INCREDIBILE DE GREGORI - DOPO AVER SPERNACCHIATO PD E GRILLO, SU “LIBERO” PROMUOVE RAPPER E MARCO MENGONI - E NEL 2014 MOLLA TUTTO

Leonardo Iannacci per "Libero Quotidiano"

Sorpresa: Francesco De Gregori sa sorridere. Ammicca, appare meno ispido e persino più conciliante del solito quando l'Academy del Medimex - un nostrano premio Oscar della musica che si assegna a Bari - gli porge la statuetta per Sulla strada, giudicato il miglior album del 2013.

Altri premi sono andati a Jovanotti (artista dell'anno), David Bowie (miglior album straniero), Vasco Rossi (miglior concerto), Cesare Cremonini (videoclip), Zucchero (album e miglior tour esteri), Andrea Nardinocchi (rivelazione) e Fedez (tour emergente).

Dicevamo di De Gregori: un artista che ha scritto canzoni epocali, il vero Principe dei cantautori impegnati ma anche un soggettino che, da custode sacrale della propria privacy, non ha mai brillato per comunicatività e voglia di stare in mezzo ai giornalisti («Prima di un viaggio in treno compro cinque giornali ma, dopo aver letto le prime righe, mi metto a guardare fuori dal finestrino... », ha ammesso a chi gli faceva notare la sua idiosincrasia verso la stampa).

Qui a Bari, nascosto da un curioso cappellino e protetto dai soliti occhialini scuri, ha accettato il dialogo con il mondo esterno. Parlando non di politica - il «gelo» verso il nuovo Pd e il disprezzo per Grillo li aveva già manifestati in tempi non sospetti, scompaginando chi lo ritiene ancora, forse a torto, una bandiera musicale della sinistra - ma di musica. Lo ha fatto lodando colleghi che non avremmo mai pensato stimasse così tanto.

Come i rapper o come Marco Mengoni, artisti apparentemente distanti dal mondo dell'autore di Rimmel e di Buonanotte Fiorellino.

De Gregori, secondo Ligabue i rapper sono i veri cantautori del nuovo millennio. Lei come si pone verso questo tipo di musica?

«Negli anni '70 noi cantautori ce la tiravamo un po' con i testi impegnati. Effettivamente chi fa rap oggi affida alle parole un messaggio come facevamo noi allora. Questi ragazzi utilizzano i versi per raccontare e anche denunciare, ma in modo più forte».

È vero che il professor De Gregori ha promosso l'allievo Marco Mengoni a talento?

«Marco è un ragazzo che sa cantare bene e continua a proporre un percorso artistico vero. Mi piace. Non bado ai generi: rock, pop, rap... Vale la qualità nel nostro mestiere ».

Oggi un De Gregori sfonderebbe a X Factor?

«Non direi. I ragazzi dei talent cantano diversamente da me. Bene ma sono altra roba. Non sarei il cantante ideale per vincere un talent».

A proposito di colleghi, lei dalla morte di Lucio Dalla non ha mai ricordato l'amico scomparso. Il motivo?

«Quando morì dissi: non mi sento di parlare di lui... È stata una mancanza così grande che era difficile quantificarla attraverso semplici parole. Con Lucio divido il privilegio di due ricordi densi: i tour che abbiamo fatto insieme, Banana Republic negli anni '70 e l'ultimo, prima che se andasse. Gli ho voluto bene ».

Il premio Medimex per Sulla strada se l'aspettava?

«Questo disco è stato molto sofferto, all'inizio dei lavori avevo poche canzoni e dissi ai musicisti: dobbiamo fare con quello che abbiamo. Invece è andato molto bene, come il tour che l'ha seguito. Ha venduto 40.000 copie nelle due edizioni uscite, la seconda con il dvd. Numeri enormi, di questi tempi».

Fare musica è pur sempre meglio che lavorare?

«No, questa è una vecchia barzelletta che gradirei non sentire più. Quando la musica va in crisi non patiscono soltanto i cantanti ma soffrono tutti quelli che lavorano intorno a loro: chi fa promozione, chi vende i dischi, chi monta i palchi. Ad essere tutelati non dobbiamo essere soltanto noi star ma quelli che soffrono attorno a noi».

Nell'adolescenza musicale, che l'ha poi portata a scrivere capolavori come Rimmel o La valigia dell'attore, lei ha avuto un mito?

«Il primo fu Bob Dylan quando cambiò il modo di scrivere i testi. E poi De Andrè. Ascoltavo i suoi dischi in vinile e lì imparavo la costruzione dei testi, l'uso della parola come poesia. In seguito ho anche avuto la fortuna di lavorare con Faber».

Tutti a dire: dopo i 60 anni De Gregori è cambiato, è diventato meno spigoloso. È così?

«Sinceramente non lo so. Un tempo non sopportavo quando un fan mi chiedeva di fare una foto, pensavo fosse per loro una specie di umiliazione. Oggi non più, la ritengo una cosa innocente».

Nelle sue canzoni c'è sempre una malinconia apparente: in realtà una luce di speranza non manca mai. Lei è ottimista anche in questo momento così nero per l'Italia?

«Sì. Non possiamo continuare a valutare tutto sulla base del pil che scende o sale. La vita è altro: speranza, sentimento, poesia, cuore».

Il 2014 di De Gregori come sarà?

«Silenzioso. Scomparirò per un lungo periodo. Sto preparando un disco speciale che uscirà tra un anno».

 

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