LA CULTURA WOKE? E’ IL NUOVO MACCARTISMO – CARLO FRECCERO: “LA DÉBÂCLE DELL’IMMAGINARIO AMERICANO COINCIDE CON L’IMPOSIZIONE AD HOLLYWOOD DI REGOLE STRINGENTI, NON NEGOZIABILI, LEGATE A DIMENSIONI COME LA POLITICA E LA PROPAGANDA. NON SI PRODUCE PER IL MERCATO, MA PER OTTEMPERARE A DIKTAT IDEOLOGICI. DA TEMPO, COMPLICE LA CRISI ECONOMICA, LA PANDEMIA E LA GUERRA, LA PROPAGANDA HA PRESO IL SOPRAVVENTO SULLE REGOLE NARRATIVE SOSTITUENDOLE CON REGOLE POLITICHE O MEGLIO POLITICAMENTE CORRETTE. LA DISCRIMINAZIONE DELLE MINORANZE È IL TEMA CHE HA SOSTITUITO A SINISTRA LA LOTTA DI CLASSE MA…”
Carlo Freccero per il "Fatto quotidiano"
Un nuovo fantasma si aggira nell’industria dell’immaginario: il fenomeno Woke. E i suoi esiti sono letali per il prodotto come a suo tempo lo fu per il maccartismo. Assistiamo da un lato alla débâcle delle major americane e delle produzioni hollywoodiane. Dall’altro basta guardare fuori dall’Occidente che le serie turche, Bollywood, i film sudcoreani continuano a funzionare e si impongono persino sui nostri mercati. Ho qui, sotto i miei occhi, un grafico che raffigura il crollo borsistico della Disney, che conosce da tempo una fase discendente.
Contestualmente si registra nelle sale cinematografiche l’incredibile successo di Barbie e Oppenheimer per cui è stato addirittura coniato il neologismo Barbenheimer. E proprio il film Oppenheimer ha attirato la mia attenzione sulle analogie tra la rigida censura woke che domina il mercato oggi ed il maccartismo americano ieri.
Nel film il maccartismo rivela un’ingerenza pervasiva a 360 gradi in ogni forma possibile di ricerca e di comunicazione. Oggi la scienza ci viene presentata come “verità” intoccabile, non negoziabile. Ma in Oppenheimer apprendiamo che, di fronte ai disegni di potere, anche la scienza diventa propaganda.
Le rigide norme restrittive che regolano la comunicazione, non risparmiano la scienza e pervadono qualsiasi ambito della società. Anche la ricerca scientifica non è libera, ma subordinata all’ideologia dominante. Il maccartismo oggi si ripropone con il woke. Per me la débâcle dell’immaginario americano coincide con l’imposizione ad Hollywood di regole stringenti, non negoziabili, legate a dimensioni come la politica e la propaganda ed estranee al testo filmico.
LA COPERTINA DI THE SPECTATOR SULLE ELITE WOKE
Non si produce per il mercato, ma per ottemperare a diktat ideologici. Da tempo, complice la crisi economica, la pandemia e la guerra, la propaganda ha preso il sopravvento sulle regole narrative sostituendole con regole politiche o meglio politicamente corrette. Io non voglio qui entrare in un giudizio sul contenuto di quelle regole. Mi interessa la loro incompatibilità con l’immaginario perché per definizione l’immaginario non può essere legato a regole date ed esteriori al testo. Dove sarebbe allora l’immaginario?
Queste regole che Hollywood sintetizza in punti fondamentali impediscono la libera espressione dell’immaginario degli autori. Per cominciare è discriminatorio scegliere un attore in base al sesso, ma per qualsiasi ruolo devono poter competere maschi, femmine, transgender o persone che si reputano tali. Ciò rende difficile mettere in scena ruoli codificati. Lo stesso vale per le etnie, indipendentemente dalla realtà storica. E così abbiamo Vichinghi neri e Biancanevi ispaniche.
