1. CANTO DE GREGORIANO: IL RAPPORTO CON DALLA, LA FUGA IN MONTAGNA CON BAGLIONI, LA RIVALITÀ CON VENDITTI E LO CASCIO: ''SI GIOCAVA SEMPRE PER VINCERE, PER SENTIRSI PIÙ FICHI'' 2. PENTITO! STRONCA 'LA DONNA CANNONE': 'IL TESTO, SENZA MUSICA NON STA IN PIEDI''. E PURE ''LA STORIA'': ''È RETORICA E LA RETORICA È LA PRESUNZIONE DI DIRE SEMPRE LA COSA GIUSTA'' 3. ''TITANIC? AI MIEI DISCOGRAFICI NON PIACEVANO IL TITOLO, IL PROGETTO, L'ARGOMENTO. PENSAVANO PORTASSE SFIGA E SI TOCCAVANO LE PALLE. NON FECERO PROMOZIONE''
Malcom Pagani per ''il Fatto Quotidiano''
Compleanno numero 65 di Francesco De Gregori, nato il 4 aprile 1951: “La giovinezza è bella. Sei fisicamente spavaldo e non avverti la stanchezza, ma per i miei vent’anni non sento nostalgia perché mi trovo benissimo con l’età che ho. Sa cosa ha risposto Michael Caine a un giornalista che gli domandava se la vecchiaia non lo spaventasse? ‘Invecchiare è sempre meglio dell’alternativa’”.
Camerino, specchi, vino rosso. De Gregori ride, fuma e ogni tanto si alza in piedi: “Per declamare meglio”. Dal concerto bolognese lo separano due ore: “Da ragazzo, quando non avevo niente da fare, in questa città venivo spesso. Avevo la mia stanzetta in Via delle Fragole, a casa di Dalla. Al risveglio sua madre Jole mi preparava il caffè. Io e Lucio eravamo lontani dall’immaginare la nostra collaborazione, ma ci frequentavamo”.
A che scopo?
L’amicizia non ha scopo. Pur essendo molto diversi stavamo bene insieme.
Parlavate per ore?
Soprattutto Lucio. Io per lo più ascoltavo. Amo il silenzio, ma non mi piace che la gente intorno a me stia zitta. Dalla non parlava per riempire i vuoti, ma non aveva paura di dire cose che fossero anche buffe o inutili.
Perché?
Perché sapeva usare le parole. Detta da Dalla, anche una sciocchezza diventava acuta. Lucio giocava con la lingua. Ero affascinato dal suo modo di cantare. Lo studiavo e osservandolo, rubavo quel che potevo.
francesco de gregori lucio dalla
Al tempo Dalla collaborava con Roberto Roversi.
Insieme fecero tre dischi straordinari. Credo di essere stato uno tra i principali colpevoli dell’interruzione del rapporto.
Dice davvero?
Roversi, penso a canzoni come Un automobile targata To, aveva scritto dei capolavori, ma il suo universo intellettuale per Dalla rischiava di trasformarsi in una gabbia. Nonostante voce, arrangiamento e musica rendessero il pubblico permeabile all’ascolto di testi oggettivamente complicati e a volte lievemente ideologici, il rischio di estenuare la platea esisteva.
francesco de gregori claudio baglioni
Suggerì a Dalla di scrivere le canzoni senza l’aiuto del poeta?
Mi permisi di chiedergli come mai, avendo tanta facilità con la parola, continuasse a farsi scrivere i testi da Roversi. Lui ci pensò e poi decise che forse non avevo torto.
Nacque Com’è profondo il mare.
Dalla me lo fece ascoltare in anteprima. All’epoca tra cantautori ci si frequentava di più. Esisteva una disponibilità diversa, un desiderio di condividere qualcosa. Una volta, a metà degli anni 70, incontrai Baglioni per strada. Dal nulla decidemmo di partire per la montagna. Io e Claudio musicalmente eravamo molto diversi. Ma ci mettemmo in viaggio per il solo gusto dell’avventura.
Da ragazzo che futuro immaginava per sé?
Mi immaginavo già cantante. Guardavo all’estetica di Morandi, cantavo a squarciagola Non son degno di te davanti allo specchio con gran dispetto di mio fratello che preparava la maturità e a studiare non riusciva proprio. A scrivere testi seri non pensavo.
