1. PRIMA SCOPARE E POI STRONCARE: IL FILM-BOOM DI MACCIO CAPATONDA FATTO A PEZZI SU “INTERNAZIONALE”. L’IRA DEI FAN: “SCATENIAMO L’INFERNO CONTRO QUESTI RADICAL CHIC!” 2. CHRISTIAN RAIMO: “IL FILM È PARECCHIO BRUTTO. MAL PENSATO, MAL SCRITTO, MAL DIRETTO, MAL INTERPRETATO. UN’IDEA BUONA PER UNO SKETCH NON REGGE UN FILM DI UN’ORA E MEZZA”
VIDEO - MACCIO CAPATONDA: “SOSSOLDI”, UN FILM CHE BADA A SPESE
VIDEO - MACCIO CAPATONDA: “ITALIANO MEDIO” (IL FINTO-TRAILER ORIGINALE, NATO ANNI PRIMA DEL FILM)
1. MACCIO VA DIFESO DALLA JIHAD DELLA COMMEDIA PIACIONA
Marco Giusti per Dagospia
Prima di tutto: Scopare! Attenti però, che la battaglia è solo all’inizio. Mentre Italiano medio di Maccio Capatonda con suoi due milioni di incasso in quattro giorni, e i 186 mila di ieri, ha stracciato le commedie radical chic che piacciono a Repubblica e le commedie col sud felice e contadino come fossimo nella Russia di Stalin, mostrando quanto si abbia bisogno in Italia di almeno un’idea originale e non omologata, sul web si scatena l’inferno per un articolo di Christian Raimo su “Internazionale” che massacra il film di Maccio.
ITALIANO MEDIO MACCIO CAPATONDA
ITALIANO MEDIO MACCIO CAPATONDA
Poche chiacchiere. Per Raimo “il film di Capatonda è brutto. Parecchio brutto. Mal pensato, mal scritto, mal diretto, mal interpretato”. Lo spiega pure, Raimo, e parte dal fatto che è un fan di Maccio. Insomma, non è il solito attacco istituzionale contro il film demenziale o cafone di Mereghetti&co. A quelli, anzi, alla critica dei giornali forti, incredibilmente, il film è piaciuto. Perfino al vecchio Porro sul Corriere (chissà che ha visto?). Dopo aver massacrato assurdamente i film di Checco Zalone e dei Soliti idioti, i giornalisti italiani si sono buttati a corpo morto a esaltare Maccio, probabilmente non capendolo del tutto, ma per non rischiare di sbagliare ancora una volta si sono buttati nel macciocapatondismo.
italiano medio di maccio capatonda 9
Un po’ come l’articolo di Conchita esaltata su Mattarella presidente, insomma. L’articolo di Raimo, invece, esplode sul web, sul giornale più fighetto e alla moda del momento, visto che pubblica anche Zerocalcare, e massacra il film. A questo punto insorgono i veri fan di maccio dal web a suon di tweets e pernacchie. “Vi meritate una società piena di Christian Raimo pronto a giudicarvi ad ogni perifrastica sbagliata. Questo vi meritate.” Scrive Pupi Avanti@FaberFabris.
“Oltretutto, caro Christian Raimo, la tua "recensione" di ITALIANO MEDIO è scorrettissima e piena di SPOILER: non leggetela, la cancello”, scrive Daniela Catelli @danicat58. E più avanti: "Scateniamo l'inferno contro questi Radical Chic che schifano l'italiano medio" dice @Mirkuz, “FALSO! Film ben fatto, divertente e intelligente.”, “Ecco i radical contro il nazionalpopolare. Stiamo coi cafoni!”. E, ovviamente, “#christianraimo sai cosa dovresti fare di più? #scopare”.
Non male anche, fra i tweets, quello di Old Trafford@28_52003 “unico punto su cui concordo è l'inutilità della presenza di @AndreaScanzi” e un “probabilmente si aspettavano ladri di biciclette o i vitelloni”. Quando un film spacca il pubblico, vuol dire che ha funzionato, che ha toccato quel 2% dell’intelligenza dello spettatore italiano medio e lo ha costretto a ragionare. Quello che non andava bene, semmai, era la critica positiva dei giornali italiani al film di Maccio. Che non è però il film cafone e demenziale che pensa il suo pubblico, come non lo erano né I Soliti Idioti né Checco Zalone.
andrea scanzi e selvaggia lucarelli mandano un bacio a barbara d urso che li aveva querelati
Magari Christian Raimo un po’ di ragione ce l’ha dicendo che è un film che non rischia molto, essendo totalmente costruito per i suoi fan, cioè per un pubblico già codificato, perdendo così ogni capacità inventiva e politica. E diventa un po’ un’occasione sprecata. Anche se, quando un film apre una battaglia critica, e piace molto al pubblico non è mai un’occasione sprecata. Ora, mi va benissimo che si apra a una critica sull’assurdità di un’industria che pensa ai suoi film comici come a delle scatolette ognuna per un suo pubblico.
italiano medio di maccio capatonda 7
Ma va detto che siamo davanti a un’opera prima, povera e rischiosa, con certi difetti, ma anche con molte qualità. E siamo davanti a un’opera che non è né piacevole né rassicurante sull’Italia di oggi. E che deve confrontarsi non con dieci Checco Zalone, ma con la povertà, soprattutto di idee, del cinema italiano, costretto a ricucire all’infinito remake o commedie che sembrano remake anche quando non lo sono.