E va già bene se Biancaneve non è un uomo. La regola impone sempre la presenza di liquidità sessuale e di etnie non sempre compatibili con la realtà storica. Infine, recentemente, si è aggiunto a questo decalogo anche l’agenda green che impone produzioni a bassa emissione di anidride carbonica.
C’è di che paralizzare ogni sceneggiatura. Io ho sintetizzato queste regole con la dicitura riassuntiva di cultura woke. Woke significa “svegliati”, “stai attento”, “non farti fregare”. Come molte dottrine americane non è tanto legata alla teoria ma al fare, alla dimensione pratica. Il termine woke nasce storicamente con la ribellione dei neri americani dopo le atrocità gratuite da parte della polizia. Il termine woke viene poi citato non in testi letterari, ma in una canzone rap. Col tempo è passato dalle sole minoranze nere a designare tutte le minoranze, quindi anche donne e transgender. In questo riferimento alle minoranze possiamo trovare, secondo me, l’unico aggancio teorico possibile.
La discriminazione delle minoranze è il tema che identifica i radical americani e che ha sostituito a sinistra la lotta di classe. Teorico della organizzazione delle minoranze e della loro liberazione è stato Saul Alinsky maestro e guida di tutti i radical. Da difensiva la lotta alla discriminazione si è fatta impositiva. Bisogna evitare la discriminazione non solo a posteriori, quando si manifesta, ma a priori, prima ancora che venga solo immaginata. E queste regole valgano anche per il passato, da cui la Cancel Culture che colpisce come una scure la grande cultura europea in nome di regole attuali sconosciute in altre epoche storiche.
Se queste culture passate non possono essere adeguate al woke vanno cancellate con una damnatio memoriae che implica abbattimento di statue, imbrattatura di tele, cancellazione di corsi universitari e di discipline classiche. L’accusa che viene portata avanti dalle minoranze alla cultura passata e presente è di non essere politicamente corretta, ma l’immaginario non può ridursi alla politica.
E tanto meno essere corretto se esce dai binari consentiti. Io penso che ogni forma di espressione culturale abbia regole proprie che sovraintendono non solo alla sua creazione e ideazione, ma anche al successo economico e commerciale una volta che il progetto si trasforma in prodotto e viene immerso sul mercato. Io identifico due regole che la cultura woke calpesta. Il primo è lo svolgimento classico dell’intreccio, l’arco narrativo che non racconta più un‘avventura, eventi romanzeschi e peripezie drammatiche, ma solo un itinerario interiore di raggiungimento dell’identità sessuale come se solo questa dimensione fosse importante.
Il viaggio dell’eroe è stato sostituito da un rigido regolamento che risolve ogni possibile intreccio in chiave identitaria e quindi puramente interiore. Il secondo elemento è la trasgressione ai codici impressi indelebilmente dall’autore alla storia. Il fan di un franchising è un fanatico che sovraintende alla ortodossia di una storia e di personaggi che conosce in ogni possibile dettaglio ed il cui stravolgimento è vissuto come un’eresia. Il cinema ha mutuato dalle serie il processo di fidelizzazione del pubblico trasformando ogni film di successo in una matrice per soggetti successivi correlati.
Prequel, sequel, spin-off nascono per parlare ad un pubblico già consolidato, attento censore contro ogni alterazione dei personaggi e del soggetto base. Ogni cambiamento genera ribellione nei fan che si sentono alla loro volta minoranze offese e boicottano i prodotti non consoni al canone specifico della storia in cui si riconoscono. Oggi la propaganda prevale sia sulla creatività che sul mercato. La soluzione per sopravvivere a livello economico sembra essere oggi, per l’industria dell’immaginario, il sussidio che nelle produzioni si traduce in finanziamenti. Solo i progetti politicamente corretti sono finanziati. Ma in questo modo i sussidi uccidono l’economia reale e la mitica fabbrica dell’immaginario che non ha più futuro né autonomia.