UN “CINESE” AL “NEW YORK TIMES” - IL PIÙ INFLUENTE QUOTIDIANO AMERICANO HA UN NUOVO, ANNUNCIATISSIMO, DIRETTORE: JOSEPH KAHN A GIUGNO EREDITERÀ IL POSTO DI DEAN BAQUET, CHE LO GUIDAVA DAL 2014 - IL NUOVO “EDITOR IN CHIEF” ARRIVA DAGLI AFFARI INTERNAZIONALI: È STATO CAPO DELLA REDAZIONE DI PECHINO E PARLA BENE IL CINESE - LE SFIDE: CONTINUARE NELLA CRESCITA DI ABBONATI DIGITALI, CON L’OBIETTIVO (REALISTICA) DI ARRIVARE A 15 MILIONI DI ISCRITTI (PAGANTI)
1 - NEW YORK TIMES, JOSEPH KAHN NUOVO DIRETTORE PER CONTINUARE LA SFIDA DIGITALE
Il New York Times ha un nuovo direttore: Joseph Kahn erediterà in giugno il posto di Dean Baquet al timone del più influente quotidiano americano. Kahn prende le redini del giornale in un momento critico per la sua storia: mentre cerca di conquistare nuovi lettori senza alienarsi la fascia storica del suo pubblico progressista.
Leadership più tradizionale
Baquet, un afro-americano, aveva guidato il giornale dal 2014 facendogli vincere ben 18 Pulitzer in anni segnati dall’ascesa di Donald Trump e dal dilagare della pandemia. Gli esperti di media descrivono il 57enne Kahn, che dal 2016 è stato il suo numero due, come una figura più riservata rispetto al carismatico predecessore, con uno stile di leadership più tradizionale e in linea con le direttive, sul fronte dei social, impartite nei giorni scorsi ai giornalisti, di evitare “cinguettii” non istituzionali su Twitter.
Un direttore che conosce bene la Cina
Il nuovo direttore viene dagli affari internazionali: ha vissuto a lungo in Cina, è stato tra l’altro capo della redazione di Pechino e parla bene il cinese. Il suo nuovo ruolo prevede anche un rinnovato impegno a traghettare la transizione digitale dopo decenni dedicati al “miracolo quotidiano” delle edizioni a stampa e ad attirare nuovi abbonamenti non solo negli Stati Uniti ma nel resto del mondo. Il Times ha attualmente circa 10 milioni di abbonati online: erano meno di un milione quando Baquet aveva assunto la direzione.
Allargare la fiducia
La priorità di Kahn sarà di mantenere e allargare la fiducia del pubblico «in un’epoca di polarizzazione e partigianeria», ha detto il direttore designato al New York Times: «Non sappiamo dove si muoverà nel tempo il barometro della politica. Ma anziché inseguire questo, vogliamo rinnovare l’impegno ad essere indipendenti».
Quanto a Baquet, lascia a 65 anni per limiti di età dopo aver guidato per otto anni il giornale ereditato dopo il brusco licenziamento di Jill Abramson, la prima donna direttrice del New York Times, per dissapori con lui e con l’allora editore Arthur Sulzberger. Ex direttore del Los Angeles Times e poi “numero due” del giornale, era diventato così il primo direttore afro-americano nella lunga storia del quotidiano.
2 JOSEPH KAHN E LA STRATEGIA DIGITAL FIRST DEL NEW YORK TIMES
Marco Valsania per www.ilsole24ore.com
Riproponiamo l’intervista del 2018 a Joseph, Joe, Kahn, giornalista del New York Times nominato nuovo direttore del quotidiano Usa il 19 aprile 2022. Assumerà l’incarico a giugno.
Joe Kahn è un generale nella Last Great Newspaper War. L'ultima grande guerra tra giornali. Una sfida – oggi – anche di innovazione digitale tra due storici marchi del giornalismo.
Il ringiovanito New York Times e il risorto Washington Post. Il piglio del managing editor del Times, braccio destro del direttore Dean Baquet, è quello di chi sa d'essere uno dei duellanti. A 53 anni ha alle spalle due Pulitzer ma non è seduto sugli allori: vede testate capaci di far sempre proprie le tecnologie che avanzano, di catturare un pubblico «disposto a pagare per il contenuto». O meglio «l'accuratezza, l'ampiezza, la profondità, la qualità dell'informazione».
Mi riceve tra una riunione e l'altra. In una sede sull'8a Avenue che porta le cicatrici delle continue trasformazioni. Racconta però quanto le cose siano ormai cambiate. Lo storico quotidiano è ora diventato digital first.