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E’ vero, magari, che per chi conosceva i video di Maccio non c’è molto di nuovo, e che anche una certa sua sgradevolezza è parte di un mood un po’ fighetto della sinistra milanese, ma almeno qualche sana botta in testa la prendiamo, almeno il pubblico non è costretto a riconoscersi all’infinito con Raoul Bova, qualche giusta sgradevolezza c’è, compresa la scorreggia gigante che ci tenevamo da trent’anni.
italiano medio di maccio capatonda 4
Raimo non capisce che un film così va difeso comunque, anche se non è completamente riuscito. Perché ci vuole un attimo a passare dal giusto attacco ragionato al moralismo da cinecritico che fa le pulci alla struttura di un film quando tutto il panorama attorno è stato devastato dalla jihad della commedia piaciona attuale.
2. L’OCCASIONE MOLTO SPRECATA DI MACCIO CAPATONDA
Christian Raimo per http://www.internazionale.it/
Probabilmente Maccio Capatonda lo conoscete. Se non avete visto nessuno dei suoi programmi televisivi, tipo la sitcom Mario, sicuramente avete almeno presente su YouTube uno dei suo finti trailer. Tipo: Vedo la gente scema, L’uomo che usciva la gente, Giammangiato, che hanno poco più o poco meno di un milione di visualizzazioni, o Sossoldi che ne ha più di tre milioni.
Un paio di giorni fa è uscito al cinema, in quattrocento sale, il suo primo film, Italiano medio, in cui Capatonda è attore, sceneggiatore e regista. Insieme a lui c’è il suo staff di autori (Marco Alessi e Sergio Spaccavento ) e soprattutto tutta la sua banda di caratteristi: l’idiotissimo Luigi Luciano conosciuto come Herbert Ballerina, il malvagio Franco Mari-Rupert Sciamenna, lo strampalato Enrico Venti-Ivo Avido eccetera.
italiano medio di maccio capatonda 1
Italiano medio aveva tutte le premesse per incoronare Marcello Macchia, in arte Capatonda, trentaseienne abruzzese di Vasto, quale stella della comicità italiana. Una maschera perfetta della mediocrità strapaesana: sgangherata, ipertelevisiva, cafonissima. L’italiano medio, quello di Sordi, Villaggio, Verdone, Zalone, nella sua versione demenziale.
italiano medio di maccio capatonda 3
E invece, e purtroppo, il film di Capatonda è brutto. Parecchio brutto. Mal pensato, mal scritto, mal diretto, mal interpretato. L’errore principale è stato quello di immaginare che un’idea buona per uno sketch di due minuti potesse reggere un film di un’ora e mezza.
Un nerd ecologista, Giulio Verme, uno che si batte per difendere un parco dalle speculazioni edilizie, uno felicemente sposato con una ragazza impegnata nel volontariato, un giorno in cui è giù di morale incontra un vecchio compagno di scuola che gli offre una pillolina.
“Sai quella storia che usiamo solo il 20 per cento del nostro cervello? Con questa pillola usi solo il 2 per cento”.
I SOLITI IDIOTI RITIRANO IL PREMIO PER CATTELAN
Prima di rendersi conto di averla buttata giù, Giulio Verme si è già trasformato in un bruto: con lo sguardo perso nel vuoto, s’infila una canotta leopardata e diventa uno che pensa solo a scopare, a ruttare, a guardare la televisione, e andare in giro in macchina con la radio a palla: l’italiano medio. Comincia una relazione con la vicina di casa (una panterona che fino a un secondo prima aborriva), si compra tre megaschermi televisivi da piazzare davanti al divano, va a rota dell’ultimo talent…
Prosciugata oltre ogni limite quest’ideuzza (lo pseudointellettuale che diventa un supercoglione), Italiano medio arriva a quarantacinque minuti scarsi. E quindi? E quindi la seconda parte del film è l’accozzaglia di altre due, tre ideuzze gonfiate: una specie di thriller ecologista, la storia di Giulio Verme bruto che si presenta lui stesso al talent, la lotta intra-psichica tra i due Giulio Verme (il nerd e lo scemo) realizzata come una specie di cartoon, la parodia di un altro talent ecologista… Niente di tutto questo funziona se non per trenta, quaranta secondi di seguito.
