CRONACHE DALL’APOCALISSE – DA STASERA IN ONDA SU SKY LA MINISERIE SUL DISASTRO DI CHERNOBYL CHE HA FATTO INCAZZARE I RUSSI – A METÀ TRA DRAMA E DOCUMENTARIO, È ANGOSCIOSA, TERRIBILE E POTENTE, E, COMPLICE IL DIBATTITO SUL CLIMA, TUTTI NE PARLANO DA SETTIMANE – SU “IMDB” È LA SERIE MEGLIO VOTATA DI SEMPRE E PARE ABBIA ANCHE FATTO AUMENTARE IL TURISMO NELLA CITTÀ UCRAINA (MA CI VOLEVA POCO): TUTTA QUESTA ATTESA È DAVVERO GIUSTIFICATA?
1 – CHERNOBYL È LA VERA SERIE TV DELL'ANNO?
Gianmaria Tammaro per www.esquire.com
Poteva essere una di quelle serie pesantissime e moraleggianti, dove l’inizio si mischia con la fine, dove la sceneggiatura prova a insegnare qualcosa allo spettatore e a puntare il dito contro i colpevoli. E invece Chernobyl, mini-serie Hbo e Sky, in onda su Sky Atlantic dal 10 giugno, è uno dei prodotti migliori del piccolo schermo, una miscela riuscitissima di finzione e messa in scena, d’ottima scrittura, di regia intelligente e di attori bravissimi.
In cinque puntate viene mostrata la tragedia ma, dice il creatore, Craig Mazin, non è una “disaster series”. C’è la scena dell’esplosione della centrale nucleare di Chernobyl – attenti a dove cade l’accento – e nient’altro. Perché poi il grosso lo fanno i protagonisti, lo fa l’ambientazione precisa e puntuale; lo fa la fotografia, il tono del racconto; lo fanno i tanti, piccoli dettagli, e una rievocazione – meglio: una ricostruzione – storica impeccabile.
È un drama, certo. Ed è anche un documentario – perché nomi, cose, fatti sono elencati per bene, perché ogni pezzo è al suo posto, e ogni data viene rispettata. I protagonisti – Jared Harris, Stellan Skarsgard, Emily Watson – parlano in un inglese perfetto, impeccabile, e così tutti quelli che sono attorno a loro: è una produzione americana-europea, dopotutto. Ma anche così, anche con l’accento brit, con Harris che sembra recitare uno Shakespeare, e con Skarsgard che accartoccia la faccia, che urla, che soffia via le sue preoccupazioni, Chernobyl mostra l’Unione Sovietica; mostra la faccia di un mondo andato, perduto, che ha fatto di tutto, ogni cosa, per nascondere il proprio fallimento.
Il comunismo, ecco, non poteva sbagliare. E quindi tutti i morti, le radiazioni, la grafite, quella maledettissima grafite sui tetti della centrale nucleare, non c’erano, non subito, non finché anche gli altri, gli svedesi in testa, si sono accorti che qualcosa, qualcosa di tremendo e inspiegabile, era successo. I primi paragoni vengono fatti con le bombe nucleari che gli americani avevano sganciato su Hiroshima e Nagasaki. Ora è peggio, viene ripetuto fino alla nausea; molto, molto peggio.
Gli uomini si ritrovano a combattere contro sé stessi, contro i mostri che sono, e contro un nemico invisibile, fatto d’atomi impazziti e di piccolezze infinitesimali. La conta delle vittime, a oggi, è ancora incerta. C’è chi parla di poche decine; chi, invece, sul lungo tempo e sull’ampio spettro, di milioni e milioni. Chernobyl è esplosa, e parte del mondo è morta con essa, per sempre. E difficilmente, molto difficilmente, tornerà quello che era prima.
Una morale, in questa mini-serie, non c’è. Però è innegabile come, ancora una volta, sul banco degli imputati, ci sia l’uomo, con la sua fallibilità e la sua arroganza, con la sua incapacità d’accettare i propri sbagli e i propri errori, di fare ammenda, d’accettare e, poi, di chiedere scusa. Dall’altra parte della nebbia della guerra fredda, alcuni provavano a fare la differenza. E poi c’erano gli eroi: i pompieri, i minatori e i soldati che per primi, anche senza protezioni, si sono gettati in prima linea, hanno fatto l’impossibile e, per questo, sono morti.