Chi le fece cambiare idea?
Con la frequentazione di De Andrè capii che esistevano due tipi di canzoni. Quelle scritte per divertimento e quelle che attraverso il racconto di una sofferenza non necessariamente amorosa potevano raccontare anche altro.
Michele Serra sostiene che rifiutando l’equiparazione forzata tra canzone e poesia lei sbagliasse. “Certi testi di De Gregori- dice-reggerebbero il paragone poetico anche senza l’aiuto della musica”.
Continuo a credere che sbagli. Anzi, ne ho la prova. La poesia deve aver un ritmo che la giustifichi. Il testo di una canzone invece necessita di mischiarsi in maniera misteriosa con le note. E la parola, a sua volta, non deve suonare troppo. Quando accade, confonde. È come girare in macchina con 4 specchietti retrovisori. Moltiplichi il punto di vista, ma perdi la direzione.
I due punti cardinali dei suoi inizi sono stati la Rca e il Folkstudio.
Alla Rca incontravi tutti. Il Folkstudio era un’altra cosa. Salivi sul palco, cantavi 3 pezzi e poi scendevi.
Serate faticose?
Soltanto dal punto di vista emotivo. C’era timidezza e ansia di prestazione. Cercavo sempre di fare miglior figura di chi mi precedeva o mi seguiva: Bassignano, Venditti o Lo Cascio.
Eravate i 4 ragazzi con la chitarra cantati in Notte prima degli esami.
Come si dice a Roma, ci ingarellavamo. Tra noi c’era competizione.
A Giancarlo Cesaroni, anima del Folkstudio, lei aveva proposto la metà di tutti i suoi guadagni futuri in cambio della sua 600 usata.
Cesaroni rifiutò. Pensi che uomo onesto che era.
Qualcuno potrebbe pensare che non credesse nell’avvenire del cantautore De Gregori.
Dice? Non credo. ‘Ci rimetti -mi disse- non ti conviene’. Forse mentiva. Io comunque avrei firmato qualsiasi cosa. La macchina mi serviva.
Lei ha giocato per vincere o solo per partecipare?
Si giocava sempre per vincere, per essere i migliori, per sentirsi più fichi del tuo collega. Vedi un modello e aspiri a somigliargli. Chiunque le dica che si corre solo per partecipare mente. A essere ambiziosi non c’è niente di negativo.
Dal 5 marzo è in tour con Amore e furto. Un omaggio alle canzoni e alla poetica di Bob Dylan.
antonello venditti, simona izzo, francesco de gregori e riccardo cocciante
Pensi che con Giorgio Lo Cascio, proprio ai tempi del Folkstudio, ci dilettavamo già a tradurre Dylan e Cohen con risultati ignobili. Andavamo di grana grossa, ma concentrarsi su testi così complessi ci aiutò a capire i meccanismi che sono alla base di una canzone.
Traducendo con più costrutto Dylan per Amore e furto invece cosa ha capito?
Che in Dylan esiste un livello di arrangiamento e organizzazione generale del testo e della musica che fa spavento.
Dalle le invidiava la capacità di passare dal violento al consolatorio in un solo verso.
antonello venditti, francesco de gregori e riccardo cocciante
È strano, perché è un po’ la stessa cosa che io invidio a Dylan. È stato un maestro che nella contrapposizione concettuale all’interno di una stessa composizione non aveva rivali. Il tono grottesco, il fumettistico, il politico, l’intimista. In Dylan trovavi tutto.
Dylan porta nelle canzoni anche il lato onirico. A lei capita ancora di sognare treni e autobus come da ragazzo?
Mi capita ancora. Locomotive, autobus, viaggi, spostamenti. Mi trovo di notte in stazione. Ho appena perso un treno e aspetto il successivo. Oppure sul treno che è appena ripartito ho dimenticato la valigia. Qualcuno leggendo quest’intervista penserà a una seduta di psicanalisi.
In analisi è mai stato?