CHECCO ZALONE OSPITE ALLUNIVERSITA CATTOLICA DI MILANO
Il pubblico in sala ride poco. Ride alle strizzatine d’occhio e alle battute da terza media, evidenziando il grosso problema del film: per essere demenziali sulla lunga distanza bisogna essere molto intelligenti. Ossia bisogna avere un mondo (e non dei tic, dei microaspetti sociali) da rovesciare, da rendere surreali. La lezione dei Monty Python ma persino degli Squallor è che per essere demenziale non si può fare comicità sociale, ma bisogna avere un approccio metafisico, altrimenti si rischia la parodia formato caricatura.
In questa parodia l’accumulo risulta puerile: “tratto da una storia finta”, “un film scritto da cinque persone e un autore”, “i pannelli solarium”, “lo scrittore Roberto Salviamolo”, “Just Caviale” (invece di Just Cavalli), “il Corriere della Serra”, “il calciatore Alessandro Del Pirlo”, “abita in Via del Tutto Eccezionale”… I giochi di parole funzionano se l’intero mondo è sottosopra, se no sono solo solletico.
C’è una scena alla fine in cui Giulio Verme è ricoverato, stordito, incerto della sua identità, in ospedale. Ai piedi del letto c’è un nugolo di giornalisti (tra cui un imbarazzato e imbarazzante Andrea Scanzi che ha deciso di fare un inutilissimo cameo) e poi il medico interpretato da Nino Frassica. Il minuto di Nino Frassica, la sua comicità stralunata, i suoi tempi, i suoi giochi di parole che non sono ammiccamenti ma un linguaggio a sé, mostrano per contrasto tutta la debolezza di Maccio Capatonda.
italiano medio di maccio capatonda 2
Una debolezza che non è dissimulata neanche con altri stratagemmi:
la voce off che racconta la storia dall’inizio non è usata in modo dialettico, per far ridere per contrasto (tipo Provaci ancora Sam per capirci), ma le caratteristiche ridicole della storia di Giulio Verme vengono tutte strasottolineate;
la recitazione dei personaggi è sopra le righe, e il risultato è che sembrano tutti uguali: stonati, estraniati, pagliacceschi;
l’unico personaggio che recita in modo più o meno realistico è Franca, la fidanzata di Giulio, il che la rende un personaggio completamente estraneo;
la caratterizzazione delle due anime di Giulio man mano si rivela scontata. Per esempio, Giulio il nerd non dice parolacce, ma alla quarta (se non alla prima) volta in cui dice “Scusa il pene” invece di “Scusa il cazzo”, veramente è difficile strappare una risata;
Eccetera.
‘’il nome del figlio’’ di francesca archibugi.
Inoltre la regia è un vero disastro. La regia da videoclip se funziona la prima o la seconda volta per creare uno spiazzamento alla terza, la quarta, l’ennesima volta finisce col non rendere credibile né coerente il film stesso se non come playlist di YouTube. Poi, metà del film è composto da inquadrature di faccioni ripresi con il grandangolare: anche qui capite bene che se un paio di volte può dare un effetto cartoonesco e comico, a lungo andare stanca.
Anche la fotografia è frutto di scelte troppo elementari. Giulio nerd=fotografia asettica (leggi: brutta, da fiction Rai); Giulio bruto=fotografia con colori saturi. Questo effetto ha il sapore di una battuta, e come tale anche qui funziona la prima volta, non se ripetuto a esaurimento.
‘’il nome del figlio’’ di francesca archibugi. 39426 ppl
Il montaggio, nonostante la maestria di Giogiò Franchini, è una sovrapposizione riempita senza vuoti, momenti di pausa, chiaroscuri, come se si avesse paura di lasciare lo spettatore a se stesso per più di un secondo, una paura da ritmo televisivo e non cinematografico.
troppo giusti marco giusti andrea delogu
Insomma un brutto film, un film non divertente, di un artista come Maccio Capatonda che invece il talento ce l’ha. E che ha soprattutto una sua idea di comicità, come si può ascoltare in quest’intervista.
L’impressione che uno spettatore ben disposto ne ricava è che l’Italia negli ultimi vent’anni sia stata devastata da una dealfabetizzazione comica. Il linguaggio comico dovrebbe essere patrimonio comune di un intero paese, oggi è facile constatare il contrario.
È praticamente impossibile trovare un film che faccia ridere tutti, ossia un codice comico condivisibile, e così i produttori esasperano le differenze per le diverse categorie di pubblico. Invece di far diventare Capatonda un Totò o almeno un Checco Zalone, lo lasciano assomigliare a se stesso, a replicare le sue performance televisive, in modo da assicurarsi il riconoscimento e il pubblico che già ha. Per altri tipi di pubblico ci sarà Alessandro Siani o la commedia di Francesca Archibugi.
E in questo senso, assegnando a ogni pubblico un codice e un certo tipo di prodotto, la capacità inventiva e persino politica della comicità diventa, veramente e purtroppo, una piccola cosa molto innocua.