“LA CENSURA IN RAI C’E’ SEMPRE STATA” – IL PREMIO OSCAR NICOLA PIOVANI RICORDA QUANDO ALL’INIZIO DEGLI ANNI 70 VENIVA MESSA LA MORDACCHIA ALLE CANZONI DI MINA E MODUGNO A RADIORAI - "CI DAVANO I DISCHI DA METTERE. C’ERANO I 33 GIRI, E SE PER CASO DENTRO C’ERA UNA CANZONE CENSURATA, L’AZIENDA CI DAVA DEI COLTELLINI PER SEGNARE LA TRACCIA IN MODO CHE LA PUNTINA LA SALTASSE" – LA “DEMAGOGIA” DELLA DESTRA CHE ATTACCA SCURATI SUI SOLDI - TAYLOR SWIFT E GEOLIER? "HANNO UN SUCCESSO DOVUTO SOLO IN MINIMA PARTE ALLA QUALITÀ DELLA LORO MUSICA”
Annalisa Cuzzocrea per lastampa.it - Estratti
Nicola Piovani allunga il vino con l’acqua, prende in giro i cibi elaborati, scrive le sue opere a matita e non si fida dei giornalisti. Come l’allenatore della Roma Daniele De Rossi, che cita da buon tifoso, ha paura dell’inganno: che gli stravolgano i concetti, che gli cambino le parole. Uno dei più grandi compositori italiani si fida invece, totalmente, della musica. E del potere che la musica esercita su chi l’ascolta.
E quindi, la ragione di quest’avventura è comunicare con i più giovani anche attraverso un’arte antica come l’Opera?
«La proposta è arrivata dal sovrintendente del Teatro Petruzzelli, Massimo Biscardi. Dopo un po’ di perplessità iniziale, ho accettato la sfida di confrontarmi per la prima volta con la categoria infanzia-adolescenza. L’opera è liberamente ispirata all’antico mito del Labirinto di Cnosso. Il Minotauro, essere metà uomo e metà toro, si nutre di bambini che gli vengono dati in sacrificio. Un giorno però un ragazzino, figlio di un re, decide di sfidarlo per salvare tutti gli altri».
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Ma lei cosa pensa di queste nuove generazioni descritte come apatiche, prese a manganellate quando manifestano, troppo digitali per noi analogici? Nutre un sentimento di fiducia o di disincanto?
«Come sempre, le generazioni mature fanno fatica a leggere il presente dei giovani: accadeva ai tempi dei miei anni verdi e noi, giovani di allora, sentivamo l’incapacità che avevano gli adulti di comprendere il nostro presente. Anche oggi è in agguato il nostro sguardo superficiale: la smania di giudicare ci impedisce di capire, la voglia di dare voti e pagelle ci rimbecillisce, ridurre il pensiero complesso sul binario del sì/no non ci fa comprendere cosa accade davvero alle nuove generazioni».
Non siamo capaci di vederli per quello che sono?
«Ci rifugiamo in categorie sommarie, nella demonizzazione dei social. E vorrei dire che conosco anche molti attempati che fanno un uso tossico sia dei social, sia dello smartphone».
il bacio tra giovanna melandri e nicola piovani
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«La presenza della musica nella vita dei giovani e degli studenti è gestita in gran parte dalle multinazionali: piattaforme gratuite, playlist suggerite dall’algoritmo, radio commerciali, concertoni costruiti col criterio del massimo profitto. Il ruolo formativo delle pubbliche istituzioni è esiguo: della scuola in primis, e poi della gestione culturale ministeriale, della distribuzione civile. Ogni Regione italiana dovrebbe avere la sua orchestra sinfonica, la sua stagione concertistica. L’accesso ai concerti e all’opera dovrebbe essere a basso costo per tutti e a bassissimo costo per gli studenti. Non è accettabile che il Don Pasquale di Donizetti sia meno conosciuto in Italia che nel resto d’Europa. Ma dico sempre le stesse cose da anni, mi scusi!».
Se le chiedo cosa pensa della musica trap interrompe la conversazione?
«La “musica trap”, la “musica rap”, la “musica rock”. Ma il trap, il rap, il rock sono fenomeni di costume e di spettacolo che solo marginalmente hanno a che fare con la musica. In questi ambiti quel che conta è innanzitutto il personaggio, il look, la coreografia, la biografia. Taylor Swift o Geolier hanno un successo dovuto solo in minima parte alla qualità della loro musica. Se senti le stesse canzoni cantate da uno col doppiopetto gessato, seduto, si afflosciano come la panna riscaldata».
