"L'ABOLIZIONE DELLA CENSURA CINEMATOGRAFICA NON CAMBIA NULLA" – SENTITE L'AVVOCATO DI MAJO: "IL MASSACRO DI UN CERTO CINEMA ITALIANO NON È STATO OPERA DELLA CENSURA MINISTERIALE, MA DELLA MAGISTRATURA REPRESSIVA" - NELLA STORIA DEL CINEMA ITALIANO SONO STATI 274 I FILM BERSAGLIATI, E NON ERANO MAI SCELTI A CASO. COME “ROCCO E I SUOI FRATELLI”: IL NOME DELLA FAMIGLIA CHE VIENE DAL SUD FU CAMBIATO ALL’ULTIMO IN PARONDI DOPO LA PROTESTA DI UN MAGISTRATO CHE… – VIDEO
Maurizio Porro per www.corriere.it
La notizia che il ministro Franceschini ha abolito la censura cinematografica ribadisce un decreto già nella legge sul cinema del 2016 ed annuncia una commissione per la classificazione delle opere: si tratta non solo di cinema, ma di teatro, arte e letteratura.
In realtà non cambia nulla. Luigi di Majo, un avvocato che ha difeso il miglior cinema italiano negli anni 60 e 70, cui si deve la salvezza di Ultimo tango a Parigi di Bertolucci e Salò di Pasolini, dice: «La censura non è finita, perché il massacro di un certo cinema italiano non è stato opera della censura ministeriale ma della magistratura repressiva che operava sequestri nazionali partendo dal luogo dove il film era uscito in prima.
Tutto ciò rimane valido ed è ovviamente a discrezione completa del magistrato e di un comune senso del pudore che, com’è noto, è soggettivo e mutevole. Su questo elemento vincemmo la causa di Ultimo tango nell’87 dopo 12 anni in cui il film fu mandato al rogo e Bertolucci privato dei diritti civili».
Ci furono casi clamorosi, molti partiti proprio da Milano, in cui furono colpiti i migliori registi italiani, da Visconti a Pasolini, da Bertolucci (Novecento atto I) ad Antonioni, da Petri alla Cavani, poi Rosi, Ferreri, Monicelli, sfiorando anche il Casanova di Fellini, assolto senza processo.
Trombi e Spagnuolo erano a Milano i due magistrati di cui si aveva più timore, tanto che i produttori facevano uscire i film giudicati in odor di «scandalo» nelle città dove potevano contare su magistrature più aperte, come Bolzano.
A Milano si prendevano di mira capolavori come Rocco e i suoi fratelli, la cui prima fu alla Mostra di Venezia (proprio il magistrato e non un censore propose a Lombardo e a Visconti i tagli nella scena finale), si sequestrava L’avventura per una sequenza che oggi è ridicolo solo pensare scabrosa, La giornata balorda di Bolognini e si mettevano a tacere anche spettacoli scomodi come L’Arialda di Testori e la Santa Rita di Paolo Poli a teatro.
Pasolini non ha avuto un film passato indenne, compreso il Decameron che ebbe guai al Sud. «Il tema — dice Di Majo — è la persistenza dell’articolo 528-29 del codice penale sugli spettacoli osceni, ribadito che bisogna sempre tutelare i minori, perché un’opera giudicata oscena può essere vista dagli adulti ma proibita ai minori.
alain delon rocco e i suoi fratelli
Senza censura ufficiale, c’è il rischio oggi che la magistratura intervenga pure maggiormente, che l’organo giudiziario superi l’amministrativo». Speriamo che sia un capitolo chiuso. Afferma Di Majo: «L’anomalia è che erano i magistrati a proporre i tagli sostituendosi così alla censura e si trattava spesso anche di giovani democratici, ma era un periodo in cui i magistrati si sentivano tutori del costume nazionale, tanto che Salò fu denunciato, processato e assolto due volte».
alain delon rocco e i suoi fratelli
Tra i 274 titoli della storia del cinema italiano bersagliati (sempre scelti non a caso), «Rocco», il capolavoro di Visconti, è stato assai chiacchierato. «Una cosa che non si sa è che il nome della famiglia che viene dal Sud era Pafundi ma fu cambiato all’ultimo in Parondi per la protesta un magistrato che si chiamava davvero Rocco Pafundi».
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