Mai. Forse perché risolvo tutto nelle canzoni e con le canzoni. Mi libero da solo. In analisi vai se hai un problema. Da parte mia non c’era un pregiudizio, ma sentivo di non averne bisogno. Lei si farebbe ingessare una gamba se non avesse un osso rotto? L’analisi è una cosa seria. Se non pensi di stare male con te stesso non ci vai. Evidentemente ho trovato di meglio.
L’analisi la interessava almeno dal punto di vista letterario?
Ho letto l’Ulisse di Joyce due volte. E mi è anche piaciuto. Quando lo dico purtroppo si incazzano tutti. Non ci credono.
È considerato arduo quando non incomprensibile.
All’epoca, avevo già letto qualcosa di Freud, ero disposto a immergermi in quel mondo letterario così stravagante. Recentemente ho riletto il monologo di Molly Bloom. Un sublime delirio tra l’erotico e l’esistenziale.
neri marcore francesco de gregori
Sorrisi e Canzoni, 1978: “Stamattina la stanza è in disordine, ci sono cicche dappertutto e una quantità di vetri insospettabile negli angoli più difficili da raggiungere con la scopa…la pellerossa aveva messo la sveglia alle 7 e 30 e poi era andata via dopo essersi vestita in fretta…” Il testo è suo.
La pellerossa si chiamava Chicca e poi è diventata mia moglie. Il resto del testo, molto romanzato, risentiva di Bukowski. Delle sue sigarette accese non appena sveglio, della sua dissoluzione, del suo nuovo inizio quotidiano non appena fatta “una birrosa cagata’. Al tempo leggevo Bukowski e tentavo di appropriarmene.
La storia siamo noi. L’ha sempre pensato?
gabriella giammanco fulvio abbate francesco de gregori benedetta rizzo copia
La canzone nacque perché una mattina, uscendo di casa, vidi alcune siringhe nei giardini nel prato di fronte.
Questo prato di aghi sotto il cielo.
Pensai che la storia ci riguarda anche quando pensiamo che non ci riguardi affatto. Erano anni in cui di eroina si moriva e ogni tanto ad andarsene era qualcuno che conoscevamo bene. Non bastava dire: ‘io le pere non me le faccio’ o ‘finché un ago non punge mio figlio non me ne frega niente’. E immaginai la canzone. Oggi non la scriverei nello stesso modo.
Perché?
Perché la scrissi in termini vagamente retorici.
Cos’è la retorica?
La presunzione di dire sempre la cosa giusta, ma la cosa giusta da dire in verità non c’è mai.
Torniamo al suo giudizio su La storia. Possiamo chiederle di non demolirla dopo aver sminuito La donna cannone?
Potete, certo. Ma purtroppo La storia, la mia canzone, un po’ retorica è. La retorica è un nemico terribile. Mi fa paura. Il mondo delle canzoni ne è pieno. Ormai sento la puzza a distanza di chilometri.
È retorica anche La donna cannone?
No, ma il testo, senza musica, da solo non starebbe in piedi.
Qual è il requisito imprescindibile per la canzone perfetta?
La semplicità. Se la canzone è bella, ma non è semplice, in un certo senso è sbagliata. Discutere del tema è difficile. Edward Hopper dice: “Se potessi spiegarlo a parole non ci sarebbe motivo per dipingere”. Senza avere il suo talento, mi accodo.
Lei ha scritto molte canzoni non semplici.
È vero. Era difficile anche Alice che poi ebbe successo per ragioni imperscrutabili. Comunque certe canzoni difficili continuo a scriverle per me.
Qualcuno potrebbe sospettare che non abbia mai smesso di farlo.
Prenda Titanic. Ai miei discografici non piacevano né il titolo, né il progetto, né tantomeno l’argomento. Pensavano portasse sfiga.
Possibile?
Mario Cantini, il capo delle edizioni, si toccò vigorosamente le palle. Per non parlare poi della mia pretesa di decrittare i meccanismi della modernità attraverso Enzensberger: ‘Sei matto? Poi in televisione non ti chiamano più’. Fecero di tutto per confermare le loro peggiori previsioni. Il disco, per usare un eufemismo, venne pubblicizzato timidamente.
E lei?
Da piccolo mia madre mi chiamava fiammiferino perché prendevo fuoco e mi arrabbiavo sempre. Ho imparato a controllarmi.