Immagine suggestiva.
«Nel rap-trap la musica è un accessorio marginale ancor più che nel rock. Naturalmente alcuni rock performer sono stati anche grandi musicisti: dai Beatles ai Queen ai Radiohaed, ma il loro successo è stato determinato da tanti fattori generazionali, di comunicazione, fra cui la musica. I trapper poi, da quel poco che ne so, amano essere antimusicali, sgradevoli, la rozzezza del loro linguaggio è vissuta come fenomeno eversivo - anche quando i testi sono fortemente reazionari».
E perché invece ha senso avvicinare i bambini all’Opera?
«Per far scoprire loro che un teatro come il Petruzzelli - con orchestra, coro, soprano, tenore, baritono… - può essere luogo di divertimento alto, di ascolto gioioso, di piacere artistico giocoso; non un tempio della cultura noiosa. Alcuni dei ragazzi che assisteranno a maggio al Labirinto di Creta metteranno piede per la prima volta in un teatro lirico. Mi auguro che ne escano col desiderio di tornarci presto. Quando ai tempi del mio ginnasio ci portavano a teatro, sceglievano spettacoli coltissimi e noiosissimi. Ne uscivamo con il desiderio di non mettere più piede in un teatro per il resto della vita».
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A un certo punto però anche all’arte è stato chiesto di schierarsi.
«Tutti i processi di emancipazioni storicamente passano fatalmente per eccessi ridicoli, per sbandamenti paradossali. È imbarazzante la cultura della cancellazione, quella che vuole raddrizzare le gambe a Shakespeare, quella che vuole correggere le opere che contengono il femminicidio: è una prassi nel migliore dei casi equivoca. A volte proprio idiota.
Le grandi opere del passato raccontano il loro presente, e sono strumenti di conoscenza artistica preziosa, rappresentano e cantano il mondo come era, non come avrebbe dovuto essere secondo le nostre coscienze moderne. Pergolesi ha scritto La serva padrona. Chiamarla “La colf padrona” non è progresso, è scemenza».
E come definirebbe l’aria di censura che si respira in Rai? Con l’eliminazione di un monologo di Scurati sul 25 aprile da un programma televisivo di Rai3?
«Una legge elettorale scellerata ha consegnato le chiavi del Paese a un gruppo politico che intende usarle senza sconti. Era prevedibile. E sì che lo schieramento vincente aritmeticamente ha raccolto meno voti dello schieramento avversario. Gli elettori progressisti amano sparpagliarsi, gli elettori di destra amano coalizzarsi».
C’è un di più, rispetto a quel che in Rai è sempre accaduto?
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«A ventun’anni dovevo mantenermi. Tra i tanti lavori che ho fatto, sono stato impiegato a RadioRai in via Asiago. Ci davano i dischi da mettere. E c’erano i dischi censurati».
Che anni erano?
«Nel ’69 e all’inizio degli Anni 70. C’erano i 33 giri, i long playing, e se per caso dentro c’era una canzone censurata l’azienda ci dava dei coltellini da architetto per segnare la traccia in modo che la puntina la saltasse. Erano censurate le canzoni di Mina, di Modugno. Resta cu’ mme era una canzone censurata perché diceva “che m’ ‘mporta d’o passato ‘che m’ ‘mporta ‘e chi t’ha avuto”. E Modugno ne fece una versione edulcorata».
Quindi, c’è sempre stata.
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«Nell’Ottocento in Italia impedirono di rappresentare il Rigoletto con la gobba. A Roma vietarono l’aria “Vendetta tremenda vendetta” perché poteva alludere all’insurrezione popolare. E il censore era Giuseppe Gioacchino Belli, che a sua volta doveva far fare lunghi giri alle sue opere per evitare la censura».
Dovremmo aver fatto dei passi avanti.
«Sì, e molti progressi si sono fatti. Ma il fatto che in una televisione pubblica non si possano dire liberi pensieri, che si debba usare il bilancino, è asfissiante. Questi ultimi episodi sono particolarmente scoperti, volgari, ma il peccato originale è quello: una legge elettorale che ha portato a un Parlamento in cui chi ha vinto può fare ciò che vuole. Non ci resta che cambiare il prossimo Parlamento».
L’ha colpita l’accusa a Scurati basata sul suo compenso?
«Da sempre la destra attacca sui soldi. Fazio, Benigni, Saviano, sono stati additati al pubblico ludibrio per i cachet: è un argomento demagogico per colpire le idee. È un raccontino che usano perché sanno che funziona. Semplicemente, non bisogna ascoltare».
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