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IL CINEMA DEI GIUSTI - “JUPITER” DEI FRATELLI WACHOWSKI (QUELLI DI ‘MATRIX’) È ‘NA CACIARA: PUBBLICO ALLIBITO, UN DISASTRO EPOCALE. E DUNQUE UN FILM IMPERDIBILE

Marco Giusti per Dagospia

 

Jupiter Ascending di Andy e Lana Wachowski

 

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‘na caciara. E, probabilmente, un disastro epocale per un giocattolone fantascientifico semimarxista da 175 milioni di dollari. Semi perché con un budget così alto e con così tante battute sulle palle di Stalin è difficile definirlo marxista. Ma anche talmente kitsch e sballato da poter diventare uno dei film più divertenti dell’anno. Basterebbe la complessa scena della lunga fila burocratica che devono fare i nostri eroi dalle varie amministrazioni spaziali, manco fossero negli uffici del Comune di Roma, per ottenere i documenti necessari per riconquistare la proprietà della Terra che culmina con l’apparizione di Terry Gilliam.

 

Gloria quindi, nel disastro più totale, ai fratelli Andy e Lana Wachowski e al loro Jupiter Ascending, diventato da noi Jupiter – Il destino dell’universo, folle space opera sui destini della razza terrestre e su chi la potrebbe salvare dalla distruzione. “Io non sono tua madre!”, urla la Jupiter Jones di Mila Kunis, immigrata russa di Chicago che si è scoperta regina della terra e reincarnazione di una specie di madre primordiale dei capitalisti dell’universo, cioè i fratelli Abrasax, fabbricanti di un elisir di lunga vita che rigenera le cellule vagamente vampiresco.

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“No”, le urla il cattivissimo Balem Abrasax, cioè l’Eddie Redmayne candidato all’Oscar come Stephen Hawking, qui abbastanza disastroso, “mia madre non ha mai pulito un cesso nella sua vita!”. Sì, perché Jupiter, malgrado gli occhioni scuri sempre spalancati, il gran bel corpo e un futuro da Sua Maestà, fa la cameriera nelle case dei ricchi americani di Chicago e la vediamo tutti parecchio china sui cessi. Giusto che la classe alta, i capitalisti che sfruttano gli abitanti della Terra allevati come animali da ingrasso, non abbiano nessuna voglia di trattare da pari con lei, cresciuta come manovalanza, malgrado le api, che non dicono mai bugie, l’abbiano da subito riconosciuta e protetta come la regina del pianeta.

 

E ha problemi di classe perfino il bel fustone Caine Wise di Channig Tatum, con pizzetto, orecchie pizzute vulcaniane e scarponcini per volare nell’Universo, di professione guerriero licotone, cioè mezzo uomo e mezzo lupo, che dopo averla salvato dagli attacchi delle squadracce dei signori di Abrasax, pur innamorato di lei, quando scopre che è una nobile, la guarda con referenza, la chiama Sua Maestà e china lo sguardo.

 

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Ahi! I Wachoskis sguazzano in questa storia della Cenerentola di Chicago che si scopre Regina, ma che sogna di tornare a pulire i cessi e ama la sua orrenda famigliola russa che la sfrutta fino a cercare di farle vendere le ovaie. La mandano in orbita perfino in chissà quale galassia, dove affronterà i tre regni dei tre fratelli Abrasax, due maschi, Eddie Redmayne e Douglas Booth (Posh), e una femmina, Tuppence Middleton (The Imitation Game), tutti ugualmente falsi e cattivi, che da una parte la riconoscono come vera Regina, ma poi  cercheranno di farla fuori.

 

La salverà sempre e solo il suo angelo senza ali, gliele hanno tagliate, fedele e innamorato, manovalanza dell’Universo, solo metà umano. Magari è un altro film sul corpo in mutamento come nuova entità, un po’ come nell’ancora più folle e complesso Cloud Atlas, dove in ogni scena dovevamo scoprire, scavare nei corpi degli attori. Magari è solo un grosso polpettone fantascientifico, difficile da raccontare e da digerire, ma abbastanza strampalato e pieno di battute camp da poter diventare di culto. Ovviamente c’è di tutto, dall’omaggio a Brazil e al mondo di Terry Gilliam a una serie di navicelle spaziali a forma di coleotteri.

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C’è la grandiosa attrice coreana di The Host e di Cloud Atlas, Doona Bae, in un ruolo di mercenaria vistosa che guida una grossa moto spaziale e Sean Bean come vecchio amico dell’eroe che alleva api in piena campagna. Ci sono voli romantici nel cielo di Chicago e un matrimonio principesco nel regno di Douglas Booth che vedrà Mila Kunis vestita di rosso e di bianco come una sposa cinese. Lo hanno stroncato praticamente tutte le riviste di cinema americane. “peggio che un brutto film. Orribilmente strutturato e interpretato malissimo”.

 

“Mila Kunis porta il tatuaggo di ridicolo sulla fronte”. “Le api non mentono e non mentirò neanche io su questo film”. Le più tenere vanno da “un disastro” a “uno spreco”. Gli attori vengono tutti ugualmente massacrati. Il candidato all’Oscar Eddie Redmayne è dai più ridicolizzato come cattivo che recita con l’occhio di fuori e il sospiro di Bette Davis “sembra che in una mano stringa pure la sigaretta come la stringeva Bette Davis”. Per questo non si può che finire con l’adorare questo strampalato e martoriato kolossal, già bollato come disastro a giugno e quindi rimandato nell’uscita di ben nove mesi.

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E salviamo pure i suoi protagonisti, l’impassibile e senza espressioni Channing Tatum e Mila Kunis che vedrà, probabilmente, compromessa per sempre la sua carriera. Ma nemmeno Eddie Redmayne se la caverà a buon mercato. Ovviamente imperdibile. L’ho visto a Roma al The Space Moderno davanti a un pubblico allibito.

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