Chernobyl è angoscioso, è potente, è terribile. Sappiamo già come andrà a finire, e sappiamo anche quale conclusione la trama avrà – perché ci viene mostrata durante la prima puntata. Ma non riusciamo a ignorare e a fare finta di niente; non è facile non sorprendersi davanti ai chiaroscuri caravaggeschi di alcune inquadrature; non è facile non irrigidirsi davanti alla storia che si ripete, e non è strano abbandonarsi ai tre mattatori, alla bravura di Harris, allo stoicismo della Watson e al profilo impassibile, freddo, così profondamente russo (anche se, e lo sappiamo, russo non è) di Skarsgard. I primi due sono scienziati, e il terzo è un dirigente del partito comunista, quello chiamato a risolvere – per modo di dire – la crisi.
Chernobyl ha un andamento e una compostezza precisi, quasi perfetti, come, forse, non si vedevano da tempo in una serie televisiva. Perché non deve giocare con i cliffhanger, né insistere sulla sospensione dell’incredulità. È tutto già scritto, già detto, già saputo. E proprio per questo rivederlo è così efficace e, allo stesso tempo, così terribile. Questa è la televisione che si fa intrattenimento e si fa, pure, scuola; ed è la televisione migliore, la più bella, la più solenne.
jared harris alias lane price in mad men
2 – "HO CONOSCIUTO IL PERICOLO REALE E CAPITO L' IMPORTANZA DI DIRE LA VERITÀ SU QUEI GIORNI"
Gianmaria Tammaro per “la Stampa”
Nel 1986, quando il reattore numero 4 della centrale nucleare di Chernobyl esplose, Jared Harris era ancora uno studente della Central School of Speech and Drama di Londra.
«Ricordo la paura e la preoccupazione delle persone», racconta. Nella miniserie Hbo-Sky , interpreta Valery Legasov, uno degli uomini che si sono più adoperati per contenere il disastro nucleare. «Per appassionarmi alla storia, mi ci sono volute appena venti pagine di copione».
Ha imparato qualcosa che non sapeva?
«Pensavo di sapere ogni cosa, mi sbagliavo. Ho conosciuto il reale pericolo e ho conosciuto gli eroi, quelli di cui non si parla mai».
È difficile interpretare una persona veramente esistita?
«Non è così diverso dal dover interpretare un personaggio di finzione. Recitazione e metodo sono gli stessi. Provi, però, una certa responsabilità nei confronti di quelle persone che hanno vissuto quella tragedia e che sono sopravvissute».
jared harris alias lane price in mad men 1
Perché?
«Non vuoi deluderle. Vuoi assicurarti che ogni cosa sia il più autentica possibile».
Ci sono alcuni momenti che sfiorano il teatrale.
«Nel teatro la cosa più importante sono le parole. Qui, invece, sono le immagini. E i silenzi.
I momenti in cui non viene detto niente, in cui sono le persone e quello che c' è attorno a loro a raccontare qualcosa».
Sul sito IMDb «Chernobyl» è la serie più votata. Più di «The Wire» e di «Breaking Bad». Si aspettava questo successo?
«Ci speri sempre, ma non puoi mai saperlo con precisione. Molto dipende dal momento in cui una serie viene distribuita. Chernobyl è andata in onda mentre tutto il mondo parlava di ambiente e di problemi ambientali, di quella che è la nostra responsabilità come esseri umani».
Si tratta di questo, di buon tempismo?
«L' anno scorso ho lavorato a The Terror (Amazon Prime Video), e benché fosse una serie incredibile, non ha avuto la stessa visibilità che ha avuto Chernobyl. Perché non ha toccato nessun nervo scoperto. Questa, invece, sì: ne ha toccati molti».
Ovvero?
«È una serie che parla di persone, di esseri umani, che non mostra solo i colpevoli, ma mostra anche i fatti. E poi è una serie sulla verità. Su quanto sia importante dirla».
Una cosa che, al cinema, si fa sempre meno.
«La tv, molto spesso, parla a un pubblico più adulto e affronta argomenti diversi. I grandi studi cinematografici, oggi, vogliono intrattenere gli spettatori, convincerli ad andare in sala. E va benissimo. Amo i film di supereroi e i film d' azione».
La televisione, invece?
«Vuole mostrare il mondo e le persone che ci vivono. Si concentra sui rapporti umani. Sperimenta. È un po' quello che una volta era il cinema; ricordo i film e le storie degli Anni 70. Quando studiavo per diventare attore speravo di far parte di quel mondo. Poi è scomparso. È riapparso oggi, in televisione».
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