LA CANNES DEI GIUSTI – CON "SALVO", OPERA PRIMA, L’ITALIA HA VINTO SIA IL GRAND PRIX CHE IL PRIX REVELATION DELLA SEMAINE DE LA CRITIQUE – VENDUTO IN 20 PAESI NON HA UN DISTRIBUTORE ITALIANO!

Marco Giusti per Dagospia

Cannes. Una buona notizia, finalmente. "Salvo", opera prima di Filippo Grassadonia e Alberto Piazza, favola di mafia dove un killer si innamora di una ragazza cieca che ritrova la vista dopo che proprio lui le ha ucciso il fratello, ha vinto sia il Grand Prix che il Prix Revelation della Semaine de la Critique.

Non solo e' un bene perche' e' un ottimo film italiano, ma anche perche' e' un ottimo piccolo film indipendente prodotto con mille difficoltà da Massimo Cristaldi e Filippo Mosca senza l'aiuto economico ne' della Rai ne' di Mediaset. Intanto e' stato venduto gia' in venti paesi, ma non ha ancora trovato un distributore italiano.

Modestissimo, intanto, il polpettone storico in costume presentato in concorso dai francesi, "Michael Kohlass" di Arnaud des Pallieres, basato sull'omonimo racconto di Heinrich von Kleist e interpretato dal norvegese Mads Mikkelsen. Del Kohlaas avevamo gia' visto una versione girata nel 1969 da Volker Schlondorff con David Warner e Anna Karina.

La storia e' sempre quella. Un allevatore di cavalli, Michael Kohlass, nel 16mo secolo in Cevennes, mentre sta per attraversare un ponte per andare al mercato dei cavalli, viene obbligato da un nobilotto a lasciare come pegno due cavalli. Quando torna a riprenderseli li trova denutriti e maltenuti. Si rivolge alla giustizia e scopre che il nobilotto ha fatto valere il suo potere e non gli resta che abbozzare. Non ci sta.

La sua donna, Judith, decide allora di andare a parlare con la sorella de re, ma e' vittima di un agguato e muore. A questo punto Kohlass decide di farsi giustizia da solo e semina il terrore nella contea. E' estremamente difficile oggi, con l'arrivo di kolossal tv come "Game of Thrones", riprogettare il cinema avventuroso, specialmente questo in costume intellettuale e povero. Mettiamoci anche il testo di Kleist, la francesizzazione della storia, la voglia autoriale del regista e il quadro sara' completo.

Nelle sue intenzioni des Pailleres voleva far qualcosa tipo Herzog o Kurosawa, per questo costruisce il film con grandi scene elaborate e un po' lente. Purtroppo, malgrado il gran lavoro di fotografia, il film non si decide mai tra la strada artistica e quella piu' tradizionale. Finisce così per scontentare un po' tutti e alla fine funziona soprattutto come una fiction grazie alla storia celebre del racconto di Kleist.

Un po' sprecati i bei nomi del cast, da Mads Mikkelsen a Bruno Ganz fino a un cammeo di Denis Lavant. Decisamente superiori i film visti ieri a "Un certain regard", sia la favola politica durissima "Tore Tanzt" della giovane Katrin Gebbe nell'unico film tedesco presentato a Cannes (c'era pure il ministro della cultura) sia il difficile, lunghissimo (quattro ore), cinefilissimo "Norte, Hangganan ng kasatsan" di Lav Diaz.

Nel primo il giovane Toren, (Julius Feldmeier), che fa parte di un gruppo cattolico punk chiamato Jesus Freak viene accolto come un figlio dalla famiglia di Benno (Sascha Gersak) e Astrid (Annika Kuhk), e a poco a poco viene massacrato in ogni modo dalla coppia che rivela ben presto la loro vera faccia.

Tore vede il suo massacro, fisico e morale, come prova di fede, e anche liberato, quando la loro figlia Sanny (Swantje Kohkhoif) lo porta all'ospedale dopo che i due mostri gli hanno fatto mangiare un delizioso pollo coi vermi, non parla con la polizia e torna da loro. E le cose non andranno meglio, visto che Benno lo vendera' per divertimenti maschili in modo da comprarsi il televisore nuovo.

Il percorso, diciamo cristologico, e' piuttosto chiaro, come e' chiaro il senso politico della storia, visto che Tore incarna qualsiasi diversita' da sfruttare e massacrare e la famiglia trova nella sua tortura e nel suo sacrificio una sorta di realta' del male. Terribile e con poche speranze.

Capitalismo e morte sono i temi anche del notevole ma faticosa "Norte, Hangganan ng kasatsan" di Lav Diaz, dove un poveraccio viene incolpato dell'omicidio di una strozzina, mentre il vero colpevole e' un intellettualino represso senza soldi. Costruito con lunghissimi e perfetti tableaux dove si muovono e parlano i protagonisti e' un film lucidamente politico, ma non e' facile entrare nel meccanismo e l'estrema lunghezza (per Lav Diaz e' un film corto rispetto al solito..), non ne fa un oggetto per tutti i palati.

 

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