrwacher dirige i suoi attori, professionisti e non professionisti, con attenzione e amore, ottenendo grandi risultati dalla commistione di volti e di modelli recitativi, e ha dalla sua una fotografia, di Helene Louvart, in super16, un po’ scura, un po’ sporca, che e’ perfetta per il suo tipo di racconto. Il film, lanciatissimo sui giornali francesi e americani, si impone subito tra i candidati ai premi maggiori. Buono, ma certo meno originale, anche Se rokh/Tre volti, scritto, diretto e interpretato dal regista iraniano Jafar Panahi, che dopo Taxi Teheran sembra continuare le sue avventure in prima persona.
Un video shock, con una ragazza che si suicida impiccandosi in una grotta, spedito via cellulare al regista, spinge Panahi e la grande attrice iraniana Jafari Behnaz, anche lei nel ruolo di se stessa, a cercare di capire cosa sia realmente successo alla ragazza. Arrivano cosi’ in uno sperduto villaggio del nord dell’Iran, dove si rendono conto di quanto pesino ancora nel paese superstizioni assurde, il potere dei maschi sul futuro delle ragazze e sulle donne in generale, e regole che vengono di volta in volta cambiate per i motivi piu’ futili.
Chiarendo il mistero della ragazza suicida, Manahi e Behnaz vengono a contatto con una realta’ che e’ poi alla base della scarsa liberta’ del paese e che obbliga le donne alla totale sudditanza. Non male la richiesta che va un vecchio del paese alla Behnaz di portare a casa di un attore supermacho di una quarantina d’anni fa la pelle della circoncisione del figlio. In questo mudo anche lui diventera’ un uomo piu’ virile. Costruito come una commedia Se Rokh e’ un film sottile e di bella invenzione narrativa, anche se non aggiunge molto alla filmografia del regista.