IL CINEMA DEI GIUSTI - FELLINIANI DI TUTTO IL MONDO, DATEVI PACE! BASTA DOCUMENTARI, INTERVISTE, OMAGGI, SENZA UNA NOVITÀ CHE SIA UNA. EPPURE È PIENO DI COSE DA SCOPRIRE
Marco Giusti per Dagospia
Felliniani di tutto il mondo! Dateve pace! E smettetela con questa massa di articoli, documentari, interviste,omaggi che, al 90 per cento, non aggiungono niente, ma proprio niente al cinema di Fellini e alla conoscenza dei suoi film. E' vero che sono passati giusto vent'anni dalla sua morte, ma non vi sono bastati, solo quest'anno, ben due film, tra Cannes e Venezia, "La grande bellezza" di Paolo Sorrentino e "Il sacro Gra" di Gianfranco Rosi, che si rifacevano proprio a Fellini.
E forse non solo per scelta. Quasi in automatico. Faccio un film sulla Roma godona di oggi e rivado subito a "La dolce vita", a Marcello, a Steiner, alla Ekberg. Faccio un documentario sul Grande Raccordo Anulare e subito mi viene in mente non solo che Fellini stesso lo ha trattato in "Roma", ma che anche i personaggi di oggi che vivono da quelle parti sono un po' felliniani.
Del resto, qualsiasi commedia di oggi che si ambienti a Roma, sia legata alle classi basse che alle classi alte, rimanda ai faccioni felliniani, ai suoi intellettuali alla Steiner, ai giornalisti disincantati alla Mastroianni, qualsiasi documentario realistico che si monti con oggetto Roma e i romani ti riporta alla realtà romana vista da Fellini. Neppure grandi registi come Martin Scorsese o David Lynch sanno più che dire di intelligente sul suo cinema. E i canali digitali sono pieni di rimontaggi di rimontaggi di programma già visti e digeriti. Eppure ci sarebbero delle cose da recuperare, da studiare.
Dove sono i tagli de "I clowns" o quelli di "Toby Dammit" con l'episodio western che Fellini buttò via per intero, dopo averlo girato e montato su consiglio di Bernardino Zapponi? A che punto stanno le ricerche su "Il viaggio di G. Mastorna"? Che ne sappiamo del copione che Fellini scrisse per Ursula Andress e Marcello Mastroianni e che la diva non volle fare per non fare ingelosire Jean-Paul Belmondo?
E il "Mandrake" che doveva girare per una tv americana? Il cinema di Fellini è pieno di false piste e di trappole per produttori e cinefili inesperti dove è facile perdersi o tornare, come nel Gioco dell'Oca, al punto di partenza. Ma tutto l'aspetto esoterico del suo cinema e della musica che gli scriveva Nino Rota? Perché un film come "Casanova" è così legato all'esoterismo e alla musica mortuaria? E i rapporti con Flaiano e Pasolini? Chi li ha davvero studiati? E la fuga di Piero Gherardi?
Ci vorrebbero cento Tatti Sanguineti sguinzagliati per le cineteche o a caccia dei possibili Walter Santesso di provincia per fare questo lavoro impossibile. E intanto, in dvd, in tv, non vediamo una buona copia di "Roma", che ancora oggi penso sia un capolavoro, con la scena che meglio rappresenta lo stato di sempre del nostro paese, cioè il Teatrino della Barrafonda, quella dove il varietà dei tempi di guerra si fonda col suo pubblico. Una scena chiave non solo per il cinema di Fellini, e del fido sceneggiatore Bernardino Zapponi, ma per tutto il nostro cinema.
Vale molto più di "Amarcord", che posso adorare per le scene della scuola, che dettero vita al genere delle insegnati sexy con Alvaro Vitali, creatura totalmente felliniana, o per il "Voglio una donna!" di Ciccio Ingrassia sull'albero. Per questo amo alla follia sia il "Satyricon" che "Casanova", che rivedo ogni volta che me li ritrovo in tv e che penso siano davvero i capolavori di Fellini, assieme a "Toby Dammit" (ecco, questo è un bel film da Halloween) e a "Le tentazioni del dottor Antonio", che sono due horror che giocano sul genere, il primo sul western e il secondo sul peplum.
E amo anche un bel po' "Ginger e Fred", per l'apparizione del vecchio Toto Mignone ("guarda chi c'è? Toto!") che accompagna in scena Marcello e Giulietta nello show da Canale 5 condotto da Franco Fabrizi doppiato da Alberto Lionello. Non c'è più nessuno degli attori che ho citato. Non c'è più niente di niente. Neppure Moana nei finti spot felliniani né Ennio Antonelli che accende la tv nella camera d'albergo di Giulietta. Insomma, qualcuno glielo dica ai nostri registi grandi e piccoli. E' finito. Il sogno del cinema è finito da un pezzo.
Non parliamo poi di Fellini. Riprenderlo, scorticando i viaggi nella Roma notturna felliniana non è così elegante e, almeno per chi li ha visti bene quei film e ha vissuto quelle storie, ci porta a terribili confronti che, se non sei Ennio Flaiano o Dino Risi è meglio che lasci perdere. Magari il gioco funziona meglio nel documentario, perché è la vita stessa che ti riporta a Fellini e al nostro cinema. Ma, alla fine, il ritornare a Fellini è sempre un grosso alibi per non confrontarsi col cinema e con la realtà di un paese che possono anche essere felliniani, ma che oggi sono altre cose, diverse, lontane e per le quali occorrerebbe inventarsi dei nuovi linguaggi, dei nuovi sguardi, senza riandare a prendere l'acqua nel pozzo della luna felliniana.
E anche i documentari sembrano alla fine qualcosa di inutile, un viaggio nel già visto e perduto, come lo "Scola racconta Fellini", che può solo rimarcare la fine del sogno del nostro cinema. Ma andare per strada a riprendere la realtà , no? Meglio mille serie web dei piccoli registi che non hanno mai visto un film di Fellini, neppure "8 ½", ma sanno solo che il nome del regista può anche andare prima del titolo.
Come insegnò, per tutta la classe dei registi, proprio Fellini con "Fellini 81/2", rendendoli per la prima volta autori e padroni, almeno creativamente, delle proprie opere. Lo ricordava tanti anni fa per tutti il vecchio Orson Welles in un articolo sui "Cahiérs". Da qualche parte ci dovrebbe essere.
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