UN CINGUETTIO SCUOTE WALL STREET: TWITTER ENTRERÀ PRESTO IN BORSA E FARA’ IL BOTTO – VALE 15 MILIARDI $ E INCASSA 500 MILIONI DI PUBBLICITA’
Francesco Semprini per "La Stampa"
Già questa settimana sarà alzato il velo sull'ancora ignoto mondo di Twitter. Il sito di microblogging rende infatti pubblica la documentazione consegnata alla Securities and Exchange Commission (la Consob americana) in vista della sua Offerta pubblica iniziale, propedeutica all'approdo in Borsa.
Questo vuol dire che già prima della festività del Thanksgiving, nell'ultima decade di novembre, sarà possibile vedere il titolo del social network passare di mano nelle contrattazioni di Wall Street, «shutdown» permettendo, spiegano fonti vicine alla società , dal momento che l'esordio sui listini potrebbe slittare in caso di turbative dovute alla paralisi della pubblica amministrazione.
Tra qualche giorno quindi ne sapremo finalmente di più sulla società protagonista, assieme a Chrysler, delle Ipo dell'anno, visto che la consegna della documentazione «S-1» alla Sec, era avvenuta nella formula «confidenziale» prevista per le imprese che hanno un giro di affari inferiore al miliardo di dollari l'anno.
La trasmissione risale infatti a luglio, ma la società ne ha dato notizia solo il 12 settembre. Si tratta di un iter previsto dalla «Jumpstart Our Business Startups, o Jobs Act, la modifica legislativa varata dal presidente Barack Obama nel 2012, per snellire le procedure e rafforzare la propensione delle «start-up», a quotarsi. Il punto è che Twitter non è proprio una società in fase di decollo, vista l'utenza di diverse centinaia di milioni di persone e la diffusione su scala mondiale.
Ancor più perché sta diventando uno strumento «semi-istituzionale» dal momento che leader spirituali e politici, come il Santo Padre o Hassan Rohani, il presidente dell'Iran dal rinato riformismo, comunicano col mondo cinguettando. L'unica informazione di cui si è in possesso è che la società vale intorno ai 15 miliardi di dollari e che le entrate da pubblicità superano i 500 milioni. Tutto il resto è ragionamento.
Come quello che individua i potenziali beneficiari, oltre ai fondatori Evan Williams e Jack Dorsey. Tra questi Sir Richard Branson, il patron di Virgin Air, e l'attore Ashton Kutcher, coloro che per primi hanno scommesso sul successo di Twitter. Come loro ne troviamo tanti altri meno famosi ma dalle storie composite.
C'è Jay Virdy, ad esempio, guru di Aol che ha lasciato nel 2007 per guidare Summize, un motore di ricerca a sua volta acquistato da Twitter, nel luglio 2008. «Quando dicevo che avrei venduto, - racconta Virdy - tutti mi rispondevano: "E chi è questo Twitter?"». E lui ribatteva: «Ve ne accorgerete». Al tempo il valore di Summize era di una decina di milioni, oggi ne vale cento.
Sono in tutto una cinquantina istituzioni e investitori individuali titolari di azioni «Twitter» acquistate attraverso compravendita diretta, secondaria o manovre di acquisizione, oltre alle centinaia che vi hanno investito attraverso fondi. Tra i titolari del cinguettio c'è anche il principe saudita AlWaleed bin Talal, che detiene il titolo in portafogli nella sezione «Usa» accanto al pacchetto da un miliardo di dollari in Citigroup.
C'è Josh Felser, gestore di un fondo da 25 milioni di dollari chiamato Earlybird che ha deciso di scommettere, quasi per gioco, su BlackType, una start-up rilevata poi dal social network nel 2011, con un accelerazione di valore da vertigini. Da segnalare anche i «miracolati» di Odeo, finanziatori dell'omonima start-up di «podcasting» creata nel 2005 da Williams, il co-fondatore di Twitter.
Il progetto fallì miseramente, ma Williams restituì tutti i soldi agli «avventurieri del capitale» che avevano creduto in lui. Tanto da conquistarne la fiducia e convincerli in una seconda chance: così alcuni di loro come Mike Maples, George Zachary e Ron Conway hanno messo di nuovo mano al portafogli, trovandosi ora costretti a comprarne uno molto più grande.