Sa cosa si dice oggi di lei?
Che sono diventato buono, affabile e persino simpatico.
Si riconosce nel ritratto?
LUCIO DALLA E FRANCESCO DE GREGORI
Non credo di essere stato antipatico in giovinezza, forse timido.
Perché a 48 ore dai 65 anni sale ancora su un palco?
Per il rapporto con il pubblico. Ho il privilegio di scrivere delle cartoline, di spedirle, di sapere che saranno lette. A volte sono accolte, altre criticate, come è giusto. Ma è il contatto con la gente a farti dimenticare la fatica o la frustrazione per un concerto in cui non hai suonato bene come avresti voluto.
L’ultimo rifugio dei vigliacchi: la comunicazione. Di chi parlava?
Della vacuità di certi termini. La canzone si intitolava L’aggettivo mitico. Mitico voleva dire tutto e niente proprio come un’altra parola che ci ha tormentati: contaminazione. Un giorno venne da me Ambrogio Sparagna: “A Francè, ma lo sai che ‘sta contaminazione mi ha rotto le palle?”
Si sente un maestro?
LUCIO DALLA RON FRANCESCO DE GREGORI GIANNI MORANDI
Per carità. Maestro de che? Piovani, Muti, Bollani. Io non c’entro niente.
Domani si vede ancora in scena?
Non so neanche dove sarò tra un mese. E non lo sapevo neanche 10 anni fa. Non ci penso, ma se dovessi smettere non mi troverà su un divano con il plaid. Sono un privilegiato, la mia vita non si risolve nel mio mestiere.
Oggi Totti forse giocherà l’ultimo derby della propria storia. Lei si descrisse come un tifoso romanista ‘becero e fazioso’.
Quando mai? Né fazioso, né becero. Gente che ho visto trasformarsi parlando di calcio, penso a Mastandrea o a Marino Sinibaldi sul versante laziale, però l’ho conosciuta.
E Totti?
Sa com’è? Aznavour, Cohen e Dylan possono restare in scena fino a 90 anni. Un calciatore no. Il trapasso è più rapido e anche più brutale. Comunque per Totti mi dispiace. Istintivamente sono dalla sua parte. Il suo allenatore forse avrebbe potuto dirgli certe cose in separata sede.
Anche se sul pallone ha scritto una canzone epocale, sentirla parla di calcio è un inedito.
Se vuole parlo anche di cinema e le dico che Jeeg Robot mi è piaciuto da morì. Roma è raccontata in modo clamorosamente vero e in tutto il film non si sente mai puzza di oleografia. Non voglio dire che il film chiuda un’era, ma sicuramente data per sempre un certo tipo di cinema d’autore. Qui si apre un altro campionato. Tutti eccellenti, Santamaria e l’attrice che lo accompagna.
Sa che Ilenia Pastorelli viene dal Grande Fratello?
Allora il Grande Fratello non ha fatto solo danni. A proposito di tv, sa che proprio stamattina ho capito di essere irrimediabilmente vecchio?
E come?
In albergo ho visto un pezzo de L’isola dei famosi. Ventura a parte, non conoscevo nessuno. “Ma questi chi sono? Perché stanno lì?” mi dicevo. Un chiaro indizio di senilità.
Chiudiamo con la politica? A Renzi, dicono, viene concessa un’indulgenza di cui Berlusconi non beneficiò. Sono uguali?
I due sono molto diversi e non si possono paragonare. Magari diranno che sono renziano, ma non mi interessa. Renzi è criticabile sotto certi aspetti e Berlusconi lo era per altri. Ma questo modo di leggere la politica dando a Renzi del Berlusconi, a Berlusconi del Craxi e a Craxi del Mussolini non mi convince. La politica non può essere ridotta a sociologia. La storia non si ripete mai in modo uguale. Sono suggestioni facili. Discorsi superficiali utili a suscitare reazioni emotive.
francesco de gregori nicola piovani
De Gregori vota ancora?
Sono un po’ di anni, cinque, che non vado. Non escludo di tornarci. Però una cosa gliela vorrei chiedere.
Dica.
Non fate il titolo su questo. Qualcosa di meglio di “De Gregori non vota più” lo trovate di sicuro.