LA CANNES DEI GIUSTI - CI VOLEVANO LE MODELLE CANNIBALI, UN PO’ DI NECROFILIA LESBO, GLI OCCHI CHE TORNANO SU PER SCATENARE L’INFERNO NON TANTO SULLO SCHERMO, QUANTO IN SALA PER DEMOLIRE ''THE NEON DEMON'', ATTESISSIMO FILM DI NICOLAS WINDING REFN. FISCHI INGIUSTI, SEMPRE A COLPIRE IDEE NON BANALI E REGISTI CHE NON FOTOCOPIANO I LORO FILM
Marco Giusti per Dagospia
Cannes. Nono giorno. Ci volevano le modelle cannibali, un po’ di sesso lesbo con una defunta, gli occhi che tornano su (beh, si sa, sono un po’ indigesti) per scatenare l’inferno non tanto sullo schermo, quanto in sala per demolire The Neon Demon, attesissimo nuovo film di Nicolas Winding Refn. Ovvio che se un film viene fischiato dal pubblico bacchettone dei critici a Cannes, deve avere se non molto, almeno qualcosa di buono.
Refn si spinge nel regno del David Lynch di Mulholland Drive e di Twin Peaks che è rimasto inesplorato da allora (quanto ha anticipato e studiato Lynch?), ambientandolo nella Los Angeles decadente e alla moda di Somewhere di Sofia Coppola per costruire un horror sul concetto di bellezza hollywoodiano e sulla perfidia del mondo di Hollywood.
Di scena è una bellissima modella sedicenne, Jesse, una fenomenale Elle Fanning, appena arrivata in città, una serie di modelle più grandi, alte, magre e molto pericolose, Belle Hathcote, Abbey Lee, una truccatrice rossa particolarmente ambigua, Ruby, Jena Malone, che riserverà non poche sorprese. I maschi servono a poco, c’è un bravo ragazzo che sta dietro a Jesse, Karl Gusman, già visto attore hard in Love di Gaspar Noé, un Keanu Reeves armato di coltello per niente rassicurante. La storia è minima.
Seguiamo il percorso narcisistico di Jesse nel mondo delle modelle. La sua bellezza naturale e la sua giovinezza ne fanno una possibile star, ma anche la preda di un mondo di vampiri più o meno reali.
Al tempo stesso lei si innamora della propria immagine, si sente “pericolosa” quando è lei in pericolo, si sente la ragazza che tutte vogliono essere, senza vedere quello che le sta attorno. Diciamo che ogni inquadratura ha un suo senso e una sua costruzione interna, con effetti di colore che cambiano in continuazione, la fotografia, bellissima, è di Natasha Braier, la sceneggiatura è scritta da Refn assieme a una commedigrafo inglese, Polly Sherman, e a una scrittrice americana, Mary Laws.
E su tutto scorre una musica meravogliosa di Cliff Martinez, lo stesso di Drive e delle serie tv The Knick. Tutto questo, magari, già dopo un’ora inizia un po’ a cedere, anche se il film rimane affascinante nel suo mischiare Lynch e echi di horror truculenti europei, da Bava a Jean Rollin a Jesus Franco. Si riprende con la parte finale horror e molto sanguinolenta e con la trasformazione di Jesse in star, spesso fin troppo simile alle altre ragazze.
Non si capisce, è vero, dove Refn voglia arrivare, un saggio sulla perdita di identità tipo Persona di Bergman?, anche se il film trasmette un’angoscia legata a Hollywood e al culto della bellezza piuttosto reale. I fischi sono ingiusti, perché sembrano punire, qui a Cannes, i pochi film che non presentano opere fotocopia di quelle precedenti e cercano idee non banali.
Lo stesso Refn avrebbe potuto campare di gloria rifacendo altre due o tre Drive con Ryan Gosling, invece ha voluto sperimentare nuovi linguaggi e tentare cose per lui anche lontane. Detto questo, però, qualche dubbio sul film lo abbiamo, visto che rimane un po’ inerte e non sempre riesce a coinvolgerci nella situazione.
Ma la costruzione visiva e musicale è di una classe così alta e di un controllo così totale che siamo certi che Refn non abbia messo niente a caso e questo è esattamente il film che voleva fare. Facciamocene una ragione. Ovvio che mi piaccia.