«Le entrate da abbonamenti sono molto superiori rispetto alla pubblicità, 65 contro 35%. E il segmento più in crescita è quello delle subscription digitali. Non ci aspettiamo che continuino ai ritmi dell'inizio dell'era Trump, ma cresceranno».Il momento della verità è arrivato con la Innovation strategy tenuta a battesimo nel 2014.
«Quando abbiamo scoperto che un'organizzazione caratterizzata dal primato degli abbonamenti digitali richiedeva più trasformazione di quanto immaginato». Esempio concreto: la separazione della produzione del giornale cartaceo dal news desk. «La maggior parte delle redazioni produceva la rispettiva sezione nel giornale».
Non più: «I desk non sono più responsabili dell'edizione cartacea, bensì del digital report. Un'altra squadra crea la sezione dopo che le storie sono uscite su piattaforme digitali e questa non rispecchia necessariamente il digital report».Semplificare il lavoro dei desk ha consentito «di pubblicare le storie quando hanno la miglior performance, di pensare in maniera più creativa ad altre piattaforme non solo nostre come Facebook, Twitter, YouTube per i video. Di liberarsi e fare un giornalismo guidato da elementi visivi anziché dal testo».
la redazione del new york times 1
La “carta”, insomma, non deve soffocare l'abilità del desk di produrre in quantità e qualità storie digital e visual. «Spezzare quel legame dà spazio per crescere, cambiare la cultura della redazione e la natura del “news report” quotidiano». Tra i servizi di maggior successo c'è un podcast quotidiano di venti minuti, The Daily, sui “must” di giornata. È una rivoluzione non facile e che ha pagato un prezzo in controversie. Un caso simbolico è scoppiato sulla trasformazione dei gloriosi copy desk incaricati di scovare errori.
ARTICOLO DEL NEW YORK TIMES SU DRAGHI E LA RAZIONALITA' DOPO IL POPULISMO
«Abbiamo semplificato la struttura di editing, concentrandola nei desk di origine delle storie e non più su desk separati. Era un sistema approfondito, ma troppo lento per il digitale». Kahn giura che lo sconcerto iniziale è passato. Altra svolta discussa è stata l'espansione dell'universo del “branded content”.Da esperimenti giornalistici quali Daily 360, video con tecnologia di realtà virtuale sponsorizzato da Samsung. A una vera e propria agenzia pubblicitaria interna d'avanguardia, T-Brand Studio.
la rielezione di mattarella sul new york times
«La collaborazione tra newsroom e inserzionisti – dice Kahn – richiede cautela. Se troviamo inserzionisti disposti a sostenere giornalismo di qualità, bene. Non lasceremo però che la newsroom produca contenuto per pubblicitari». T-Brand rimane del tutto «separato, un'agenzia creativa che non fa parte della newsroom». Anche se ammette che problemi nascono di volta in volta: «C'è dibattito su quanto e quale spazio diamo sulla homepage. Servono controlli stretti, ma l'esperienza di leggere il Times è giornalistica, i contenuti sono identificabili e i nostri standard non cambiano».Kahn raccoglie con una battuta la sfida con il Post: «Vinciamo noi».
chiara e valentina ferragni sul new york times
Applaude il rivale perché la competizione fa bene: «È uno dei maggiori concorrenti nella corsa ai digital media e nelle storie al centro dell'attenzione, la politica di Washington». Ma, aggiunge, «non siamo equivalenti. La nostra copertura è più ampia, approfondita, nazionale e globale – da business a cultura, da cinema a tech, da reportage a cucina. E ci distinguiamo anche nel digitale, nei video, nelle arti visive, nello storytelling».
Il Times vanta 2,2 milioni di abbonati digitali, il doppio del Post, e 3,2 milioni totali, a prezzi superiori; 1.350 giornalisti, 600 più del Post; e una rete di 30 uffici esteri e 75 corrispondenti. Edizioni in mandarino come in spagnolo. A suo avviso il Post sta affinando la sua strategia a ruota del Times – vale a dire la scelta «di aumentare gli abbonamenti digitali valorizzando giornalismo di qualità». Kahn è ottimista sul modello di business del futuro almeno per le grandi testate. «Pochi sanno offrire giornalismo analitico, scettico, investigativo». La scommessa è quella di essere sempre più rilevanti e disponibili ovunque. «Molto lavoro resta da fare per capire il pubblico di oggi e del futuro – avverte – ma in tutto questo la newsroom rimarrà il cuore».