CANNES AL VENTO - RED CARPET BOLLENTE: PATRICIA CONTRERAS VA FUORI DI SENO - SPACCHI, SCOLLATURE MOZZAFIATO E LA SCHIENA SCOPERTA DI UNA IRINA SHAYK SPAZIALE IN ABITO NERO - LA CODA DI SIRENA DELLA CANTANTE TALLIA STORM E IL DECOLLETE DA URLO DI...- ALBERTO MATTIOLI: DALLE INFRADITO ALLE SNEAKERS, A CANNES LA SCIATTERIA E' MAINSTREAM
Da www.quotidiano.net
irina shayk
A Cannes 2018 il red carpet è sempre hot. Anche la seconda giornata del Festival numero 71 è all'insegna dell'eleganza e della trasgressione. Spacchi vertiginosi e scollature mozzafiato per attrici e modelle che stasera sfilano sulla Croisette per poi partecipare alla proiezione di 'Yomeddine' di A. B. Shawki con Rady Gamal e Ahmed Abdelhafiz.
La supermodella Irina Shaky, moglie di Bradley Cooper, ha scelto un abito nero con la schiena scoperta, la cantante Tallia Storm invece punta sulle trasparenza e una coda a sirena. Total black, elegante e di classe, per la straordinaria Julianne Moore.
L'attrice Chantel Jeffries, invece, è sempre più provocante. Dopo la mise in argento decisamente minimal con cui si è presentata per il primo tappeto rosso, ha scelto un abitino bianco traforato con pizzi sul décolleté e uno spacco da urlo, che lascia poco all'immaginazione.
2. LA SCIATTERIA A CANNES E’ MAINSTREAM
Cannes tempio dell’eleganza? Per chi il Festival lo fa, forse sì. Per chi ci va, sicuramente no. Certo, ogni sera sulla montée des marches (non dite mai, assolutamente mai, «red carpet»: fa americano, e «très vulgaire») sfilano bellone extraterrestri strizzate nella minima quantità possibile di stoffa.
patricia contreras
Fino a rischiare, o forse ottenere, l’incidente, com’è successo l’altra sera all’abbondante attrice messicana Patricia Contreras la cui scollatura ha ceduto sotto la pressioni di quelli che Re Salomone, nel «Cantico dei cantici», chiama «i grappoli della mia vigna», mostrando a tutti, e specialmente ai fotografi, un apprezzabile grappolo, per la precisione quello sinistro. Sulla montée, i più sventurati sono ovviamente i fotografi. La ferree leggi protocollari del Festival impongono infatti a qualsiasi individuo di sesso maschile che si aggiri sui gradini più famosi del cinema di indossare lo smoking.
patricia contreras
Già è faticoso trascinarsi appresso una voluminosa attrezzatura e fare a spintoni per assicurarsi la posizione migliore; ma poi farlo da impinguinati è ancora più difficile. Espressa la dovuta solidarierà ai colleghi fotografi, però, qui si vorrebbe parlare del look di altri incroisettati, i giornalisti. Che, diciamolo subito, alto e forte a costo di rompere la solidarietà professionale, è un disastro. La notizia, che dò a lettori e colleghi modello «beato te che vai a Cannes» è che a Cannes si lavora, e tanto: fra code, proiezioni, interviste, scrittura dei pezzi propri, lettura di quelli altrui, rubriche sceme su Internet si è in movimento, e quasi sempre pure in piedi, dall’alba ben oltre il tramonto. Ovvio che ci si debba vestire comodi.
Ma purtroppo nell’evo del Grande Sbraco il comfort diventa subito straccionaggine. E qui, alla faccia della globalizzazione, ricicciano peculiarità nazionali che si credevano ormai miscelate nel mainstream della sciatteria. Per cominciare, gli anglosassoni, i tedeschi e gli scandinavi cominciano ad avere caldo appena la temperatura supera i 15 gradi e noi latini abbiamo ancora su il golfino. Sicché è tutto un fiorire di infradito, bermuda, pinocchietti, braccia scoperte, cappelli di paglia, oltre che di epidermidi chiare che, sotto l’influsso del sole della Costa azzurra, quando c’è, e del rosé, e quello c’è sempre, assumono un pittoresco colore rosso sangue che ricorda quello del roast beef come lo servono da «Simpson’s», sullo Strand di Londra.
ALBERTO MATTIOLI
Gli asiatici, quest’anno moltissimi, hanno invece un’insana passione per le sneakers che più sono grandi, iperaccessoriate e hi-tech più piacciono. Insomma generalmente ti vedi arrivare prima la scarpa da ginnastica e, dopo qualche minuto, il collega cinese o coreano che la indossa (i giapponesi ovviamente non contano: un giapponese è elegante sempre, anche nudo). Quanto ai russi, attualmente in sala stampa seduti accanto a me ce ne sono due che, oltre a strillare a voce altissima (già sbronzi alle dieci meno cinque del mattino?), esibiscono delle camicie fantasia che sarebbero tollerabili solo in un quadro di Picasso o in un film ucraino.
patricia contreras
Quanto ai padroni di casa, vale una tipica equazione francese. Il giornalista è un intellettuale; un intellettuale è di sinistra; la sinistra, quella vera, è antiborghese; le convenzioni borghesi sono da disprezzare anche in fatto di abbigliamento, ergo il vero giornalista cinéphile è vestito malissimo. Infatti si rivedono ogni anno (purtroppo), puntuali come il film sudcoreano o la polemica sui selfie, il pantalone di velluto a coste sfondato, le espadrillas risalenti all’epoca della Nouvelle Vague, la maglietta vissuta da barricate del Mai 68, il sandalo ortopedico, il calzino bianco, la giacca con le chiazze di tabacco e, duole dirlo, la maglietta a righe da marinaretto, talvolta però indossata su panze da nostromo (troppa besciamella, al solito).
Quindi, alla fine, i meglio, o i meno peggio, sono gli italiani. Il nostro cinema magari non brillerà ma, almeno nell’accostamento dei colori, restiamo i più esteticamente gradevoli o i meno svaccati. Non vinceremo la Palma (però magari sì, in fin dei conti in concorso ci siamo) ma almeno non deturpiamo il paesaggio.
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