il treno dei bambini

IL DIVANO DEI GIUSTI/1 - MI SONO COMMOSSO PER “IL TRENO DEI BAMBINI", PIENO DI NOSTALGIA PER IL PCI DEL DOPOGUERRA. ARRIVA PROPRIO ORA, NELL’ITALIA MELONIANA CHE, CULTURALMENTE, VUOLE CANCELLARE GUERRA E DOPOGUERRA, TORNANDO A QUALCOSA CHE STIA IL PIÙ POSSIBILE LONTANO DA REALISMO SOCIALE E NEOREALISMO. COME SE IL NEOREALISMO FOSSE SOLO TARGATO PCI E NON CI FOSSERO I DE SICA, I FELLINI I DINO RISI, I COMENCINI. A FURIA DI SEMPLIFICARE IL '900, SI RISCHIA DI FAR CONFUSIONE…- VIDEO

Marco Giusti per Dagospia

 

il treno dei bambini

Ma si è sciolto il sangue di San Gennaro? In uno streaming pieno di film natalizi e, soprattutto, in una stagione piena di film napoletani in sala, confesso di essermi commosso per “Il treno dei bambini”, film metà napoletano metà modenese pieno di nostalgia per il PCI del dopoguerra, diretto con grazia e intelligenza da Cristina Comencini, scritto da ben due nipoti Comencini, cioè Giulia Calenda, Carlotta Dugay e da Furio Andreotti, cioè gli stessi autori di “C’è ancora domani”, tratto dal romanzo di Viola Ardone con il piccolo Christian Cervone, bambino diviso tra due madri una a sud e una a nord, cioè Serena Rossi e Barbara Ronchi, che da grande diventerà Stefano Accorsi, professione violinista.

 

il treno dei bambini

Film che mi ero perso al Festival di Roma, dove aveva avuto grande successo di pubblico lo scorso ottobre, e che, senza passare, assurdamente, dalla sala, ci ritroviamo su Netflix come prodotto esclusivo. E’ un peccato perché avrebbe avuto sicuramente un suo pubblico, in una stagione segnata dalla napoletanità e dalla ricerca di umanità nazionale, penso a “Il ragazzo dai pantaloni rosa”, anche se avrà un vasto pubblico in una grande piattaforma come Netflix.

il treno dei bambini.

 

La Comencini e i suoi sceneggiatori di famiglia, traduce nel film la narrazione piana del vecchio Luigi e il suo amore per il cinema con protagonisti bambini, tocca un bel po’ del Bertolucci epico di “Novecento” con treno della speranza. Duecento bambini che da Napoli, in un dopoguerra poverissimo, vengono sfamati dalle famiglie del nord, in un atto che è solidarietà sociale, accoglienza, non carità.

 

il treno dei bambini

Tra “Parthenope”, “Hey Joe”, “Napoli – New York”, è come se il cinema italiano, puntando fortemente su Napoli e sulla sua centralità nella costruzione e ricostruzione di un immaginario del paese, tornasse al dopoguerra come elemento di rinascita di un paese distrutto dalla guerra e dal fascismo. E questo arriva proprio ora, nell’Italia meloniana che, culturalmente, vuole cancellare proprio guerra e dopoguerra, tornando a D’Annunzio, al Futurismo, a confondere Boccioni con Julius Evola (pensiamo alla mostra sul Futurismo della Galleria d’Arte Moderna), a qualcosa insomma che stia il più possibile lontano da realismo sociale e neorealismo, che non può che riportare tutto alla cultura comunista che ha dominato la metà di un secolo.

il treno dei bambini

 

Come se il Neorealismo fosse solo targato PCI e non ci fossero i De Sica, i Fellini i Dino Risi, i Comencini. A furia di semplificare il Novecento, si rischia di far confusione, di mettere tutto assieme. Ma Neorealismo e Commedia, le due grandi strade del dopoguerra cinematografico italiano, prima dell’arrivo dei generi, non sono così semplificabili. E la via di Comencini padre, e poi la via di Comencini figlie e nipoti, hanno tutte delle caratteristiche autonome che ci piacerebbe studiare con distensione.

 

il treno dei bambini.

Pensiamo solo al recente film di Francesca Comencini sul suo rapporto col padre, “Il tempo che ci vuole”, dove per focalizzare il loro rapporto padre-figlia ha dovuto/voluto eliminare tutta la famiglia con un modello narrativo coraggioso. Più che il governo meloniano cerca di cancellare la storia di questo paese eliminando metà secolo di storia, più che questo passato ritornerà perché lì sono gran parte delle nostre storie, piccole e grandi. Come quella del treno dei bambini e dei bambini divisi tra due madri. Da vedere. Su Netflix

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